martedì 26 aprile 2011

Triennio 8: n Patricia Piccinini, Dryden Goodwin

a) Patricia Piccinini


www.patriciapiccinini.net


Nata nel 1965 in Sierra Leone da famiglia di origine italiana, vive dal 1972 a Melbourne. Al padiglione australiano alla 50.a Biennale di Venezia, 2003, ha presentato la mostra We are family, immaginario ambiente domestico di un futuro prossimo dove cloni e mutanti coabitano con un’umanita’ che li accetta, con nostra sorpresa, senza le angosce che contraddistinguono l’attuale dibattito sull’ingegneria genetica e la bioetica. Nella messa in scena simbolica di We are family, questi mostri che spaventano e disgustano gli adulti sono invece accettati con curiosita’ e affetto dai bambini, con la loro caratteristica mancanza di preclusioni verso il nuovo.

*1. Composizione con cellule staminali, 2002. Silicone, acrilico, capelli umani.

*2. The young family, 2002. Silicone, acrilico, capelli, cuoio, legno.



Gran parte del lavoro della Piccinini si impernia sul rapporto dell’umanita’ contemporanea col nuovo, un nuovo che spesso crea angoscia ed e’ invece visto dall’artista con simpatia e ironia affettuosa, senza satira moralistica e senza catastrofismo.
Alcuni lavori prendono in considerazione situazioni limite create dalla tecnologia e dalla scienza nella civilta’ presente, che non hanno alcun paragone possibile nel passato e con cui di conseguenza dobbiamo inventare di volta in volta il nostro modo di rapportarci.

Il sex-appeal dell’inorganico e lo strano rapporto affettivo che lega l’uomo alle macchine caratterizzano ad esempio i progetti Truck babies (“Cuccioli dei camion”), Car nuggets (‘Pepite di automobili”), e Sheen (“Lucentezza”).


*3. Patricia Piccinini, Truck Babies (“Cuccioli dei camion”), 1999.
Fibra di vetro, pittura da automobili, parti elettriche, 2 pezzi, ciascuno 120 x 184 x 88 cm.

4., 5. Patricia Piccinini, Big Sisters, Serie di video.

*6. , 7. Patricia Piccinini, Car nuggets, fibra di vetro e pittura da automobili, ca cm 100 x 100.

Siren Mole (“Talpa sirena”) e’ invece un animale inesistente, che grazie all’animazione digitale diventa una scultura tridimensionale, dotata di movimento. Vedendolo in un filmato girato in uno zoo, del tutto simile ai documentari di divulgazione scientifica della televisione, ci rendiamo conto di quanto siano labili i rapporti tra finzione realta’ nel nostro mondo mediatico.

*8. Siren Mole: Excellocephala Parthenopa, 2000, scultura animatronics, ca. cm 100 x 100.

Animatronics:
http://video.google.it/videosearch?hl=it&q=animatronics&um=1&ie=UTF-8&ei=AiGsScCiMY6c1QXl_MC1Ag&sa=X&oi=video_result_group&resnum=4&ct=title

Piu’ che nelle singole opere, il senso delle “sculture” della Piccinini si manifesta nei progetti di cui esse fanno parte, complessi comprendenti fotografie, sculture, installazioni, e video, dove diviene meglio evidente il suo rapporto col mondo dei videogiochi, del cinema d’animazione, dei centri commerciali e dei parchi tematici, e piu’ in generale con le iconografie create dal mondo della comunicazione di massa, dalla pubblicita’ ai cartoni animati al film alla divulgazione scientifica.
Quasi senza eccezione, i lavori della Piccinini sono opere non autografe nel senso tradizionale del termine, poiche’ alla loro esecuzione hanno contribuito tecnici dei sistemi digitali, degli animatronics e degli effetti speciali, o artigiani specializzati di ambiti extraartistici (ad esempio, verniciatori di carrozzerie di auto e moto).

9. Nest (2006), edition 2/3.
Fibreglass, automotive paint, cycle parts. 90x150x170cm
Image 1 of 4

10. Thicker Than Water (2007), edition 2/6.
Fibreglass, automotive paint. 70x45x58cm

11. The Stags (2008), edition 1/3.
Fibreglass, automotive paint, cycle parts. 224x167x196cm
Image 2 of 3





b) Dryden Goodwin


Videoartista britannico nato nel 1971, vive a Londra.
www.drydengoodwin.com

Rivelato al pubblico internazionale dalla mostra Clandestini della Biennale Arte 2003 (Arsenale, Corderie), dove era presente con la videoinstallazione Above/Below.

*1. Dryden Goodwin, Above/Below, 2003, videoinstallazione con colonna sonora, 2 schermi, 12’40’’

2. Dryden Goodwin, Scene, videoinstallazione, 1999

*3. Closer (“Piu’ vicino”), 2001, video 6’30
In questo breve film, Goodwin riprende degli estranei in distanza, mentre simultaneamente li tocca con una penna al laser, registrando quindi una sorta di reazione allo sguardo che normalmente non si verifica.

4. Elaborazione grafica da Closer.

Dal film, Goodwin torna all’esperienza della grafica, e da questa nuovamente al film, cercando di trasfondere in ciascun mezzo la novita’ apportata da una diversa esperienza dell’immagine nel tempo.

*5. Suspended animation, 29 disegni dalla stessa fotografia.

Goodwin e’ stato invitato dal cantautore Matt Hales a produrre la copertina del suo album Aqualung. Goodwin prima ha ritratto Hales nei disegno intitolato Matt (2002), come parte di una serie di disegni multistrato di amici e familiari.

6. Matt, 2002, matita su carta, 40,6 x 57,2 cm

Poi ha sviluppato un video clip per il single Strange & Beautiful. L’idea era quella di estendere le possibilita’ espressive di un ritratto a matita alla lunghezza di un film conservando la delicatezza, la complessita’ e l’enigma propri del disegno. I tre minuti e 47 incorporano centinaia di disegni.

7. Aqualung, film d’animazione, 3’47’’, 2002.

Fra i lavori recenti, Flight colloca il visistatore al centro dell’azione attraverso gli occhi di un artista che sta intraprendendo un viaggio di fuga misterioso e indefinito. Il film vede attraverso gli occhi del fuggitivo lo scenario urbano, poi strade a scorrimento veloce, poi foreste e infine la costa, verso il mare e il cielo. Esprime la paura di essere seguiti e l’incapacità di fermarsi e relazionarsi con la gente, coi luoghi e con se stesso, insieme al desiderio di liberazione, insieme al carattere di sogno o fantasia delle immagini prooste.
Linear, progetto in corso, in collaborazione con la metropolitana londinese, pone i ritratti di 60 viaggiatori e dipendenti della metropolitana in relazione con la dimensione statica del disegno tradizionale.

*8. Flight, installazione multimediale(disegni e video), 2006



*9 Linear, Sixty portraits of Jubilee line staff, opera multimediale, 2010


Bibliografia

Oltre ai siti già citati nel testo, vedere


Su Patricia Piccinini:

Rachel Kent, Call of the Wild/Patricia Piccinini (cat. della mostra), Sydney, Museum of Contemporary Art, 2002
Linda Michael, Christine Wertheim, Margaret Wertheim, We are Family (cat della personale nel Padiglione Australiano alla 50.ma Biennale di Venezia, 2003).


Su Dryden Goodwin:
www.drydengoodwin.com

Biennio 8: Creative industries/Creative cities

a) Creative industries: il concetto di “creative cities”.


*1. Video di Michael W. Kaluta per Don't Answer Me dei The Alan Parsons Project, dall'album Ammonia Avenue del 1984

http://www.youtube.com/watch?v=ALC7kt6iUHY

L’autore è il disegnatore di fumetti Michael Kaluta. Presentato nell’ambito dei Friday Night Videos all’epoca in cui era estremamente importante apparire in questa trasmissione televisiva musicale statunitense, nonostante la programmazione a tarda ora (12:30 am).

Su M.W. Kaluta:

http://www.kaluta.com/
http://www.angelfire.com/ns/logan2/spotlight/kaluta/index.html

Su questo video:
http://popidiocy.blogspot.com/2009/01/comic-work-with-mw-kaluta.html
http://en.allexperts.com/q/80s-Music-2701/2008/1/80s-Music-Video.htm


The Alan Parsons Project è stata una band britannica di progressive rock, attiva tra il 1975 e il 1990, fondata da Eric Woolfson e Alan Parsons.

http://en.wikipedia.org/wiki/The_Alan_Parsons_Project


Friday Night Videos: trasmissione video della NBC americana molto popolare dal 1983 al 2002.

http://en.wikipedia.org/wiki/Friday_Night_Videos


La carriera di Alan Parsons e la storia di The Alan Parsons Project sono un esempio di come una "città creativa" per antonomasia, come la Londra in quegli anni, sia una componente determinante nello sviluppo di una carriera artistica



A proposito del libro:

Creative Industries, a cura di John Hartley, Blackwell, 2005,

http://books.google.it/books?id=dKytfKUptrMC&dq=hartley+creative+industries&source=gbs_summary_s&cad=0

si prendono in esame due saggi contenuti nella parte quarta:

Jinna Tay, Creative Cities, e Charles Landry, London as a Creative City

Nella parte introduttiva del suo saggio, Charles Landry dà la seguente definizione di creatività (trad.mia):

“In breve, la vera creatività implica la capacità di mettere a fuoco un problema per la prima volta o da un punto di vista nuovo; di scoprire tratti comuni tra fenomeni in apparenza caotici e disparati; di sperimentare; di osare essere originali; la capacità di riscrivere le regole; la capacità di visualizzare scenari futuri; e, forse più importante di tutto, la capacità di operare ai margini della propria competenza anziché al centro”.


Si introduce il concetto di “creative city”, osservando prima di tutto che esso va contro la comune opinione che internet e le comunicazioni globali tendano a livellare le differenze geografiche e a rendere possibilie ovunque lo sviluppo di un’industria creativa. In realtà, quest’ultima ha bisogno anche di reti di interrelazioni personali, di uno stile di vita e di servizi come caffè, ristoranti, bar, turismo e vita notturna. In altre parole, le creative industries tendono a svilupparsi in città che offrono potenzialità culturali ma nello stesso tempo anche “spazi, e birre”, a prezzi sostenibili. “Una città con artisti, vita notturna e diversità attirerà anche imprenditori, accademici, specializzati nelle tecnologie, cioè quelli capaci di dare impulso alla crescita economica nell’era presente” (Jinna Tay).

“Local cluster” è un gruppo di creativi connesso a un’attività produttiva (ad esempio, la produzione di un cd musicale o di un film); i cluster si formano in gran parte spontaneamente, ma solo se la città presenta condizioni e stili di vita tali da rendere possibili gli incontri.




b) “Creative Industries”: i MMORPG come fenomeno artistico ed economico



MMORPG (Massively Multyplayer Online Role-Playing Game) è un nuovo genere di gioco on-line, in rapida espansione dal 2003-2005, in cui giocatori in numero impensabile fino a un recente passato, decine o anche centinaia di migliaia, possono interagire in tempo reale sullo sfondo di un unico mondo virtuale.
Ciascun giocatore assume le fattezze di un personaggio di fantasia (avatar), scegliendo il suo aspetto e le sue caratteristiche tra una gamma di possibilità, e incontra in rete altri giocatori di ogni parte del mondo, vivendo insieme a loro avventure nello sfondo preferito (fantasy, guerra, horror, sport, strategie economiche, storia, fantascienza).
La novità decisiva, rispetto ai videogiochi del passato, è rappresentata da internet: il mondo di riferimento, ospitato nei server, continua ad evolversi anche in assenza del giocatore, e l’avventura individuale, anziché per un numero limitato di ore (come avviene per i giochi venduti in cassetta), può svilupparsi per mesi o anche per anni, dando luogo a sodalizi stabili tra giocatori, raccolti in gruppi spesso numerosi (le “gilde”), che assumono una dimensione autonoma e possono spostarsi in blocco da un luogo all'altro del gioco, o anche, come sta cominciando ad accadere, da un gioco a un altro.

Il caso delle Corea del Sud, piccolo paese che si trova al quarto posto nel mondo nella produzione di videogiochi e ha sviluppato una rilevante economia a partire da questa produzione, merita di essere considerato con particolare attenzione.
Fa storia a sé infatti Silkroad Online, il MMORPG coreano lanciato nel 2006, in cui la via della seta, l’itinerario che congiungeva nel medioevo Occidente e Oriente attraversando l’Asia, è ricreata in un amalgama avvincente di realismo storico e fantasia sfrenata, attirando giocatori da tutto l’ambito considerato, e inducendoli, attraverso il gioco e le altre forme di comunicazione connesse (siti, forum, riviste on-line e anche cartacee) a interagire e a comunicare fra loro.

E’ un nuovo orizzonte delle arti visive, della comunicazione e dell’interazione umana: nel giro di pochi anni, i MMPORG stanno dando vita a una visualità nuova (grazie soprattutto alle caratteristiche dell’animazione 3D e al consistente apporto di disegnatori dell’Asia Orientale), a nuove forme di interazione a carattere globale (con una plurarilità di siti e di forum in cui i giocatori commentano e continuano in altra forma la loro esperienza di gioco), nonché a un business in rapida espansione: il numero complessivo di giocatori si stimava intorno ai 15 milioni già nel 2006, e il business connesso vede cifre computabili ormai nell’ordine dei miliardi di dollari.
Si tratta di un tipico esempio di “creative industry” i cui costi di produzione sono comparativamente contenuti, l’impatto ambientale nullo, la capacità adattamento e di rapida trasformazione massima.

