venerdì 26 marzo 2010

Triennio 5. Kentridge (parte seconda) / Jeff Koons

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Triennio
Docente: Gloria Vallese



a) Kentridge (seconda parte)


Clip of 'Tide Table' (2003), the final film in Kentridge's 'Soho Eckstein' series of nine films, with a live performance of Philip Miller's score by the Archimia Quartett (Milan) accompanied by Vincenco Pasquariello on piano, and Tumelo Meloi, a Xhosa vocalist. This performance was part of the William Kentridge Exhibition mounted at the University of Brighton from 7th November to 31st December 2007. The exhibition, William Kentridge: Fragile Identities was curated by Tom Hickey. This clip forms part of a documentary by Ian McDonald and Tom Hickey on William Kentridge and the politics of art in post 'anti-apartheid South Africa, due for release in 2010.

http://www.youtube.com/watch?v=c04ptjC21uE (clip)


Nella produzione recente, lo stesso Kentridge appare, nella parte di se stesso, in un’impaginazione i cui riferimenti iconografici sono il cinema muto (il bianco e nero un po’ sgranato, la luce oscillante, i cartelli con titoli e sottotitoli, l’accompagnamento al pianoforte di Philip Millar), e le citazioni dalla propria attività precedente, in una chiave autoironica ed affettuosa.


10. Journey to the Moon, Biennale 2005:
http://www.youtube.com/watch?v=oKOJSEU-SyU&feature=related




b) Jeff Koons e l’iconografia popolare






Alcune delle opere più celebri di Jeff Koons introducono nella scena del museo, ingranditi e portati a una dimensione statuaria, palloncini da fiera, statuette ricordo, foto pornografiche con una caratteristica scenografia anni ‘50.
Koons precisa in più occasioni che non è sua intenzione fare dell’ironia su queste immagini estranee alla tradizione colta, guardarle per così dire dall’alto, come episodi di kitsch; piuttosto, intende sposarne la festosità, l’esuberanza, reintroducendo nell’arte aspetti di godibilità, di appeal generale, che erano stati abbandonati negli anni ’60-’70, in favore di un’arte severa, politicamente impegnata, minimalista e concettuale.
Koons è nato a York, Pennsylvania; ha frequentato L’Art Institute di Chicago e il Maryland Institute of Fine Arts. Negli anni ‘80 ha aperto uno studio ed ha iniziato a impiegare collaboratori nella realizzazione materiale delle opere, in una situazione simile per alcuni aspetti alla Factory di Andy Warhol.
http://www.jeffkoons.com/


*1. Jeff Koons, Aqualung, 1985. Bronzo, 
68.6 x 44.5 x 44.5 cm. Edizione di 3 più 1 PdA


Fa parte di una serie di oggetti comuni insolitamente dignificati dal fatto di essere stati riprodotti in bronzo, il materiale per eccellenza della stauaria classica.

La serie “Equilibrium”, di cui Aqualung fa parte, si lega alla mitizzazione di campioni dello sport da parte dei ragazzi: il pallone da basket, sospeso in una teca museale, diviene un oggetto di contemplazione:

*2. Jeff Koons, One Ball Total Equilibrium Tank (Spalding Dr. J 241 Series), 1985
vetro, acciaio, reagente sodio cloride, steel, acqua distillata, distilled water, 1 pallone da basket
, 164.5 x 78.1 x 33.7 cm. 
Edizione di 2


*3. Jeff Koons, Michael Jackson and Bubbles, 1988
porcellana,
106.7 x 179.1 x 82.6 cm, edizione di 3 più 1 PdA

Parte della serie “Banality”, del 1988, l’opera riproduce in grandezza naturale il celebre divo con il suo scimpanzè Bubbles. Il linguaggio è quello delle statuette ricordo vendute in caratteristici luoghi di pellegrinaggio popolare, per esempio la casa di Elvis Presley. Tre anni dopo, quest’opera viene venduta a un’asta di Sotheby’s per $5,6 milioni di dollari, e ora appartiene alla collezione del MoMA di Sn Francisco.

4. Pink Panther, 1988
porcellana, 
104.1 x 52.1 x 48.3 cm. 
Edizione di 3 più 1 PdA

5. Ushering in Banality, 1988
legno policromo
96.5 x 157.5 x 76.2 cm, 
Edizione di 3 più 1 PdA


Nel 1991, Koons sposa Ilona Staller, nota come Cicciolina, popolare pornodiva ungherese naturalizzata italiana, e posa con lei in Made in Heaven, una serie di foto, dipinti e sculture in pose sessuali esplicite che suscita un’ovvio clamore.
La situzione è resa particolare dal fatto che entrambi i personaggi sono già famosi: Koons come artista con una crescente tendenza a un divismo ispirato a quello dei musicisti pop e rock come Madonna o David Bowie, la Staller come pornodiva; sono una coppia nella realtà ed entrambi posano in queste immagini recitando, per così dire, la parte di se stessi. Scenografia e accessori imitano una certa pornografia con pretese artistiche degli anni ’50.