Tra gli aspetti più interessanti di questa nuova produzione, evidenziamo il concetto di player-created content, ovvero contenuto creato dagli stessi giocatori, un aspetto costitutivo tipico a cui nei giochi recenti si cerca di dare uno spazio sempre maggiore.
Se ad esempio in un film è il regista a fare il casting, cioè a scegliere, tra diversi attori possibili, il volto e l’aspetto di quello che sarà l’eroe o l’eroina nel quale durante la visione dovremmo proiettarci, nei MMORPG questo piacere è lasciato al giocatore, il quale all’inizio dell’esperienza di gioco crea il proprio avatar attribuendogli le fattezze, gli abiti e la personalità che preferisce nell’ambito di una gamma di possibilità che gli viene data.


c) Ancora dal libro Creative Industries, a cura di John Hartley, Blackwell, 2005,

http://books.google.it/books?id=dKytfKUptrMC&dq=hartley+creative+industries&source=gbs_summary_s&cad=0

lettura del saggio: Games, The New Lively Art, di Henry Jenkins (2004).

Secondo Jenkins, l'industria dei giochi è una rivoluzione ancora agli albori sotto il profilo artistico, ma paragonabile a quella rappresentata dall'avvento del cinema e dal teatro di varietà all'inizio del Novecento.


Bibliografia







a) Sulle industrie creative (e sulla differenza rispetto alle “industrie culturali”):

http://en.wikipedia.org/wiki/Creative_industries


Sulla nozione di Soft power:

http://it.wikipedia.org/wiki/Soft_power


Corsi:

http://www.milanosummerschool.com/index.php?option=com_content&view=article&id=140&Itemid=295&lang=it



Potenziamento del “cultural content” nella formazione degli artisti e operatori audiovisuali in Corea del Sud:


http://stellakimerald.multiply.com/journal/item/100


Kocca:

http://www.koreacontent.org/weben/etc/kocca.jsp



b) Industria videoludica:


http://en.wikipedia.org/wiki/MMORPG (da preferire)

http://it.wikipedia.org/wiki/MMORPG


Henry Jenkins, Games, the New Lively Art, in: Creative industries, a cura di John Hartley, Wiley-Blackwell 2004
http://eu.wiley.com/WileyCDA/WileyTitle/productCd-1405101474,descCd-tableOfContents.html

Grenville Armitage, Philip Branch, Mark Claypool, Networking and Online Games: Understanding and Engineering Multiplayer Internet Games, Hoboken (NJ), Wiley, 2006

martedì 19 aprile 2011

Biennio 7: Arte povera, arte ricca: crisi dell' "assenza d'opera"

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese



Icone dell'arte povera:


a) Igloo di Merz



http://archiviostorico.corriere.it/2003/novembre/10/Foglie_fiori_igloo_Merz_maestro_co_0_031110050.shtml

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplRubriche/Torino/digito/grubrica.asp?ID_blog=179&ID_articolo=575&ID_sezione=368&sezione=Municipio%20-%20Le%20testimonianze

L'anno chiave 1968, con i suoi tumulti, manifestazioni e scioperi in Italia, Francia e nel mondo, segna l'adozione di quella che sarebbe diventata la firma modulo di Merz – l’ igloo.

Il primo, "Igloo di Giap" (1968) , è accompagnato da una frase scritta al neon dallo stratega militare nordvietnamita, Vo Nguyen Giap: "Se il nemico si concentra perde terreno, se si disperde perde forza".

Altre opere dello stesso anno fanno esplicito riferimento ai moti del maggio 1968.
L'opera “Che fare?” fa eco a un discorso di Lenin dal 1912, mentre “Solidale Solitario” impiega parole che Merz aveva visto scarabocchiate su un muro di Parigi.


Mario Merz è considerato uno degli artisti più importanti d'Italia del dopoguerra.
Emerge partecipando all’ eclettico gruppo dell'Arte Povera alla fine del 1960, che auspicava l'uso di materiali poveri e spesso effimeri.
L’adozione di uno stile-firma, che si manifesta nel suo lavoro coi numeri al neon, con gli igloo e con la seie di Fibonacci, assicura il suo status nel corso dei successivi tre decenni.
È famoso in particolare per la proliferazione dei sui igloo, che hanno colonizzato musei di tutto il mondo. Ma questa ubiquità minaccia di oscurare le origini politiche del tema.
La fusione di cultura scientifica e artistica nell'opera di Merz si può forse far risalire ai suoi genitori. Figlio di un ingegnere e inventore progettista per la Fiat e di una madre che insegnava musica, Merz ha studiato medicina per due anni all'Università di Torino. Durante la seconda guerra mondiale, è stato coinvolto con il gruppo antifascista Giustizia e Libertà (Giustizia e Libertà), il che ha portato al suo arresto e alla detenzione nel 1945.
Dopo il suo rilascio, come risposta alle pressioni del padre che gli intimava di scegliersi una professione, Merz si reca a Parigi e diviene un camionista ai mercati delle Halles. La situazione gli permette di approfondire passato e presente dell’arte, dal Louvre all’Informale - la tendenza artistica dominante in Francia e in Italia durante questo periodo. Dopo il suo ritorno in Italia, e per tutto il 1950, Merz lavora in opposizione, piuttosto che in sintonia, sia nei confronti dell'emozionalità soggettiva dell’ Informale, che del realismo socialista, abbracciato dal suo connazionale comunista Renato Guttuso.
A entrambe queste formule, Merz preferisce immagini eseguite nel modo più impersonale, utilizzando materiali industriali come smalto e vernice spray.

La rottura arriva nel 1966, quando Merz si allontana definitivamente dalla pittura, e inizia a penetrare bottiglie, ombrelli e impermeabili con tubi al neon, sia per infondere in essi energia che per distruggere la loro funzionalità.
L'anno seguente vede il battesimo del movimento di Arte Povera, cui partecipano Merz e sua moglie Marisa, insieme a colleghi come Jannis Kounellis e Michelangelo Pistoletto. In risposta alla commercializzazione e all’ iconismo della Pop Art, e come alleata-rivale del minimalismo americano, Arte Povera emerse negli anni successivi come il primo movimento italiano ad avere un impatto internazionale paragonabile a quello dal Futurismo.




*1. Mario Merz, Igloo con albero, 1969
Tubolare di ferro, vetri, stucco, albero.
Igloo, h 100, diam. 200 cm; albero, h 320 cm
Non firmato, non datato.
Coll. Margherita Stein, in deposito permanente al Museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli, Torino.

2. Mario Merz, Igloo (Tenda di Gheddafi), 1981
Tubolare di ferro, acrilico su tela di iuta, h 240, diam.500 m,
Non firmato, non datato
Museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli, Torino.




"Arte ricca":


Nella sua introduzione all'opera "Art of Not Making" pubblicato da Thames e Hudson, da poco in libreria, Michael Petry dichiara in apertura che il ritorno ad opere che includono materiali ben finiti e implicano abilità artigianale è da tempo uno stato di fatto nell'arte contemporanea, così come è sempre più accettato il fatto che l'artista si avvalga di oggetti e materiali altamente elaborati e di collaborazioni da parte di artigiani specializzati.




* 3. Shirazeh Housiary, Commission for St Martin in the Fields, 2008, vetro trasarente soffiato a mano, struttura di acciaio inossidabile



4. Jan Fabre, Shitting Doves of Peace and Flying Rats, 2008, vetro di Murano, inchiostro BIC.
Parigi, Louvre



*5 Do-Ho Suh, Reflection, 2004, nylon e tondino d'acciaio, dimensioni variabili, ed. di 2.


6. Marya Kazoun, Ignorant Skin, 2005, installazione e performance, filo, stoffa, perle, colla su tela, performers.


7. Gavin Turk, Mappa del mondo, 2008, arazzo in lana, seta e filo metallico, 313 x 200 cm, ed. di 5
Tributo all'artista italiano Alighiero Boetti, che negli anni '70 e '80ha fatto eseguire gruandi tappezzerie di carte geografiche del mondo eseguite da donne afghane.







Bibliografia

Michael Petry, The Art of not Making, Thames & Hudson, 2011

http://www.fadwebsite.com/2011/02/21/michael-petry-answers-fads-questions/

domenica 17 aprile 2011

Triennio 7: Jeff Koons

Alcune delle opere più celebri di Jeff Koons introducono nella scena del museo, portate a una dimensione statuaria, statuette ricordo, palloncini da fiera, gonfiabili da spiaggia, foto pornografiche dalla caratteristica scenografia anni ‘50.
Koons precisa in più occasioni che non è sua intenzione fare dell’ironia su queste immagini estranee alla tradizione colta, guardarle per così dire dall’alto, come episodi di kitsch; piuttosto, intende sposarne la festosità, l’esuberanza, reintroducendo nell’arte aspetti di godibilità, di appeal generale, che erano stati abbandonati negli anni ’60-’70, in favore di un’arte severa, politicamente impegnata, minimalista e concettuale.
Koons è nato a York, Pennsylvania; ha frequentato L’Art Institute di Chicago e il Maryland Institute of Fine Arts. Negli anni ‘80 ha aperto uno studio ed ha iniziato a impiegare collaboratori nella realizzazione materiale delle opere, in una situazione simile per alcuni aspetti alla Factory di Andy Warhol.
http://www.jeffkoons.com/


*1. Jeff Koons, Aqualung, 1985. Bronzo, 
68.6 x 44.5 x 44.5 cm. Edizione di 3 più 1 PdA


Fa parte di una serie di oggetti comuni insolitamente dignificati dal fatto di essere stati riprodotti in bronzo, il materiale per eccellenza della stauaria classica.

La serie “Equilibrium”, di cui Aqualung fa parte, si lega alla mitizzazione di campioni dello sport da parte dei ragazzi: il pallone da basket, sospeso in una teca museale, diviene un oggetto di contemplazione:

*2. Jeff Koons, One Ball Total Equilibrium Tank (Spalding Dr. J 241 Series), 1985
vetro, acciaio, reagente sodio cloride, steel, acqua distillata, distilled water, 1 pallone da basket
, 164.5 x 78.1 x 33.7 cm. 
Edizione di 2


*3. Jeff Koons, Michael Jackson and Bubbles, 1988
porcellana,
106.7 x 179.1 x 82.6 cm, edizione di 3 più 1 PdA

Parte della serie “Banality”, del 1988, l’opera riproduce in grandezza naturale il celebre divo con il suo scimpanzè Bubbles. Il linguaggio è quello delle statuette ricordo vendute in caratteristici luoghi di pellegrinaggio popolare, per esempio la casa di Elvis Presley. Tre anni dopo, quest’opera viene venduta a un’asta di Sotheby’s per $5,6 milioni di dollari, e ora appartiene alla collezione del MoMA di Sn Francisco.

4. Pink Panther, 1988
porcellana, 
104.1 x 52.1 x 48.3 cm. 
Edizione di 3 più 1 PdA

5. Ushering in Banality, 1988
legno policromo
96.5 x 157.5 x 76.2 cm, 
Edizione di 3 più 1 PdA


Nel 1991, Koons sposa Ilona Staller, nota come Cicciolina, popolare pornodiva ungherese naturalizzata italiana, e posa con lei in Made in Heaven, una serie di foto, dipinti e sculture in pose sessuali esplicite che suscita un’ovvio clamore.
La situzione è resa particolare dal fatto che entrambi i personaggi sono già famosi: Koons come artista con una crescente tendenza a un divismo ispirato a quello dei musicisti pop e rock come Madonna o David Bowie, la Staller come pornodiva; sono una coppia nella realtà ed entrambi posano in queste immagini recitando, per così dire, la parte di se stessi. Scenografia e accessori imitano una certa pornografia con pretese artistiche degli anni ’50.

*6. Made in Heaven, 1989
Stampa litografica,
317.5 x 690.9 cm. 
Edizione di 3 più 1 PdA

7. Ilona On Top (Rosa), 1991
plastica, 
119.4 x 269.2 x 177.8 cm. 
Edizione di 1 più 1 PdA

8. Large Vase of Flowers, 1991
legno policromo, 
132.1 x 109.2 x 109.2 cm 
Edizione di 3 più 1 PdA

Nel 1992, il museo di Bad Aroldsen in Germania commissiona a Koons un’opera per una mostra. Il risultato è Puppy, scultura di 12 metri di altezza che rappresenta un cucciolo di West Highland terrier realizzato con un manto di piante fiorite multicolori montato su una struttura d’acciaio. L’opera, successivamente ricostruita su una struttura interna meno provvisoria e dotata d’impianto di irrigazione, è stata acquistata nel 1997 dalla Solomon Guggenheim Foundation e installata sulla terrazza esterna del museo di Bilbao. Una copia viene commissionata dal magnate delle comunicazioni Peter Brant e collocata all’esterno della sua residenza privata nel Connecticut.


*9. Puppy, 1992
acciaio inossidabile, legno (solo ad Arolsen), terra, tessuto geotextile, sistema di irrigazione interna, piante fiorite vive , l 
1234.4 x 1234.4 x 650.2 cm 
Installations at Arolsen 1992, Sydney 1995-96, Bilbao 1997 (installazione permanente), New York, Rockefeller Center 2000, collezione privata (installazione permanente),
1992

Nel 1999, Koons commissiona una canzone su se stesso per l’album Stars Forever del gruppo Momus.

Nel 2001 realizza la serie di dipinti “Easyfun-Ethereal”, la cui iconografia consiste in un collage di motivi che combina bikini ritagliati (senza i corpi), cibo, capelli e paesaggi, dipinti da assistenti sotto la sua supervisione:

10. Lips, 2000
olio su tela, 
259.1 x 350.5 cm

Fra la metà degli anni ’90 e i primi anni del 2000, Koons realizza la sua serie forse più famosa, “Celebration”, di cui fanno parte grandi oggetti come Balloon Dog o Hanging Heart, realizzati in acciaio con speciali vernici e ispirati iconograficamente ai palloncini da fiera.

*11. Hanging Heart (Red/Gold), 1994-96

Hanging Heart, esposta a Venezia, Palazzo Grassi per la mostra Where are We Going: Selections from the François Pinault Collection tra il 30 aprile e il 1 ottobre 2006, viene venduta il 4 novembre 2007 ad un'asta da Sotheby's a New York per la cifra di 23, 561 milioni di dollari, divenendo l’opera più cara mai venduta all’asta fino a quel momento. Ad acquistarla è la Gagosian Gallery di New York che compra negli stessi giorni anche un’altra opera di Koons, Diamond (Blue) per 11.8 milioni di dollari da Christie's a Londra.
Nel luglio del 2008, Balloon Flower (Magenta) viene venduto da Christie’s a Londra per la cifra record di 25.7 milioni di dollari.

Nel 2008, si è tenuta una grande retrospettiva di Koons a Versailles:
http://sullarte.it/photogallery/2008-09/jeff-koons-profana-versailles.php




Bibliografia
a) Jeff Koons:
http://www.jeffkoons.com/
http://en.wikipedia.org/wiki/Jeff_Koons
D.SYLVESTER, R. ROSENBLUM, Jeff Koons: Easyfun-Ethereal (cat. della mostra), Berlino, DeutscheGuggenheim, 2000 (con bibliografia)
http://www.palazzograssi.it/wawg/index.htm

http://studiotheoryrepair.wordpress.com/2011/04/03/repairing-art-through-instruction-conceptual-art/

http://www.youtube.com/watch?v=AQMUQzHtK3A&feature=relmfu

Seminario Biennio NTA Aggiornamento 1: I libri di Kiefer

Anselm Kiefer, Volkszählung, 1991
Berlino, Hamburger Banhof.



http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.econ-pol.unisi.it/blog/kiefer-library.jpg&imgrefurl=http://www.econ-pol.unisi.it/blog/%3Fp%3D1055&usg=__ytO-3URqQtHB4VrtcOuZJ_ORp6I=&h=300&w=400&sz=30&hl=it&start=12&sig2=2d3q9m4wkW49TSuCPidKbQ&zoom=1&tbnid=evnPpqHtR-dSVM:&tbnh=136&tbnw=208&ei=LruiTdP0NtrW4wbcsdH-Ag&prev=/search%3Fq%3Dkiefer%2Bhamburger%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26rls%3Den%26biw%3D1024%26bih%3D600%26tbm%3Disch0%2C525&um=1&itbs=1&iact=hc&vpx=143&vpy=237&dur=885&hovh=194&hovw=259&tx=183&ty=83&oei=KruiTcr6BtDv4ga_ysShAw&page=2&ndsp=13&ved=1t:429,r:5,s:12&biw=1024&bih=600


La serie di monumentali libri di piombo dedicata al poeta ebreo Paul Celan, realizzata nel 2006, dimostra l’importanza per Kiefer della conservazione della memoria, unico mezzo utile alla meditazione sulla tragedia umana.

http://www.undo.net/it/magazines/1097485140

http://www.amazon.com/Anselm-Kiefer-Paul-Celan-Mourning/dp/0500238367 


http://sullarte.it/articoli/2007-09/anselm_kiefer.php
http://www.undo.net/it/magazines/1097485140

Monumento collocato in fondo al celebre viale “Unter den Linden”, nei pressi dell’Università Humboldt e dell’Accademia di Belle Arti nella Bebelplatz, dove nel 1933 ebbe luogo il rogo dei libri “non tedeschi” :

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://3.bp.blogspot.com/_IFcVE-zfpPc/R9ezBpk7JJI/AAAAAAAAApg/D6tbE4zHPeE/s320/Humboldt.jpg&imgrefurl=http://elmericks.blogspot.com/2008/03/favorite-places-in-berlin-unter-den.html&usg=__78_EMsccBLqh9HYXQ-xZDzZ1aow=&h=240&w=320&sz=27&hl=it&start=173&sig2=HAXAXksK3eC70lMYcxz8Gw&zoom=1&tbnid=eCb4TersRGQv4M:&tbnh=128&tbnw=172&ei=BriiTZSyH8WT4gabu6T0Ag&prev=/search%3Fq%3Dhumboldt%2Bplatz%2Bberlin%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DN%26rls%3Den%26biw%3D905%26bih%3D584%26tbm%3Disch0%2C6798&um=1&itbs=1&iact=hc&vpx=610&vpy=169&dur=258&hovh=192&hovw=256&tx=193&ty=123&oei=I7aiTfPRIMLd4Aa50JyfAw&page=15&ndsp=12&ved=1t:429,r:11,s:173&biw=905&bih=584

lunedì 11 aprile 2011

Biennio 6. Concept store/La Nef del Grand Palais e Monumenta

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Biennio
Docente: Gloria Vallese




a) Concept store




Il primo concept store è stato aperto a New York nel 1986 dallo stilista statunitense Ralph Lauren.
“La capacità di accoglienza e il comfort stabiliscono i punti cardine della strategia del concept store: l’obiettivo infatti è quello di incrementare il numero dei visitatori e aumentare la loro permanenza all’interno del negozio. Quanto più si prolunga la durata della visita, tanto maggiore appare la probabilità di acquisto. Al contempo, la varietà dell’offerta permette anche di differenziare i target cui sono rivolte le proposte di esperienza. Lo stesso luogo che durante la giornata può proporre articoli di design per la casa, profumi, moda – la sera può trasformarsi in un luogo di attrazione per l’aperitivo, o in una libreria con sala da tè. Lo scopo è sempre quello di creare un universo completo di attese e di bisogni intorno ad un argomento, capace di connettere la molteplicità di oggetti e di servizi articolati nello spazio del concept store” (http://it.wikipedia.org/wiki/Concept_store).

http://blog.lamiaombra.it/2009/02/16/armani5th-avenue-il-concept-store-di-new-york/


Il concept store è una nuova forma di spettacolo, che non esisteva o era di portata assai più limitata qualche decennio fa, quando il negozio tradizionale lasciava le merci dietro il banco e frapponeva tra esse e il cliente un addetto alla vendita. In Italia il fenomeno è stato precorso, cosa singolare in un paese che non brilla per la diffusione del libro e della lettura in generale, proprio dalle Librerie Feltrinelli, che furono le prime a disporre i libri sui tavoli, per la libera consultazione da parte del lettore, introducendo in libreria oggetti d’intrattenimento ludico come i flipper e Juke-Box, cosa che destò scandalo all’epoca (1964; http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/infoutili/storia.html), un atteggiamento che è stato in seguito largamente imitato ed oggi è generalizzato.
Quella che un tempo la “vetrina”, il luogo d’invito tradizionale del negozio, ben distinta dallo spazio di vendita vero e proprio, si è estesa all’intero ambiente.

Dal punto di vista delle arti visive, questo significa che forme di espressione come l’installazione, e più genericamente la mostra d’arte, si trovano confrontate con un fenomeno di “concorrenza” da parte dell’ambito commerciale che un tempo non esisteva.



b) Grandi spazi


Il Grand Palais e la Nef:
http://www.grandpalais.fr/fr/Accueil/p-93-Accueil.htm

*Mostra “Dans la nuit des images”:
http://espresso.repubblica.it/style_design/cerca/4184076/1?keyword=leso

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Larte-elettronica-illumina-la-notte/2054006/9
(Nota per gli studenti: fare ricerche in dettaglio sugli artisti e gli altri personaggi citati)

Bernard Tschumi (architetto), Alan Fleischer (direttore), Le Fresnoy, the National Studio for Contemporary Arts in Tourcoing, France:

https://www.alibris.com/search/books/subject/Fresnoy%20Art%20center%20Tourcoing%20France

http://www.hentschlager.info/portfolio/karmacell/karmacell.html

http://video.google.com/videosearch?client=safari&rls=en&q=Ryoji%20Ikeda%20data%20tron&oe=UTF-8&um=1&ie=UTF-8&sa=N&hl=en&tab=wv#

http://video.google.com/videosearch?client=safari&rls=en&q=kaiser%20eshkar%20pedestrian&oe=UTF-8&um=1&ie=UTF-8&sa=N&hl=en&tab=wv


* 1. Anselm Kiefer e Monumenta:
http://www.monumenta.com/2007/index.php?option=com_content&task=view&id=212&Itemid=9

http://images.google.it/imgres?imgurl=http://graphics8.nytimes.com/images/2007/05/31/arts/31kief-600.jpg&imgrefurl=http://www.nytimes.com/2007/05/31/arts/design/31kief.html%3Ffta%3Dy%26pagewanted%3Dall&usg=__XtAN5MdtJ93fbPVQ0bhW7hiaSVk=&h=333&w=600&sz=104&hl=it&start=10&sig2=Ks4dUgTe4rLNoZ4tKKQ7Tw&tbnid=1q5TqDbCQ7XxcM:&tbnh=75&tbnw=135&prev=/images%3Fq%3Dkiefer%2Bgrand%2Bpalais%26gbv%3D2%26hl%3Dit%26sa%3DG&ei=cO7mSebUFoGPsAaFj5mABw

* 2. Richard Serra e Monumenta:
http://www.monumenta.com/2008/content/view/3/27/lang,en/

http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2008/may/13/art.culture

*3. Christian Boltanski, Personnes, 2010
http://www.youtube.com/watch?v=Lv7tatnhFAc

Boltanski, Monumenta e l'Hangar Bicocca a Milano:
http://www.savethedate.it/eventi/milano/christian-boltanski-in-mostra-a-milano-monumenta-hangar-bicocca.html

*Christian Boltanski e Monumenta
http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2010/jan/17/christian-boltanski-personnnes-paris-review

*4. Kapoor a Monumenta nel 2011:


http://www.rmn.fr/spip.php?page=expo-bientot-en


Bibliografia

Vedere i link indicati nel testo

Triennio 6. Ron Mueck /Tony Oursler/AES + F

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese







a) Ron Mueck




http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/gallery/2005/12/29/GA2005122900888_index_frames.htm?startat=1



Lo scultore australiano Ron Mueck è noto per le sue inquietanti figure umane iperrealistiche maggiori o minori del naturale, ma per il resto complete fino ai peli e ai capelli. Mueck, abituato a lavorare da fotografie, racconta in una celebre intervista del 2003 a Sarah Tanguy di Sculpture Magazine del suo primo traumatico incontro con un modello vivente:

http://www.sculpture.org/documents/scmag03/jul_aug03/mueck/mueck.shtml

“Avevo abbozzato in creta la figura di un uomo rannicchiato sotto le coperte”, racconta Mueck. “Poi ho cercato un modello che gli rassomigliasse abbastanza, ne ho trovato uno, e l’ho convocato in studio per una sessione di tre ore. Ma è risultato che non riusciva a prendere la stessa posa della mia figuretta sotto le coperte: non riusciva a flettere gli arti fino a quel punto, e la pancia gli era d’impaccio. Io da parte mia non ero abituato ad avere nello studio un’altra persona con cui dovermi relazionare mentre lavoravo, in più lui era nudo e completamente rasato, dettaglio che trovavo estremamente disturbante. Pensavo: ‘Cosa me ne faccio di questo tizio nudo?’ Gli ho chiesto di sedere in un angolo mentre riflettevo. Lui ha provato a suggerire alcune pose che poteva fare per me, e mi ha mostrato tutte quelle ridicole pose classiche che piacciono ai modelli viventi, erano così fasulle e innaturali che ho pensato che non c’era assolutamente modo per me di lavorare con lui. Stavo raccogliendo il coraggio per dirgli di andarsene prima della fine delle tre ore, e gli ho gettato uno sguardo mentre sedeva nel suo angolo aspettando che mi decidessi. Non era così scostante come appare nella scultura finita, ma la posa era quella. ‘Mi piace’, ho pensato”.