*6. Made in Heaven, 1989
Stampa litografica,
317.5 x 690.9 cm. 
Edizione di 3 più 1 PdA

7. Ilona On Top (Rosa), 1991
plastica, 
119.4 x 269.2 x 177.8 cm. 
Edizione di 1 più 1 PdA

8. Large Vase of Flowers, 1991
legno policromo, 
132.1 x 109.2 x 109.2 cm 
Edizione di 3 più 1 PdA

Nel 1992, il museo di Bad Aroldsen in Germania commissiona a Koons un’opera per una mostra. Il risultato è Puppy, scultura di 12 metri di altezza che rappresenta un cucciolo di West Highland terrier realizzato con un manto di piante fiorite multicolori montato su una struttura d’acciaio. L’opera, successivamente ricostruita su una struttura interna meno provvisoria e dotata d’impianto di irrigazione, è stata acquistata nel 1997 dalla Solomon Guggenheim Foundation e installata sulla terrazza esterna del museo di Bilbao. Una copia viene commissionata dal magnate delle comunicazioni Peter Brant e collocata all’esterno della sua residenza privata nel Connecticut.


*9. Puppy, 1992
acciaio inossidabile, legno (solo ad Arolsen), terra, tessuto geotextile, sistema di irrigazione interna, piante fiorite vive , l 
1234.4 x 1234.4 x 650.2 cm 
Installations at Arolsen 1992, Sydney 1995-96, Bilbao 1997 (installazione permanente), New York, Rockefeller Center 2000, collezione privata (installazione permanente),
1992

Nel 1999, Koons commissiona una canzone su se stesso per l’album Stars Forever del gruppo Momus.

Nel 2001 realizza la serie di dipinti “Easyfun-Ethereal”, la cui iconografia consiste in un collage di motivi che combina bikini ritagliati (senza i corpi), cibo, capelli e paesaggi, dipinti da assistenti sotto la sua supervisione:

10. Lips, 2000
olio su tela, 
259.1 x 350.5 cm

Fra la metà degli anni ’90 e i primi anni del 2000, Koons realizza la sua serie forse più famosa, “Celebration”, di cui fanno parte grandi oggetti come Balloon Dog o Hanging Heart, realizzati in acciaio con speciali vernici e ispirati iconograficamente ai palloncini da fiera.

*11. Hanging Heart (Red/Gold), 1994-96

Hanging Heart, esposta a Venezia, Palazzo Grassi per la mostra Where are We Going: Selections from the François Pinault Collection tra il 30 aprile e il 1 ottobre 2006, viene venduta il 4 novembre 2007 ad un'asta da Sotheby's a New York per la cifra di 23, 561 milioni di dollari, divenendo l’opera più cara mai venduta all’asta fino a quel momento. Ad acquistarla è la Gagosian Gallery di New York che compra negli stessi giorni anche un’altra opera di Koons, Diamond (Blue) per 11.8 milioni di dollari da Christie's a Londra.
Nel luglio del 2008, Balloon Flower (Magenta) viene venduto da Christie’s a Londra per la cifra record di 25.7 milioni di dollari.




Bibliografia
a) Jeff Koons:
http://www.jeffkoons.com/
http://en.wikipedia.org/wiki/Jeff_Koons
D.SYLVESTER, R. ROSENBLUM, Jeff Koons: Easyfun-Ethereal (cat. della mostra), Berlino, DeutscheGuggenheim, 2000 (con bibliografia)
http://www.palazzograssi.it/wawg/index.htm

Biennio 5. Scultura soffice: Ernesto Neto

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese






Ernesto Neto è considerato uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea in Brasile. La sua ispirazione deriva in parte dal neo-concretismo, movimento sviluppatosi in Brasile alla fine degli anni ’50, per opporsi alla rigidezza e all’astrazione geometrica del razionalismo in nome di un nuovo senso dell’organicità e di un diverso coinvolgimento dell’utente nell’architettura.
Le opere di Neto sono installazioni astratte, che spesso invadono l’intero spazio espositivo, realizzate con materiali e forme che evocano il mondo organico.
Molto importante il suo passaggio alla 49.a Biennale di venezia nel 2001, con opere sia al Padiglione Nazionale del Brasile che alla mostra internazionale alle Corderie. Qui Neto ha rivelato al pubblico internazionale l’originalità del suo lavoro di scultore: un foresta di grandi “mammelle” in lycra, soffici, semitrasparenti e pendenti dal soffitto, stirate verso il basso da polveri di spezie il cui profumo sensuale si diffondeva nello spazio espositivo, avvertibile già in distanza, e che si accumulavano pian piano sul pavimento, cambiando ogni giorno l’aspetto dell’opera.