*3. Ron Mueck, Untitled (Big Man), 2000, , cm 205.7 x 117.4 x 208.8
Resina acrilica colorata su fibra di vetro.
Londra, Galleria Anthony d’Offay


http://www.jamescohan.com/
http://video.google.it/videosearch?q=ron+mueck+video&hl=it&emb=0&aq=-1&oq=#
http://video.google.it/videosearch?q=ron+mueck+video&hl=it&emb=0&aq=-1&oq=#



*4. Mask II, 2000.
Resina acrilica colorata, fibra di vetro.
New York, James Cohan Gallery



5. Untitled (Seated woman), 1999.
Resina acrilica colorata, fibra di vetro, silicone, poliuretano, stoffa.
New York, James Cohan Gallery



*6. Mother and Child, 2001.
New York, James Cohan Gallery



Mueck è nato nel 1958 a Melbourne, Australia. I suoi genitori fabbricavano giocattoli. Ha lavorato per quindici anni per show di pupazzi alla televisione, passando quindi agli effetti speciali cinematografici. Il suo lavoro nel cimena include Labyrinth, un film epico-fantastico del 1986 con David Bowie.
Muek si è quindi stabilito a Londra aprendovi un proprio studio di fotografia pubblicitaria. Possiede tuttora numerose figure realizzate per quell’attività, che tuttavia hanno la caratteristica di essere complete solo dal lato dal quale devono essere fotografate. Pur ammettendo che alcune possiedono “una loro presenza”, Mueck ne conclude che la fotografia distrugge l’impatto fisico dell’oggetto originale, e decide di darsi alla scultura.
Nel 1996, in collaborazione con la suocera, l’artista Paula Rego, produce piccole figure come parte di un tableau in mostra presso la Hayward Gallery. Quando la Rego vede l'opera intitolata Pinocchio rimane colpita e lo presenta al collezionista Charles Saatchi, che, impressionato da subito, inizia a raccogliere e commissionare suoi lavori. Nel 1997 Mueck partecipa a Sensation , la mostra che ha portato alla ribalta la più recente generazione di artisti britannici, con l'opera Dead Dad. Nei tre anni successiva alla sua partecipazione a Sensation:

http://en.wikipedia.org/wiki/Sensation_exhibition

Mueck ha preso parte a mostre nelle maggiori gallerie di New York e in Germania, è stato selezionato per il London Millennium Dome e ha tenuto una personale alla Anthony D’Offay Gallery.

Fin dai primi anni ’90, ancora nei giorni della sua attività di pubblicitario, Mueck inizia a chiedersi quali materiali possano avere un vero effetto realistico. Si usava il lattice fino a quel momento, ma Mueck desiderava qualcosa di più inalterabile, più preciso. La risposta è stata la vetroresina, che vide per caso impiegata nella decorazione sul muro di una boutique, e che da allora è diventato il suo materiale di elezione.
Le sue opere partono generalmente da modelli in creta e poi colati in vetroresina o silicone, con dettagli come unghie capeli e peli applicati in seguito.

.


Una caratteristica delle opere di Mueck è che

riproducono fedelmente ogni reale e minuto dettaglio del corpo umano, ma, al tempo stesso,
giocano con la riproduzione in scala, creando effetti insoliti e stranianti.



L’artista crea dapprima modellini in creta per decidere la posa della figura, poi la realizza in varie dimensioni per decidere la scala. Il passo successivo è eseguire il modello in creta, da cui poi si ricava lo stampo per gettare la figura in vetroresina o silicone. Infine si dipingono i dettagli.
Attualmente Mueck crea le sue figure in silicone, ma, dal momento che questo materiale attira la polvere e lo sporco, spolvera lui stesso le sue figure con borotalco (“polvere amica”, come lui la definisce), il che lascia meno spazio alla “polvere ostile”.

( Da: http://www.artmolds.com/ali/halloffame/ron_muek.htm , con bibl.)


Sulla scala nelle figure di Mueck:
http://www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-museum-ron-mueck

Sulla tecnica:

http://www.nationalgallery.org.uk/exhibitions/past/mueck.htm
http://www.mentalfloss.com/blogs/archives/24338



*7. Untitled (Boy), 1999, silicone, poliuretano, fibra acrilica

Questa scultura, alta cinque metri, è stata al centro di un importante passaggio dell’artista alla Biennale di Venezia nel 2001.


http://www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-museum-ron-mueck http: //www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-mus

L’artista è stato recentemente stato incliso nella mostra Statuephilia: Contemporary sculptors at the British Museum (Opere di Damien Hirst, Antony Gormley, Ron Mueck, Marc Quinn e Noble and Webster), 4 Ott. 2008 – 25 gen 2009 (vedere link in bibliografia).

Ron Mueck 2011:

http://christchurchartgallery.org.nz/exhibitions/ron-mueck/



b) Tony Oursler


L'artista americano Tony Oursler è nato nel 1957 a New York.

Il lavoro di Tony Oursler separa la proiezione dallo schermo, supporto tradizionale. Proiettati su oggetti, strutture o forme ovoidali, i video di Tony Oursler prendono un carattere ibrido, divertente e inquietante al tempo stesso.

Tony Oursler ha studiato presso il California Institute of the Arts 1976-1979. I suoi professori sono Michael Asher, John Baldessari e Kaare Rafoss.

Oursler, che proviene da un famiglia letteraria, manifesta un precoce interesse per le arti visive, la letteratura e la musica. È al California Institute of Arts che crea il suo primo video e fa la conoscenza di Mike Kelley, con il quale ha creato nel 1977 il gruppo The Poetics, gruppo punk-rock sperimentale sciolto nel 1983.

A partire dall'anno 1977, integra le sue installazioni in video figurativo e narrativo. E’ 'particolarmente noto per le sue installazioni che pongono lo spettatore di fronte a strani personaggi dal volto proiettato a mezzo video . Intrappolato in posizioni particolari, sotto un divano, sotto una sedia o sotto un materasso, il personaggio chiede aiuto o guardano lo spettatore.

http://en.wikipedia.org/wiki/Tony_Oursler



*8.Tony Oursler, MMPI (Self Portrait in Yellow), 1996, installazione audio-video. con videoproiettore, VCR, videotape, pupazzo in stoffa, sedia pieghevole in metallo
Milwaukee Art Museum

http://collection.mam.org/details.php?id=7903
http://www.youtube.com/watch?v=zzsg3mySJ5s&feature=related

La meditazione di Oursler prende avvio dal disagio psichico dell’adolescente, così come è espresso in The Loner, 1980, che rappresenta lo stile degli esordi dell’artista.

Frammento di The Loner:

*9. http://www.youtube.com/watch?v=MzrU1CqBob0

Intervista a Tony Oursler (2002):
http://www.youtube.com/watch?v=p-s4xzB5D2Q


Bibliografia

Vedere nel sito dell’artista schede dei musei e gallerie che hanno Oursler nelle loro collezioni (in fondo alla home page)


http://www.tonyoursler.com/individual_work_slideshow.php?navItem=work&workId=8&startDateStr=Feb.%206,%202010&subSection=Installations&allTextFlg=false&title=Number%207,%20Plus%20or%20Minus%202



c) AES +F




Fondato nel 1987, il gruppo AES (dalle iniziali dei tre artisti di Mosca Tatiana Arzamasova, Lev Evzovich, Evgeny Svyatsky ) raggiunge un primo stadio di celebrità internazionale con

The Islamic project (1996-2003): una serie sardonica di fotomontaggi che mostrava le grandi capitali trasformate da un ipotetico dominio mussulmano del mondo (la Statua della libertà col volto coperto dal velo, l’interno della cattedrale di Colonia denudato e islamizzato, il Museo Gehry di Bilbao arricchito di cupole e minareti; vedere la serie completa nel sito http://www.aes-group.org/).
Quest’opera e l’installazione connessa (una finta agenzia di viaggi, con poster, dépliants e gadget creati dal gruppo, che offriva ai visitatori di trasportarli in questi rinnovati luoghi del mondo), proietta decisamente AES oltre i confini nazionali: in vari paesi europei, negli USA, in Corea del Sud, e viene largamente ripresa dai media, anche non specializzati.


Lo stile di AES si trasforma considerevolmente con l’ingresso nel gruppo del fotografo di moda Vladimir Fridkes, nel 1995. L’ironia visuale si fa allora più insinuante, più complessa, e fanno la loro comparsa i giovanissimi, inquietanti fotomodelli che ad oggi caratterizzano gran parte dell’opera di quello che è nel frattempo divenuto AES+F .
Lavorando in collaborazione, i quattro creano un progetto, lo articolano, decidono con quali mezzi metterlo in atto: fotografia, video, installazione, o una combinazione di tutti questi media.
Ne Le roi des Aulnes (“Il re della foresta”), primo capitolo di un progetto video e fotografico in quattro parti, la storia base è un racconto dell’antico folklore europeo, in cui un misterioso tiranno rapisce i bambini più belli e dotati per tenerli rinchiusi nel suo castello. Il “re” di oggi, nella metaforica interpretazione del gruppo, è il mondo delle comunicazoni di massa, che punta su esseri umani sempre più giovani e belli e li fagocita sottraendoli a una vita normale. Per Le roi des Aulnes (il titolo in francese è in omaggio a un romanzo di Michael Tournier che elabora lo stesso mito) , il set è stato posto nel palazzo di Caterina II a Tsarkoye Selo (San Pietroburgo). In questo salone ornato di specchi e stucchi che la Rivoluzione russa considerava emblema di lusso e depravazione, sono ripresi e fotografati più di un centinaio di bambini, allievi di scuole di balletto e di atletica, oppure inviati da agenzie di modelli, tutti di età compresa fra i 3,5 e gli 11 anni. Un’atmosfera di erotismo morboso emana da questa raccolta di giovani corpi, che possono ricordare gli scatti classici di Vanessa Beecroft tranne che per un dettaglio: a questi ragazzini non è stato chiesto di posare in nessun modo particolare, posti davanti all’obiettivo, assicurano gli AES+F, si sono comportati spontaneamente come esperte star dei media.

Action Half Life (2003-2005) tocca un altro dei temi favoriti dal gruppo, la guerra: la guerra come spettacolo, proposta incessantemente dai media sia come cronaca che come fiction, nonché soggetto dell’immenso, accattivante, sempre più coinvolgente mondo dei videogiochi per bambini e adulti.

Il titolo stesso, Action Half Life, è il nome di un vero videogioco da computer. I bambini fotomodelli posano in inquietanti immagini, che evocano iconograficamente grandi poster di pubblicità di abbigliamento alla Benetton o Calvin Klein; brandiscono avveniristiche armi immaginarie (anch’esse copiate dai videogiochi) fra le sabbie del deserto del Sinai, sfondo di una guerra molto reale e apparentemente senza fine. L’ombra di tragedie vere, come quelle dei bambini soldato, si carica di ulteriore malessere in questa riedizione da poster di moda, impersonata da ragazzini levigati, pettinati e ben nutriti, che performano gli atti atroci dell’aggressione e dell’attacco mortale con volti inespressivi e indifferenti, oppure raggelati in esagerate espressioni di rabbia e angoscia come nella pittura classica.

Last Riot, presentato nel 2007 alla Biennale, ha contribuito al definitivo balzo del gruppo russo verso la celebrità mondiale. E' un video proiettato a loop su tre schermi giganti posti a semicerchio, un ideale trittico che ha come potente sottofondo sonoro La Walkiria di Wagner, forse la musica più intrisa di epica e mito che mai sia stata scritta. In primo piano il tema della guerra, raccontato da un’animazione in 3D che preleva, decontestualizzadoli e riassemblandoli in un surreale insieme astratto, paesaggi e figure dei videogiochi e di altri materiali visivi più inconsueti, per esempio quegli affascinanti filmati semiastratti, vagamente trionfalistici ma dal significato in definitiva oscuro, da cui le grandi case cinematografiche americane fanno precedere il loro film: pensate alle sigle della Columbia o della Metro Goldwin Meyer, per esempio. Montagne inaccessibili, voli di aquile, ma anche lanci di razzi, aerei in volo, lucertole preistoriche, un treno che lentamente si disarticola cadendo da un viadotto, nei vividi colori e nell’incerta spazialità dell’animazione 3D, danno vita a una guerra/sequenza di catastrofi ricca di eventi anche se volutamente priva di trama, ridotta a visualità pura. Le sequenze animate sono interrotte da inserti filmici (lunghi per la verità, e forse a tratti un po’ ripetitivi) in cui i giovani fotomodelli di Friedkes, questa volta tutti adolescenti e più Narcisi che mai, recitano le loro scene di guerra, morbose e sensuali nella descrizione ravvicinata di lame lungamente fatte scivolare vicino a gole palpitanti, in uno snervante rallentatore. Forse in questo film le due anime di AES+F, il terzetto di ideologi artisti e l’esasperato fotografo Friedkes, si mostrano meno fuse insieme del solito, almeno formalmente. Ma questo nulla toglie al profondo fascino inquietante di questo mondo audio-visuale, che conquista per la sua originalità e fa pensare.


AES+F al Macro Future/Padiglione di Roma
Dal 15 febbraio al 17 aprile 2008
Dopo il notevole successo ottenuto nel 2007 alla 52.a Biennale di Venezia con la presentazione di The Last Riot al padiglione russo, è questa la prima personale del gruppo in un museo italiano. Attraverso video, fotografie e sculture, la mostra ripercorre l’attività di AES+F nell’ultimo decennio (1997-2007), con particolare riferimento alla riflessione sui bambini e il loro rapporto col mondo mass media nella vita contemporanea. E’ firmata da una curatrice d’eccezione, la poliedrica Olga Sviblova, fondatrice nel 1996 di quello che è divenuto oggi il principale festival russo di fotografia e del connesso museo (la Moscow House of Photography), e direttrice del Multimedia Art Center (MAC) di Mosca.




*10. AES +F, The Islamic Project, 1996-2003

http://www.aes-group.org/ip3.asp


*11. AES +F , Last Riot, 2005-2007
http://www.aes-group.org/last_riot.asp

http://www.youtube.com/watch?v=g7TbvFyabrg



*12. AES +F, The Feast of Trimalchio, 2009
http://www.aes-group.org/tfot.asp
Screening of the video "The Feast of Trimalchio" by AES+F during the opening of 53rd Venice Biennale (10 min)
http://www.youtube.com/watch?v=8rDt3LKObuA&feature=related


AES +F 2011
http://www.vogue.it/en/people-are-talking-about/art-photo-design/2011/03/allegoria-sacra-aes-f



Bibliografia


Vedere le opere ei link citati nel testo

Seminari Triennio Aggiornamento 1

Seminario Storia della Biennale: i materiali verranno distribuiti nel corso delle lezioni


Seminario videogiochi:

AC Tour 1 Intro

Materiali:


http://en.wikipedia.org/wiki/Assassin's_Creed


Soggetto:

http://en.wikipedia.org/wiki/Corey_May


Musica:


http://en.wikipedia.org/wiki/Jesper_Kyd

http://higherplainmusic.com/2010/11/19/jesper-kyd-assassins-creed-brotherhood-ost-review/


Direzione artistica/Concept art

http://www.raphael-lacoste.com/
http://features.cgsociety.org/story_custom.php?story_id=4292



Platforming:

http://en.wikipedia.org/wiki/Platform_game

http://www.youtube.com/watch?v=hic88teDquo&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=55vsSgDVc-s&feature=related

http://it.wikipedia.org/wiki/Parkour

domenica 10 aprile 2011

ELEMENTI Dl ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 5. Klibansky, Panofsky, Saxl: la dottrina dei quattro umori, e l’interpretazione della Melencolia I di Dürer

Accademia di Belle Arti in Venezia
Docente:  Gloria Vallese
ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA






a) Iconografia della melanconia


*1. Dürer, Melencolia I, incisione, 1514.


Melencolia I (1514), forse l'opera più nota dell'artista, è una rappresentazione allegorica dai complessi richiami alchemici, ermetici e astrologici. La figura del genio alato con la testa che riposa sulla mano e l’epressione corrucciata allude alla condizione dell'artista, afflitto da "umor malinconico".
Considerata nel Medioevo una condizione senz’altro negativa, connessa al peccato capitale dell’Accidia, nel Rinascimento la melanconia era stata rivalutata e considerata caratteristica del genio, cui conferiva l’impulso a pensieri innovativi e ardimentosi, pur ostacolandone poi in qualche modo il concretamento. Si riteneva infatti che l’umore melanconico esaltasse da un lato le facoltà intellettuali, tendendo però dall’altro a inibire l’impulso all’azione pratica. La figura alata dureriana, frustrata nel suo impulso all’agire, è immersa in uno spazio colmo di oggetti e strumenti, ognuno dei quali si trasforma in un simbolo dai molteplici significati allusivi.

Un fondamentale chiarimento ai contenuti iconologici delle tre più note incisioni di Dürer, in particolare della Melencolia I, è venuto da Raymond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, con l’opera Saturno e la melanconia / Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it. Torino, Einaudi, 1983.

Questo libro è in effetti divenuto un classico obbligato, non solo per chi si occupa di Dürer e più in generale di iconografia rinascimentale, ma anche come esempio del metodo iconologico. Nata come interpretazione dell’incisione dureriana della Melencolia, l’opera si allargò fino a indagare tutta la tradizione medico-filosofica, letteraria e artistica che l’opera di Dürer presuppone.
Klibansky, Panofsky e Saxl individuano due tradizioni di studi sulla melanconia, una medico-scientifica ed un'altra teologico-metafisica; entrambe avrebbero la loro origine in un celebre passo del Fedro, in cui Platone distingue il «furore divino» dal «furore umano» e patologico, e nella dottrina dei quattro umori e temperamenti. Nel corso del Medioevo, come si è già accennato, la melanconia era stata interpretata principalmente come accidia ed era entrata a far parte dei vizi capitali. A partire dalla metà del Cinquecento la melanconia diventa un soggetto di grande rilevo, come dimostrano l'ampiezza e la trasversalità disciplinare dell'interesse che riscuote. Se proviamo, ad esempio, a scorrere alcuni dei nomi di coloro che scrissero sulla melanconia, vediamo come accanto ai medici abbiano larga parte anche umanisti, teologi e letterati.
I trattati che compaiono fino alla metà del Seicento hanno al centro la questione dell'origine della malattia mentale (se si tratti cioè di un problema fisico o spirituale) e i problemi ad essa connessi, in primo luogo il rapporto tra malattia e peccato, tra umori del corpo e malefici diabolici, tra ragione e passioni. L’inglese Robert Burton nel 1621, nelle pagine di quella che sarebbe diventata la più celebre opera sulla melanconia, The Anatomy of Melancholy, pose fianco a fianco le due tradizioni, quella cioè che considerava la melanconia un disturbo clinico, con precise cause temperamentali e naturali, accanto all’altra, di tradizione più nettamente medievale, che vedeva nella melanconia una forma di possessione diabolica.
Secondo i tre autori, il titolo “Melencolia I” iscritto nel cartiglio sarebbe da riferire in particolare al trattato De Occulta Philosophia” dell’umanista tedesco Cornelio Agrippa di Nettesheim”, l’unico autore coevo a descrivere, sulla scorta delle indicazioni contenute nei trattati dell’italiano Marsilio Ficino, tre gradi della melanconia corrispondente ai tre livelli di una gerarchia ascendente delle facoltà della mente umana (Imaginatio, Ratio, Mens); la stampa di Durer “raffigurando la melancholia imaginativa, rappresenterebbe in realtà il primo grado di un’ascesi che, passando per una “melencolia II (melanchonia rationalis), arriverebbe a una Melencholia III (melancholia mentalis), pag. 328.


Illustrazioni relative ai quattro umori :

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 79, 88—9, 118, 124-27, 147-48

Accidia:

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 64, 95, 97, 98, 101

*2. Mestro tardogotico, Acedia.
Venezia, Palazzo Ducale

3. Albrecht Dürer, Donna seduta, 1514. Disegno
Berlino, Kupferstichkabinett

*4. Bosch, I Sette Peccati Capitali, ol./tav., 1490 ca., part.: L’accidia
Madrid, Prado

5. Albrecht Dürer, Il sogno del dottore, incisione.

b) Collera:

*6. Leonardo da Vinci, Foglio di studi per la battaglia di Anghiari, ca. 1503-4
Windsor, RL 12326 r

7. Autore ignoto, Bassorilievo di Scipione, ca. 1475
Parigi, Louvre

*8. Leonardo, Profilo di guerriero, ca 1475
Londra, British Museum


9.Leonardo, Testa d’uomo e testa di leone, ca. 1510 o posteriore
Windsor, RL 12502

*10. Giuseppe Arcimboldi, Il Fuoco , 1566
Vienna, Kunsthistorisches Museum

*11. Albrecht Dürer, ‘L’uomo disperato’ (Incisione B 70), bulino



c) Terapia musicale della melanconia:

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 63, 67, 71



d) Leonardo, le “Cinque teste grottesche”

*12. Leonardo, “Cinque teste grottesche”, ca. 1494
Windsor, RL 12495 r
Proprio nel periodo in cui si accentuano i suoi studi sulle proporzioni e l’interesse per l’anatomia e la medicina, Leonardo sviluppa un singolare interesse per i volti deformi, studiati i numerosissimi fogli.
Sull’iconografia di questo disegno in particolare, si veda il classico studio di Ernst Gombrich citato in bibliografia. Gombrich fa un dotto e completo resoconto della storia della fortuna critica delle cosiddette “caricature” di Leonardo.
E’ possibile che le quattro teste deformi che attorniano il personaggio centrale siano da interpretare come le quattro degenerazioni patologiche dell’umore melanconico; sotto questo profilo, la composizione presenta analogie iconografiche con l’incisione B.70 di Dürer.








Bibliografia




Su Dürer e Venezia:


B. AJKEMA, B.L. BROWN (a cura di), Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1999), Milano, Bompiani.

E. PANOFSKY, La vita e l’opera di Albrecht Dürer (1955), trad.it. Milano, Feltrinelli, 1983


Sull’iconografia delle incisioni di Dürer e e sul tema umanistico della melanconia:

R.KLIBANSKY, E.PANOFSKY, F.SAXL, Saturno e la melanconia/Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it Torino, Einaudi, 1983.


Sull’iconografia degli umori:

R.KLIBANSKY, E. PANOFSKY, F. SAXL, Saturno e la melanconia/Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it Torino, Einaudi, 1983.


Su Giuseppe Arcimboldi:

VV. Effetto Arcimboldo (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1987), Milano, Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Etas Sonzogno, 1987

AA.VV, L’arcimboldese, FMR N°48, ,gennaio-febbraio 1987, 25-62

S.FERINO-PAGDEN (a cura di), Arcimboldo artista milanese tra Leonardo e Caravaggio (cat. della mostra a Milano, Palazzo Reale, 2011)


Su Leonardo, le “Cinque teste grottesche”:

E.H.GOMBRICH, Le teste grottesche, in L’eredità di Apelle (1976), trad. it. Torino, Einaudi, 1986, pagg.80-106
F. CAROLI, Leonardo/Studi di fisiognomica, Milano, Edizioni Leonardo, 1990
G. VALLESE, Leonardo’s “Malinchonia”, in “Achademia Leonardi Vinci” vol. V, 1992, pagg. 44-51

lunedì 4 aprile 2011

Biennio 5. Monumento e fissazione/Scultura soffice: Ernesto Neto

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA



a) Monumento e fissazione:


http://psychclassics.yorku.ca/Freud/Origin/origin1.htm#ftnt1

http://it.wikipedia.org/wiki/Ettore_Ferrari

http://cgi.ebay.it/IL-LAURO-E-IL-BRONZO-LA-SCULTURA-CELEBRATIVA-IN-ITALIA-/360331573453

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200811articoli/38195girata.asp

http://en.wikipedia.org/wiki/Vietnam_Veterans_Memorial

http://it.wikipedia.org/wiki/Memoriale_per_gli_ebrei_assassinati_d'Europa

Peter Homans (Ed.) The Ambiguity of Mourning and Memory at Century’s End, Charlottesville, University Press of Virginia, 2000

Alice Rayner, Ghosts, Death’s Double and the Phenomena of Theatre Minneapolis -London, University of Minnesota Press, 2006



b) Ernesto Neto



Ernesto Neto è considerato uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea in Brasile. La sua ispirazione deriva in parte dal neo-concretismo, movimento sviluppatosi in Brasile alla fine degli anni ’50, per opporsi alla rigidezza e all’astrazione geometrica del razionalismo in nome di un nuovo senso dell’organicità e di un diverso coinvolgimento dell’utente nell’architettura.
Le opere di Neto sono installazioni astratte, che spesso invadono l’intero spazio espositivo, realizzate con materiali e forme che evocano il mondo organico.
Molto importante il suo passaggio alla 49.a Biennale di venezia nel 2001, con opere sia al Padiglione Nazionale del Brasile che alla mostra internazionale alle Corderie. Qui Neto ha rivelato al pubblico internazionale l’originalità del suo lavoro di scultore: un foresta di grandi “mammelle” in lycra, soffici, semitrasparenti e pendenti dal soffitto, stirate verso il basso da polveri di spezie il cui profumo sensuale si diffondeva nello spazio espositivo, avvertibile già in distanza, e che si accumulavano pian piano sul pavimento, cambiando ogni giorno l’aspetto dell’opera.



*1. Ernest Neto, O Bicho!, 2001.
Tessuto e spezie. Installazione presso le Corderie dell’Arsenale, nell’ambito della 49.a Biennale di Venezia.



Una delle due installazioni al padiglione nazionale del Brasile era praticabile, suggerendo allo spettatore qualcosa come l’interno di un ventre, un ambiente soffice e accogliente:


http://www.universes-in-universe.de/car/venezia/bien49/bra/e-neto.htm

http://www.abc.net.au/arts/visual/stories/s424390.htm


Nel lavoro degli anni successivi, Neto ha spinto ancora oltre la sua ricerca in direzione di una scultura organica e sensuale: con Humanoids, ha realizzato sculture soffici che il visitatore può non solo toccare, ma anche abbracciare, e penetrare col proprio corpo:

http://www.we-make-money-not-art.com/archives/2006/02/-big-thanks-to.php


Queste opere erano al centro della mostra presentata a Malmö in Svezia, interamente imperniata sull’idea di una scultura “femminile” organica ed amichevole:

*2. Ernesto Neto, Humanoids, 2006.
Malmö, Konsthall

Sulla mostra: The Malmö Experience
18.02.2006 – 01.05.2006, Malmö Konsthall, Svezia
vedere:

http://www.konsthall.malmo.se/o.o.i.s/2741


L’installazione recentemente realizzata da Neto per il MACRO di Roma è una sorta di architettura fluttuante, dalle forme organiche e floreali, che invita il pubblico ad attraversarla. La scultura in lycra, agganciata alle capriate in ferro della copertura in vetro della galleria, arrivava sospesa fino a circa un metro da terra e conteneva le polveri finemente macinate di 5 spezie: pepe, cumino, chiodi di garofano, zenzero, curcuma.