*5. Ernest Neto, O Bicho, 2001.
Tessuto e spezie. Installazione presso le Corderie dell’Arsenale, nell’ambito della 49.a Biennale di Venezia.



Una delle due installazioni al padiglione nazionale del Brasile era praticabile, suggerendo allo spettatore qualcosa come l’interno di un ventre, un ambiente soffice e accogliente:


http://www.universes-in-universe.de/car/venezia/bien49/bra/e-neto.htm

http://www.abc.net.au/arts/visual/stories/s424390.htm


Nel lavoro degli anni successivi, Neto ha spinto ancora oltre la sua ricerca in direzione di una scultura organica e sensuale: con Humanoids, ha realizzato sculture soffici che il visitatore può non solo toccare, ma anche abbracciare, e penetrare col proprio corpo:

http://www.we-make-money-not-art.com/archives/2006/02/-big-thanks-to.php


Queste opere erano al centro della mostra presentata a Malmö in Svezia, interamente imperniata sull’idea di una scultura “femminile” organica ed amichevole:

*6. Ernesto Neto, Humanoids, 2006.
Malmö, Konsthall

Sulla mostra: The Malmö Experience
18.02.2006 – 01.05.2006, Malmö Konsthall, Svezia
vedere:

http://www.konsthall.malmo.se/o.o.i.s/2741


L’installazione recentemente realizzata da Neto per il MACRO di Roma è una sorta di architettura fluttuante, dalle forme organiche e floreali, che invita il pubblico ad attraversarla. La scultura in lycra, agganciata alle capriate in ferro della copertura in vetro della galleria, arrivava sospesa fino a circa un metro da terra e conteneva le polveri finemente macinate di 5 spezie: pepe, cumino, chiodi di garofano, zenzero, curcuma.

7. Ernesto Neto - Mentre niente accade / While nothing happens
Roma, 29 Maggio 2008 - 28 Febbraio 2009
MACRO Hall, MACRO (Sede principale)

http://www.macro.roma.museum/mostre_ed_eventi/mostre/ernesto_neto_mentre_niente_accade_while_nothing_happens

*8. Ernesto Neto, Anthropodino, 2009
Commissionato dal Park Avenue Armory per la Wade Thompson Drill Hall, New York

http://www.youtube.com/watch?v=K5ANu8hxw5Y
http://www.youtube.com/watch?v=UX5lA8MJqXI&NR=1



Bibliografia
Vedere i link indicati nel testo

7. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA


a) Giulio Campagnola


*1. Giulio Campagnola, Ninfa dormiente, incisione.
Venezia, Fondo storico dell’Accademia di Belle Arti

Questo foglio è degno di nota non solo per la tecnica inconsueta del “bulino puntinato”, introdotta da questo incisore vicino all’ambito giorgionesco per ottenere un effetto più atmosferico e sfumato, ma anche per la sua singolare iconografia.
La ninfa dormiente volta di spalle, sola nel paesaggio, viene posta in relazione con una possibile invenzione di Giorgione, attestata dalle fonti: secondo Marcantonio Michiel, in casa di Pietro Bembo a Padova si trovava la miniatura su pergamena di una “nuda tratta da Zorzi, stesa e volta” (Zorzi = Giorgio, cioè Giorgione; vedi scheda 138 nel catalogo Rinascimento a Venezia, elencato in bibliografia).
Fra le opere oggi note del maestro di Castelfranco, la cosiddetta “Venere” del museo di Dresda ci presenta una nuda che dorme castamente in un paesaggio. Da osservare che mancano in quest’immagine gli attributi tradizionali di Venere (coppia di conigli o di colombe, simbolo di fertilità e di lascivia, o il piccolo Cupido), anzi, presso la figura, si osserva un ceppo reciso, possibile elemento allusivo alla sterilità.
Un elemento innovativo è che, in entrambe le immagini, la nuda nel paesaggio è sola: mancano i Satiri che nelle rappresentazioni classiche, e anche in una nota silografia dell’Hypneromachia Poliphili, ne spiano il sonno.