3. Ernesto Neto - Mentre niente accade / While nothing happens
Roma, 29 Maggio 2008 - 28 Febbraio 2009
MACRO Hall, MACRO (Sede principale)

http://www.macro.roma.museum/mostre_ed_eventi/mostre/ernesto_neto_mentre_niente_accade_while_nothing_happens

*4. Ernesto Neto, Anthropodino, 2009
Commissionato dal Park Avenue Armory per la Wade Thompson Drill Hall, New York

http://www.youtube.com/watch?v=K5ANu8hxw5Y
http://www.youtube.com/watch?v=UX5lA8MJqXI&NR=1


Ernesto Neto al Macro di Roma nel 2011:

http://www.teknemedia.net/archivi/2011/3/9/mostra/43770.html
http://www.teknemedia.net/pagine-gialle/artisti/ernesto_neto/dettaglio-mostra/43719.html

Ernesto Neto 2012:

http://www.tanyabonakdargallery.com/artist.php?art_name=Ernesto%20Neto

Bibliografia
Vedere i link indicati nel testo

PUBBLICATO DA GLORIA.VALLESE A 00:56 0 COMMENTI
ETICHETTE: 49.MA BIENNALE DI VENEZIA, ANTHROPODINO, DIA CENTER, ERNESTO NETO, HUMANOIDS, O BICHO

ELEMENTI Dl ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 3. L’Europa del Nord / Il mondo ai margini

a) Bosch, Brant e il tema della follia



Sebastian Brant nacque a Strasburgo nel 1457 (morì nel 1521). Tradusse autori latini e scrisse poesie religiose in latino. La sua fama è legata al poema La nave dei folli (Das Narrenschiff, 1494) redatto originariamente in dialetto alsaziano e intercalato da proverbi: una mordente satira delle follie umane, che Brant propone di guarire con l’ironia. L’opera, tradotta in seguito in latino e in diverse lingue europee moderne, fu il primo best-seller della storia della stampa, prototipo di una copiosa letteratura sul tema della follia umana per tutto il XVI e XVII secolo. Fra i primi imitatori, il parigino Josse Bade, che scrisse nel 1502 una “Nave delle pazze”.
Capolavoro di questo fortunato filone letterario è L’elogio della follia (Encomium Moriae) di Erasmo da Rotterdam, una fra le maggiori personalità dell’umanesimo nordico, pubblicato per la prima volta nel 1508.
L’olandese Jheronimus Bosch (1450 ca.-1516) è il primo artista a tradurre in pittura il tema della follia, creando iconografie originali. Le sue fonti sono i fogli silografici e le illustrazioni dei libri da un lato, dall’altro le vignette e le illustrazioni marginali, dense di ironia, dei miniatori tardogotici nordici, in particolare della scuola di Utrecht.



*1. Jheronimus Bosch, La Nave dei folli , ol./tav., 1490-1500 ca.
Parigi, Louvre

2. Nave dei pazzi con Eva come madre di tutti i pazzi , silografia da Stultiferae naviculae ("Le navicelle delle donne pazze"), Johannes Prüss, Lione 1502

3. Navicella delle follie del gusto, silografia da Stultiferae naviculae ("Le navicelle delle donne pazze"), Johannes Prüss, Lione 1502

4. Bosch, La Nave dei folli , ol./tav., 1490-1500 ca., part.: figure che mordono un oggetto sospeso.
Parigi, Louvre

5. Due teste mordono un oggetto sospeso, miniatura, Libro d’Ore di Gysbrecht de Brederode, Utrecht, 1460 ca., fol. 63
Liegi, Bibliothèque de l’Université, MS Wittert 13

6. Capolettera con testa grottesca, miniatura, Libro d’Ore di Gysbrecht de Brederode, Utrecht, 1460 ca.
Liegi, Bibliothèque de l’Université, MS Wittert 13, fol.131v

*7. Jheronimus Bosch, Incoronazione di spine, tavola, 1510-16.
Londra, National Gallery

8. Jheronimus Bosch, ‘Il carro di fieno’, tavola, 1500-05 circa, part.: musicista grottesco
Madrid, Prado

8. Jheronimus Bosch, ‘Il carro di fieno’, tavola, 1500-05 circa, part.: musicista grottesco
Madrid, Prado

9. Liedet Lyset e Philippe de Mazerolles, Musicista grottesco. Ornato marginale dalle Chroniques d’Hainault di Jean Froissart.
Berlino, Staaatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz

*10. Jheronimus Bosch, La Morte dell’Avaro , ol./tav., 1490-1500 ca.
Washington, National Gallery

11. La morte entra nella camera di un malato, miniatura.
Parigi, Bibl.Nat., MS Lat. 9471, fol 196

12. L'avaro che accumula, silografia dal Narrenschiff ("La nave dei Folli") di Sebastian Brant, edizione del 1494


b) Iconografia dei manoscritti


La pagina del manoscritto miniato medievale ha tre partizioni: il testo, in latino o in volgare, con numerose abbreviature, opera dello scriptor; la vignetta principale, a carattere narrativo e per solito strettamente correlata al contenuto del testo, opera di un pittore specializzato, l’historiator; e dei margini decorati più liberamente, spesso con immagini grottesche o con scene della vita quotidiana, il cui ruolo è di allietare il lettore, rendere gradevole la pagina, farla “ridere” (“più ridon le carte/che pennelleggia Franco bolognese”, recita un celebre verso di Dante). La decorazione marginale è opera di un terzo artista specializzato, l’illuminator, l’illuminatore. E’ proprio a partire dai margini dei libri a destinazione privata, che a partire dal tardomedioevo si svilupperà una vera e propria rivoluzione pittorica, in direzione sia di una satira paradossale e trasgressiva, sia di un accentuato realismo quotidiano, di cui come si è visto Jheronimus Bosch sarà tra i primi a cogliere il senso e a tradurlo in pittura.


13. Iniziale “C” con Chierici che cantano da un libro e margine con Caccia alla rovescia. Pagina dal Salterio di Guy de Dampierre, Fracia Sett., 2.a metà del sec. XIII.

14. Vignetta con San Sebastiano e ornato marginale con cavalieri grotteschi, dal Livre d’Heures di Gysbrecht de Brederode. Utrecht, 1460 ca., fol. 125 verso

15.-29. Pagine dal Libro d’Ore di Caterina di Cléves, Utrecht ca. 1440
New York, Pierpont Morgan Library, MSS. 917 e 945



Bibliografia



Iconografia della morte nel tardo Medioevo:

A.TENENTI, il senso della morte e l’amore della vita nel rinascimento (1957), Torino, Einaudi


Bosch e l’iconografia della follia nel Rinascimento:

G.VALLESE, Il tema della follia nell’arte di Bosch: iconografia e stile, “Paragone/Arte” n° 405, novembre 1983, pagg. 3-49
G.VALLESE, Follia e mondo alla rovescia nel Giardino delle Delizie di Bosch, “Paragone/Arte”
n° 447, maggio 1987, pagg. 3-22


Iconografia marginale dei manoscritti:

V. FLINT, The Rise of Magic in Early Medieval Europe, Oxford, Clarendon, 1991
M. CAMILLE, Image on the Edge/The Margins of Medieval Art, Londra, Reaktion Books, 1992
J.PLUMMER (a cura di), The Hours of Catherine of Cleves, New York, Braziller, 1966

Biennio 4. Iconografia del contemporaneo: Michal Rovner o l’identità negata/Creative industries

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA




a) Michal Rovner



Michal Rovner gioca con l’iconografia in modo molto sottile, magistrale. Le sue immagini sono concepite in modo da creare da un lato un preciso riferimento visivo a repertori d’immagini ben noti (soldati contemporanei nel deserto, reclusi in un campo di prigionia), ma escludendo nello stesso tempo gli elementi che potrebbero precisare l’identificazione, impedendoci di riferire l’immagine a un luogo o a un momento ben definiti nel tempo.
Nata in Israele nel 1957, Rovner ha studiato cinema, televisione e filosofia all’università di Tel Aviv e si è laureata in arti visive all’Accademia Bezalel. Nel 1978, ha fondato insieme con il suo fidanzato la Camera Obscura Art Scool a Tel Aviv per studi nel campo del cinema, del video e della computer art. Per parecchi anni ha sviluppato la ricerca artistica a margine della sua attività di fotogiornalista e fotografa pubblicitaria; ma alla fine degli anni ’90, con opere come

*1. Overhanging (1999), installazione video

la sua poetica visiva, basata su un raffinato uso dell’immagine sfocata, ambigua, e dei contrassegni iconografici, comincia a prendere dei connotati precisi.
Concepita in un periodo in cui l’artista si era trasferita da poco da Israele a New York e seguiva in televisione i resoconti della guerra del Golfo, Overhanging ha per tema l’ambivalenza dell’immagine e il dubbio margine di verità che hanno i resoconti televisivi in generale.
Su una serie di venti schermi, posti su due file affrontate, Rovner fa scorrere le immagini di due distinte situazioni: una tempesta di neve a New York e una di sabbia nel deserto di Israele, entrambe filmate non direttamente, ma davanti allo schermo del televisore. Le due serie contrappongono, fino a confonderli e a renderli identici, gruppi di figure in difficoltà, resi indistinti dalle condizioni atmosferiche, anonime immagini di esseri umani in lotta e in pena.
Proprio su quest’opera, esposta nella prima importante restrospettiva di metà carriera della Rovner, al Whitney Museum nel 2002, si appuntarono delle critiche: le sue figure di soldati nel deserto, volutamente indistinte, cancellavano i contrassegni di nazionalità non permettendoci di capire se quelle figure in lotta erano “i nostri” o gli altri, quelli da amare da amare o quelli da odiare.
Chiamata a rappresentare Israele alla Biennale di Venezia del 2003, con la sua monografica Against order? Against disorder? Rovner alzò il tiro, chiarendo coraggiosamente che quella era esattamente la sua intenzione: con un memorabile gruppo di opere nuove, tematicamente collegate tra loro, mostrò immagini riferibili a campi di prigionia, allo sterminio, all’olocausto, ma rimuovendo ancora una volta i contrassegni che avrebbero potuto ancorare quelle immagini a un momento storico preciso e ben individuato. In tal modo, le immagini alludono non alle sofferenze di un popolo particolare in un determinato momento storico, ma a qualcosa di più inatteso, e se possibile, ancora più inquietante: al mostro dell’oppressione, sempre in agguato, non confinato in modo rassicurante nel passato, ma vivo e temibile oggi come un tempo, forse attivo ancora, in qualche luogo, nel tempo presente.
Il video all’ingresso del padiglione, che annunciava il tema dell’intera mostra, faceva soffermare il pubblico a lungo. Mostrava un gruppo d’uomini che camminavano in circolo, come nei luoghi di prigionia di ogni tempo. Lo sfondo, di un bianco abbacinato, poteva sembrare di neve, e qualcosa nel taglio dei lunghi pastrani di quelle figure sfocate e indefinite poteva ricordare gli anni ’30 o ’40, ma solo molto vagamente. Ed erano poi veramente prigionieri? Non c’erano sorveglianti in vista, e ogni tanto qualche figura si staccava dal circolo e si allontanava, mentre gli altri continuavano il loro monotono percorso in cerchio. Appesi alle altre pareti della sala, alcuni still da video mostravano lo stesso cerchio di figure ripreso dall’alto. Al piano di sopra, il visitatore trovava la vera, forte sorpresa: dei tavoli in penombra, su cui erano disposti dei contenitori circolari in vetro simili alle capsule da coltura usate nei laboratori. All’interno delle capsule, file di minusoli uomini ripresi dall’alto formavano gli strani cerchi, le spirali, le catenelle che abbiamo visto molte volte annodarsi e snodarsi nei documentari scientifici che mostrano la vita dei microrganismi.
Quest’opera,
*2. Data Zone, 2003, videoinstallazione
era un vero choc: esseri umani come batteri? Messi da qualcuno a quest’abissale distanza visuale che li rende esseri minuscoli, insignificanti, usabili per gli esperimenti?
Sul fondo delle capsule, gli omini minuscoli come batteri continuavano a comporre e scomporre le loro indecifrabili figure.
Ora noi sappiamo che questo è realmente accaduto, che in uno dei momenti più scuri del XX secolo e dell’intera storia umana qualcuno ha davvero trattato altri uomini in questo modo, li ha distanziati a una profondità abissale, li ha visti come esseri infimi, li ha usati per esperimenti. Ma questa installazione video di Michal Rovner, non mostrando alcun connotato d’epoca e di luogo, lascia adito a dubbi: chi mette sotto il microscopio chi? Chi è l’oppressore e chi è l’oppresso in questo momento, nelle guerre del presente?
Nell’installazione della stanza successiva,
Time Left, 2000, videoinstallazione
le pareti erano interamente ricoperte da file orizzontali sovrapposte di minuscoli omini che marciavano verso una meta indefinita, ordinati e indecifrabili. Con una eccezionale economia di mezzi, Rovner riusciva a suscitare un grande senso di mistero.

Dal catalogo della Biennale 2003:

Commissario e Curatore: Mordecai Omer
Commissari aggiunti: Diana Shoef, Arad Turgeman
Artista: Michal Rovner

Il tempo rimasto 
“Nel padiglione israeliano presentiamo due videoinstallazioni di Michal Rovner. Il progetto di Time left presenta file orizzontali di figure nere contro uno sfondo scuro. Sovrapposte dal pavimento al soffitto lungo le quattro pareti, queste immagini suggeriscono una forma di testo e somigliano a geroglifici egiziani o a una sezione dei manoscritti del Mar Morto. Le immagini seguono un passo lento e ripetitivo, in cui c'è movimento ma non si vede progressione”. 
“Michal Rovner ha eseguito le riprese per la sua opera in Russia, Romania e Israele. Per gli spettatori, il luogo dov'è stato ripreso il video non è né evidente né importante al fine di leggere l'opera, ma comunque, i luoghi sono stati accuratamente selezionati da Rovner come punto di partenza per creare la sua ambientazione”.
“Nelle sue opere precedenti, Rovner conduceva una ricerca sul significato dei confini e il loro attraversamento incerto. Qui individua un suo testo linguistico creato attraverso il video. Nelle sue opere precedenti, il video stabiliva un dialogo con i valori della pittura, un testo linguistico difficile da decifrare. Pur in assenza di un avanzamento o un cambiamento, dove tutto rimane uguale in uno stato di flusso permanente, lo spettatore è immerso in una tensione che non lo lascia per tutta la durata dello spettacolo”.
“Quanto all'opera recente di Rovner, Data zone, questa si può leggere come ricerca intensa sulle dinamiche e le energie umane. È una ricerca scientifica, che sonda la cavia umana al suo livello più fisico e molecolare, rimandando a fenomeni quali la clonazione. Ma al tempo stesso indaga sulla psiche umana e lo stato mentale dell'essere”.
Mordecai Omer

Michal Rovner si considera un'artista nomade, il cui percorso inizia in Israele negli anni Ottanta, ma l'affermazione sulla scena artistica internazionale avviene nei primi anni Novanta, dopo il trasferimento a New York, che rimane tuttora la sua "seconda base" dopo la sua casa nel deserto nei pressi di Tel Aviv. 
Il costante spostamento caratterizza non solo il suo percorso personale ma anche il suo modo di lavorare, che è un continuo passaggio tra mezzi e tecniche diversi: fotografia, video e cinema. 
Il "nomadismo", lo "spostamento" nelle zone di confine e nei territori incerti sono i temi che affronta e che danno una forte impronta all' immaginario visivo che crea. E' un immaginario popolato da figure dai lineamenti spesso irriconoscibili, ombre e sagome umane e animali, che evocano atmosfere che possono sembrare estremamente poetiche e drammatiche allo stesso tempo. Queste zone di confine sono per la Rovner i luoghi dove si è più consapevoli della fragilità dell'esistenza umana, il tema centrale del suo lavoro, ed è per questo che le figure appaiono prive di un'identità definita, in modo da sembrare più universali e vicine a tutti. 

Michal Rovner ha esposto in Italia presso la Galleria Stefania Miscetti di Roma

http://www.studiostefaniamiscetti.com/artist_bio.php?id=10






http://www.youtube.com/watch?v=lXX9xrDJt-8&feature=related
In opere successive, l’allusione al cammino dell’uomo nel mondo come un’arcana scrittura si precisa: in Stones, Rovner presenta in bacheche di vetro, simili a quelle dei musei, delle pietre su cui gli omini in fila si muovono scorrendo e appaiono simili ai segni di una misteriosa, indecifrata scrittura.
Altre opere:
4. In Stone:
www.pacewildenstein.com
http://www.youtube.com/watch?v=ibLfFyOqcjc
5. Makom II
http://www.youtube.com/watch?v=SHwAc51r5F0&feature=related
*6. Untitled, dalla serie Outside, 1991
http://www.corcoran.org/collection/highlights_main_results.asp?ID=118
http://www.metmuseum.org/search/iquery.asp?datascope=all&command=text&attr1=%22Rovner%22

Bibliografia:


BEDARIDA, Partecipazione israeliana alla cinquantesima Biennale di Venezia, www.archimagazine.com/rbeda.htm, pagg. 3/7
Sogni e conflitti/La dittatura dello spettatore, %=.ma Esposizione internazionale d’arte “La Biennale di Venezia”, a cura di Francesco Bonami, Marsilio Editore, 2003, pagg.348-349
G.VALLESE, Rovner, “Arte ”, gennaio 2003




b) Presentazione del libro
Creative Industries, di John Hartley, Blackwell, 2005.
http://books.google.it/books?id=dKytfKUptrMC&dq=hartley+creative+industries&source=gbs_summary_s&cad=0
Messa a fuoco sull’articolo di Henry Jenkins, Games: The New Lively Art.
Jenkins paragona il fenomeno attuale dei videogames, ancora immaturo artisticamente per molti versi ma carico di qualità innovative rivoluzionarie, all’irrompere delle nuove arti quali il cinematografo e il teatro di varietà all’inizio del ‘900, e cita dai numerosi manifesti di Filippo Tommaso Marinetti sul Teatro Futurista creando un parallelo convincente. Altro riferimento per Jenkins è Seldes, il Marinetti americano, le cui analisi sui mezzi innovativi degli anni ’20, dalla radio al fumetto al vaudeville, sono presentate nel saggio Seven Lively Arts del 1924.

Seldes, Seven Lively Arts, ipertesto:
http://xroads.virginia.edu/~HYPER/SELDES/cover.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Creative_industries











Dal catalogo

Commissario e Curatore: Mordecai Omer
Commissari aggiunti: Diana Shoef, Arad Turgeman
Artista: Michal Rovner

Il tempo rimasto 
Nel padiglione israeliano presentiamo due videoinstallazioni di Michal Rovner. Il progetto di Time left presenta file orizzontali di figure nere contro uno sfondo scuro. Sovrapposte dal pavimento al soffitto lungo le quattro pareti, queste immagini suggeriscono una forma di testo e somigliano a geroglifici egiziani o a una sezione dei manoscritti del Mar Morto. Le immagini seguono un passo lento e ripetitivo, in cui c'è movimento ma non si vede progressione. L'esperienza dove la stanza intera circonda lo spettatore mentre le linee, le file e le parole aleggiano insieme nella forma di una carta o di un testo è tra movimento e stasi. L'opera di Rovner è come un film senza inizio e senza fine. Nonostante la sua proiezione da diversi punti d'origine, l'effetto è unitario senza giunture. Ha una continuità perfetta. La riduzione dei particolari dà all'opera una potenza grafica nella quale le immagini sono spogliate di qualsiasi identità e non presentano alcun riferimento a un luogo o a un tempo.

(...) Michal Rovner ha eseguito le riprese per la sua opera in Russia, Romania e Israele. Per gli spettatori, il luogo dov'è stato ripreso il video non è né evidente né importante al fine di leggere l'opera, ma comunque, i luoghi sono stati accuratamente selezionati da Rovner come punto di partenza per creare la sua ambientazione.

Come artista israeliana che vive in America e crea la sua arte da immagini riprese in Israele, in Russia e in altre parti del mondo, Rovner attraversa le frontiere nazionali e crea ciò che ella chiama "nuove realtà" da nazioni e situazioni politicamente esplosive.

Si tratta di un testo sull'umanità, pieno allo stesso tempo della presenza e dell'assenza di persone. C'è un vuoto. L'installazione è basata sui contrasti fra la luce e l'oscurità e rivela la tensione fra i valori fondamentali e le condizioni esistenziali della nostra sopravvivenza.

Nelle sue opere precedenti, Rovner conduceva una ricerca sul significato dei confini e il loro attraversamento incerto. Qui individua un suo testo linguistico creato attraverso il video. Nelle sue opere precedenti, il video stabiliva un dialogo con i valori della pittura, un testo linguistico difficile da decifrare. Pur in assenza di un avanzamento o un cambiamento, dove tutto rimane uguale in uno stato di flusso permanente, lo spettatore è immerso in una tensione che non lo lascia per tutta la durata dello spettacolo.

Quanto all'opera recente di Rovner, Data zone, questa si può leggere come ricerca intensa sulle dinamiche e le energie umane. È una ricerca scientifica, che sonda la cavia umana al suo livello più fisico e molecolare, rimandando a fenomeni quali la clonazione. Ma al tempo stesso indaga sulla psiche umana e lo stato mentale dell'essere.
Mordecahi Omer

Michal Rovner si considera un'artista nomade, il cui percorso inizia in Israele negli anni Ottanta, ma l'affermazione sulla scena artistica internazionale avviene nei primi anni Novanta, dopo il trasferimento a New York, che rimane tuttora la sua "seconda base" dopo la sua casa nel deserto nei pressi di Tel Aviv. 
Il costante spostamento caratterizza non solo il suo percorso personale ma anche il suo modo di lavorare, che è un continuo passaggio tra mezzi e tecniche diversi: fotografia, video e cinema. 
Il "nomadismo", lo "spostamento" nelle zone di confine e nei territori incerti sono i temi che affronta e che danno una forte impronta all' immaginario visivo che crea. E' un immaginario popolato da figure dai lineamenti spesso irriconoscibili, ombre e sagome umane e animali, che evocano atmosfere che possono sembrare estremamente poetiche e drammatiche allo stesso tempo. Queste zone di confine sono per la Rovner i luoghi dove si è più consapevoli della fragilità dell'esistenza umana, il tema centrale del suo lavoro, ed è per questo che le figure appaiono prive di un'identità definita, in modo da sembrare più universali e vicine a tutti. 

9-12), Tavole dalla serie Co-existence 2, 2002. Pigmento puro su carta, 56 x 75 cm. Ed. 1 di 5.
Londra, Stephen Friedman Gallery


Bibliografia:


R. BEDARIDA, Partecipazione israeliana alla cinquantesima Biennale di Venezia, www.archimagazine.com/rbeda.htm, pagg. 3/7
G.VALLESE, Rovner, “Arte ”, gennaio 2003

domenica 3 aprile 2011

Triennio 4. Mariko Mori

Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA




Mariko Mori



L’artista giapponese Mariko Mori inizia a lavorare nella metà degli anni ‘90, realizzando fotografie che la ritraggono in abiti da lei stessa disegnati nello scenario urbano contemporaneo. Cyborg e geisha, le donne di queste immagini provocano i passanti con i loro abbigliamenti estremi associati ad atteggiamenti sottomessi e invitanti.
Come scrive Costanza Baldini, “L’artista gioca con lo stereotipo femminile, creando provocatorie reazioni alla subalternità della donna in Giappone, tramite figure di donne artificiali, a metà tra l’umano e l’androide, cyborg venute dal futuro, ‘electric geisha’ con un’aura da creature mitologizzate e distanti “ (http://www.vitaminic.it/2008/01/cross-the-line-14-bjorkmariko-mori/ ).

La tecnologia usata in questa prima fase è seduttiva, spettacolare, fatta di luci e flash, effimera, e crea un effetto di coinvolgimento straniante per chi guarda in modo leggero e piacevole.

*1. Mariko Mori, Birth of a star, 1995 . Lightbox con audio, 183 x 122 cm
http://www.deitch.com/projects/sub.php?projId=68
Quest’opera è connessa a un’importante mostra a New York e Tokio, MADE IN JAPAN (1996), con la quale la giovane artista ha richiamato l’attenzione della critica di tutto il mondo.
In questa e in altre opere, Mori appare in prima persona come una ragazzina giapponese appassionata dei manga o un’aliena, bambola consumistica da un pianeta di plastica.
Con queste immagini e questi materiali, l’artista enuncia quelli che saranno i suoi temi per il decennio successivo: riferimenti al mondo pop della moda e dei fumetti, il corpo usato come in quella forma di body art collettiva che è la moda, piegato a linee estremamente artificiali.


2. Mariko Mori, Tea Ceremony, 1995, serie fotografica.


*3. Miko No Inori, video, 1996.
http://www.youtube.com/watch?v=Bwl6G9L6bk8

L’inizio della transizione verso tematiche più complesse avviene verso la metà della sua carriera, intorno alla fine degli anni ’90.
Un’opera del 1997, intitolata Nirvana, è in questo caso significativa. Si tratta di un video tridimensionale presentato alla Biennale di Venezia del 1997, in cui la Mori assume le sembianze della dea buddista Kichijoten.
Gli spettatori, forniti di occhiali speciali che consentono la visualizzazione tridimensionale, sono immersi nello spazio illusorio del video. Presenti in prima persona nell’atmosfera fiabesca e senza tempo del paesaggio, sono chiamati a contemplare da vicino le magiche trasformazioni della dea, la cui eterea apparizione è accompagnata da segni miracolosi come profumi, musiche e l’improvviso materializzarsi di presenze fisiche.

*4. Mariko Mori, Nirvana, 3D video, 1997

Questa nuova linea espressiva, in cui l’artista prende sempre più sul serio il suo ruolo di mediatrice di contenuti spirituali, bilanciando la più antica tradizione con le tecnologie più innovative, si manifesta perfettamente nella mostra che la Mori tiene nel 1999 alla Fondazione Prada, intitolata Garden of Purification. La mostra culmina in una complessa e monumentale installazione: gli spazi visionari del Dream Temple.


5. Mariko Mori, Dream Temple, installazione multimediale, 1999.


La mostra culmina in una complessa e monumentale installazione: gli spazi visionari del Dream Temple, per il quale Mori si è ispirata allo Yumedono (”Padiglione dei sogni”) di Horyuuji, il tempio più antico del Giappone, fondato nel 607 dal principe Shoutoku (574-622).

http://www.fondazioneprada.org/
http://www.fondazioneprada.org/ita/comunicati/MM.ITA.pdf

Dream Temple segna il passaggio alla fase stilistica più recente in cui Mori si ritira fisicamente dalle sue grandi installazioni, lasciando spazio all’interattività tra il pubblico e l’opera. Quest’ultima è spesso un’installazione imponente, realizzata con grrandi mezzi e sofisticate tecnologie.
Ne è un esempio l’installazione interattiva ‘Wave UFO’, che l’artista presenta alla Biennale di Venezia nel 2005.


*6. Mariko Mori, Wave UFO, 2005, installazione interattiva.


Scalette bianche introducono il visitatore all’interno dell’installazione (5 x 11 x 5 m ca.): una navicella spaziale vera e propria, ma la cui forma organica rende possibili associazioni più complesse, legate alla storia religiosa, come l’esperienza di conversione di Giona nel ventre del pesce narrata dalla Bibbia.
All’interno c’è spazio per tre persone, che vengono fatte adagiare su un divano di Technogel. Ogni visitatore viene munito di elettrodi che assistenti vestiti di bianco attaccano con il gel sulla fronte e ai lati della testa. In questo modo è possibile raccogliere dati sulle onde cerebrali. Tali informazioni sono tradotte in immagini che corrispondono all’attività del cervello e che vengono proiettate sul soffitto emisferico della “navicella”. L’attività dei due lobi del cervello assume la forma di due bolle in movimento. Anche i loro colori cambiano continuamente: blu denota rilassamento e meditazione; rosso vuol dire tensione, agitazione.
Inizialmente, le prioezioni delle onde cerebrali dei tre visitatori appaiono in tre gruppi distinti: successivamente, un apposito software le elabora e le fonde insieme, dando loro la forma di una pioggia di bolle colorate che piovono dalla sommità del soffitto a cupola della navicella verso il basso, simulando l’effetto visivo di un viaggio verso le profondità dell’universo che i tre visitatori condividono.

Gli anni recenti hanno visto grandi retrospettive di Mariko Mori in tutto il mondo: segnaliamo quelle presso Deitch, New York, a Groninga, nei Paesi Bassi, al Guggenheim Museum di Bilbao. Vedere i link corrispondenti nel seguente elenco:

http://www.photography-now.com/artists/K07620.html

Nelle opere attuali, Mori sembra ritornare a forme per alcuni aspetti più tradizionali della scultura riprendendo la forma di opere cultuali preistoriche o antichissime, come i cerchi di pietre, e facendoli rivivere in versione tecnologica, con materiali adatti a suggerire particolari esperienze tattili e capaci di emettere una particolare luminescenza.




Bibliografia


http://www.fondazioneprada.org/ita/comunicati/MM.ITA.pdf

http://www.wdirewolff.com/Mariko.htm

http://www.youtube.com/watch?v=bYwbNirN4Hk&feature=related

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.orbit.zkm.de/files/orbit/LinkoftheMoon_MarikoMori.jpg&imgrefurl=http://www.orbit.zkm.de/%3Fq%3Dnode/192&h=433&w=600&sz=31&tbnid=OsYSCMGMs4lbyM::&tbnh=97&tbnw=135&prev=/images%3Fq%3Dmariko%2Bmori&hl=it&usg=__tgedwgSq2U-KvLyW1xeFnkh2oiA=&ei=12THSfjAMtyKsAah5OHlCw&sa=X&oi=image_result&resnum=1&ct=image&cd=1

http://www.deitch.com/artists/selected_works.php?selectedWorksId=32&artistId=15

Triennio 5. Strumenti web per la storia dell'arte /Tord Boontje /Rachel Whiteread

a) Strumenti web per la storia dell'arte



Benchè non perfettamente intuitivo per la navigazione, il sito del Polo Museale Firentino, con schede serie e attendibili per migliaia di opere, costituisce comunque una fonte di riferimento seria, aggiornata e di pronta accessibilità:
http://www.polomuseale.firenze.it/


Ben costruito e organizzato anche il sito dei Musei Vaticani a Roma:
http://mv.vatican.va/



La Web Gallery of Art è un museo virtuale di pittura e scultura europea dal 1100 al 1850, che contiene oltre 22.500 riproduzioni corredate di schede e commento (al momento disponibili soltanto in inglese). Sono offerti altri servizi, fra i quali tour guidati.
http://www.wga.hu/



Molto raffinato ed efficiente il sistema di esplorazione delle collezioni e delle singole opere nella National Gallery di Londra:

http://www.nationalgallery.org.uk/

Molto più complessa, anche a causa della quantità di materiali e collezioni, si rivela l’esplorazione del sito del Museo del Louvre, che offre schede d’impostazione altamente scientifica per 35.000 opere.

http://www.louvre.fr/llv/commun/home.jsp



b) Tord Boontje




Tord Boontje, artista/designer, nasce nel 1968 a Enschede, Paesi Bassi. In un primo tempo, studia design industriale presso la Design Academy di Eindhoven (1986-1991); ottiene poi una laurea al Royal College of Art di Londra (1992-1994).

Nel 1996, fonda il suo studio di design Tord Boontje
http://www.tordboontje.com/

I primi progetti di design, alquanto austeri, sono basati su un concetto di riciclaggio e riuso:



*1. Tord Boontje ed Emma Waffenden, TranSglass project, 1997



Serie di oggetti in vetro realizzati con bottiglie riciclate.



2. Tord Boontje, Rough-and-Ready, 1998

Progetti per mobili da realizzare con materiai riciclati



Nel 2000, il lavoro di Boontje ha una svolta verso un concetto “affabile” di decorazione e piacevolezza, in dichiarata connessione con la nascita della figlia Emma. Crea allora oggetti che segnano una svolta nel design contemporaneo, in netta contrapposizione rispetto al minimalismo che aveva imperato fino a quel momento.
“Per me”, dichiara Boontje ”la tecnologia è un mezzo per creare nuove espressioni. Mi piacciono molto gli oggetti del XVII, XVIII e XIX secolo per la loro sensuale ricchezzaa decorativa, che un tempo era però ottenuta a prezzo di un’alta quantità di lavoro artigianale umano. I nuovi processi industriali permettono di ricreare lo stesso effetto. Oggi io posso disegnare qualcosa col mio computer, mandare direttamente il file alle macchine e realizzare l’oggetto. L’idea modernista di ridurre al massimo l’oggetto per renderne possibili tirature più alte decade, a fronte delle nuove possibilità offerte dalla tecnologia”

(Intervista a Tord Boontje nel sito del Design Museum di Londra:
http://www.designmuseum.org/design/tord-boontje )


*3. Tord Boontje, Wednesday light, 2000
Acciaio inossidabile.



Simbolo del nuovo corso nell’attività di Boontje è il suo progetto forse più famoso, la Wednesday Light, in origine prodotta artigianalmente, poi divenuta, grazia all’ausilio delle nuove tecnologie, un oggetto a larga tiratira prodotto per i magazzini Habitat.
La versione Habitat della Wedneday light è in ottone placcato nickel, anziché in acciaio inossidabile come la versione originale; forme più grandi hanno permesso una maggiore varietà di forme floreali.


4. Tord Boontje, Garland Light , 2002 (progetto per Habitat).
Metallo inciso



5. Tord Boontje, Inflorescence, progetto di software, 2002.


Il progetto Inflorescence è un software che permette di realizzare motivi floreali e tradurli in stampa, incisione, ricamo, stereo-litografia, passando direttamente dal disegno al computer all’oggetto finito. Inflorescence disegna i motivi floreali in modo random, diversi ad ogni sessione. Inoltre dimentica ciò che ha fatto in precedenza. Usa inoltre un metodo basato su nodi per creare suoni: una macchina sonora che disegna fiori.
Al progetto Inflorescence hanno collaborato l’artista digitale Andrew Schoben di Grey World, e il programmatore Andrew Allenson.
Il progetto è stato finanziato da una borsa di studio per sperimentazione (Testing Ground) del London Crafts Board e del British Council.

Le nuove tecnologie permettono a Boontje di sperimentare nuove possibilità di vecchi materiali, ad esempio, la carta tyvek, materiale robusto e impermeabile usato per buste da spedizione e numerose altre applicazioni industriali

http://en.wikipedia.org/wiki/Tyvek :




*6. Midsummer Light, 2004
Carta tyvek tagliata al laser


http://www.gnr8.biz/product_info.php?products_id=141


Progetti per spazi pubblici:



Boontje estende ai recenti progetti di illuminazione urbana i caratteri di festosità e incanto romantico che caratterizzano il suo lavoro di designer dopo il 2000:






7. Progetto per la Moschea di Abu Dhabi, 2003


8. Keane Street, 2004


9. Bright Nights, Union Square Park, progetto multimediale, dicembre 2006.



Nel 2009, Tord Boontje è stato nominato professore e capo del dipartimento di Design Products al Royal College of Arts di Londra, uno dei più rispettati e autorevoli dipartimenti di design nel mondo . Boontje è il succesosre in questo ruolo di Ron Arad, uno dei nomi più noti del design contemporaneo.
Per alcuni suoi progetti recenti, Lace in Translation e Digital Memories, si veda la sezione news del sito dell’artista/designer.






Bibliografia:

http://www.tordboontje.com/


http://www.designboom.com/eng/interview/boontje.html


http://www.dorkmag.com/archives/2006/04/artist_design_m.html


http://www.dooyoo.co.uk/house-misc/tord-boontje-garland-light/1050895/#rev


Francesca Picchi (a cura di), Textile design/3 – Boontje, the embroiderer
A digital version of brocades and damasks by Tord Boontje.Photography by Casper Sejersen, “DOMUS” , 885, ottobre 2005



c) Rachel Whiteread






Nata il 20 aprile 1963, inglese, è nota per le sue sculture che solitamente prendono la forma di calchi di oggetti e architetture. E’ stata la prima donna a vincere il Turner Prize.
Whiteread fa parte dei cosiddetti Young British Artists, ed ha esposto alla mostra Sensation alla Royal Academy nel 1997. E’ soprattutto conosciuta per Ghost, un grande calco di gesso dell'interno di una stanza di una casa vittoriana, e per la sua scultura in resina per il Quarto Plinto in Trafalgar Square a Londra.




Witheread, nata a Londra ma cresciuta in campagna,è la terza di tre sorelle, di cui le più anziane sono due gemelle identiche.
La madre di Rachel, Pat Whiteread, anche lei artista, morì nel 2003. Suo padre, docente di geografia al Politecnico e amministratore e sostenitore del partito laburista, morì nel 1989, quando Rachel frequentava la scuola d'arte. Rachel ha studiato scultura a Londra presso la Slade School of Art, e per un certo periodo ha lavorato nel cimitero di Highgate, fissando i coperchi sulle tombe danneggiate dal tempo. Ha iniziato ad esporre nel 1987 e ha tenuto la sua prima mostra personale nel 1988.
La morte, come presenza di un’assenza, è al centro di molte delle opere di Whiteread, che
attualmente vive e lavora in una ex sinagoga nell’East London con il suo compagno e collega scultore Marcus Taylor. Hanno due figli.


Molte delle opere di Whiteread sono calchi di spazi e oggetti comuni britannici e, in molti casi, dello spazio che gli oggetti non abitano (spesso definito "calco negativo”).



*1. Ghost, 1990.
Nel 1990 l’artista crea Ghost, la prima opera che congloba un intero spazio abitativo e che attira su di lei l’attenzione del pubblico e della critica. Si tratta del calco interno di un'intera stanza, acquistato dal collezionista Charles Saatchi.


2. Untitled (One Hundred Spaces), 1995. Resina, 100 unità, dimensioni variabili
Catalogo Mapping the Studio/Artisti dalla collezione François Pinault a Punta della Dogana, Mondadori Electa 2009, pagg.162-63 e 381




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Bibliografia

Oltre ai siti citati nel testo, si veda:

http://en.wikipedia.org/wiki/Rachel_Whiteread

http://www.gagosian.com/artists/rachel-whiteread/
http://www.guardian.co.uk/artanddesign/gallery/2010/sep/12/art-exhibition#/?picture=366564533&index=5

PUBBLICATO DA GLORIA.VALLESE A 11:57 
ETICHETTE: POLO MUSEALE FIORENTINO, RACHEL WHITEREAD, STRUMENTI WEB