*2. Giorgione, Nuda in un paesaggio (“Venere dormiente”)
Dresda, Gemäldegalerie

*3. Tiziano, “Venere di Urbino”, olio su tela, cm 119 x 165 , 1538
Firenze, Uffizi

Eseguita su commissione di Guidobaldo Della Rovere, futuro duca di Urbino, il quale nel marzo del 1538 ingiungeva l suo incaricato a Venezia di non ritornare a Urbino senza “la donna nuda”.
Per la prima volta nella storia della pittura occidentale la “Venere” è una donna reale, ambientata in una stanza da letto veneziana nella quale si osserva il dettaglio di due cameriere (una delle quali inginocchiata di spalle, intenta a frugare in un cassone) che preparano i suoi abiti.
Con gli occhi bene aperti e fissi su chi guarda, questa maliziosa ragazza forma un netto contrasto con la sognante e incolpevole sensualità della figura di Giorgione.

4. Lucas Cranach, La ninfa della fonte.
Berlino-Brandenburg, Stiftung Preussische Schlösser und Gärten

Lucas Cranach eseguì numerose repliche e varianti di questa composizione, che ebbe a quanto pare grande successo.
Il titolo del dipinto deriva dall’iscrizione in alto a sinistra (“Sono la ninfa della sorgente sacra, non disturbate il mio sonno: sto riposando”), forma abbreviata di una poesia pseudo-classica della fine del XV secolo, che si diceva rinvenuta presso la statua dormiente di una ninfa in un’imprecisata località presso il Danubio).
Nonostante la diversità stilistica, quest’immagine di Cranach presenta punti di contatto con l’iconografia adottata da Giorgione: il sonno della fanciulla e le caviglie intrecciate sono simboli di verginità e di purezza, che l’iscrizione esorta a non contaminare.

*5. Marcantonio Raimondi, “Il sogno di Raffaello”, ca. 1508. Incisione a bulino
Sull’iconografia di questa enigmatica immagine, forse da porre in relazione con le “nude” di Giorgione e del Campagnola, si veda Il Rinascimento a Venezia, scheda N° 114

Per confronto, aggiungiamo ancora due celebri ninfe del Rinascimento:

*6. Benvenuto Cellini, Ninfa di Fontainebleau. Bronzo, base cm 109
Parigi, Museo del Louvre

Prima del Perseo e del Narciso, la prima grande scultura eseguita dal Cellini é questa Diana cacciatrice per il castello di caccia di Francesco I, in Francia, nel 1543-44. Col suo elegante allungamento delle proporzioni in gusto neo-gotico, quest’opera fu esemplare per la Scuola di Fontainebleau.

*7. Rosso Fiorentino, Ninfa delle acque, 1522-40, affresco
Castello di Fontainebleau, Galleria di Francesco I



Manet a Palazzo Ducale

Manet. Ritorno a Venezia è il titolo della mostra che la Fondazione Musei Civici di Venezia ospita dal 24 aprile al 18 agosto 2013 a Palazzo Ducale, progettata con la collaborazione speciale del Musée D’Orsay di Parigi, l’istituzione che conserva il maggior numero di capolavori dell’artista.
La mostra nasce dalla necessità di un approfondimento critico sui modelli culturali che ispirarono il giovane Manet negli anni del suo precoce avvio alla pittura. Questi modelli, fino ad oggi quasi esclusivamente riferiti all’influenza della pittura spagnola sulla sua arte, furono invece assai vicini alla pittura italiana del Rinascimento, come dimostra l’esposizione veneziana che include, accanto ai suoi capolavori, alcune eccezionali opere ispirate ai grandi tableaux della pittura veneziana cinquecentesca, da Tiziano a Tintoretto a Lotto. L’esposizione veneziana mette inoltre in luce il rapporto stringente dell’artista con l’Italia e la città lagunare. Curata da Stéphane Guégan, con la direzione scientifica di Guy Cogeval e Gabriella Belli, la mostra si avvale di una Con la collaborazione speciale del Musée D’Orsay di Parigi. Il progetto espositivo è di Daniela Ferretti.
Considerare in particolare, alle pagg. 82-107 del catalogo citato in bibliografia, le seguenti opere con i relativi confronti:
8.*Edouard Manet, Olympia, 1863, olio su tela, 130,5 x 190 cm
Parigi, Musée d’Orsay
9. *Id., Le Déjeuner sul l’herbe, 1863 circa, olio su tela, 89 x 116 cm
Londra, The Courtauld Gallery, The Samuel Courtauld Trust




Bibliografia

Oltre alle opere citate nel testo, si vedano:

AA.VV. Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi), Milano, Bompiani, 1999, in part. le schede n°114,138-142)

AA.VV., Venere svelata/La Venere di urbino di Tiziano, a cura di Omar Calabrese,  cat. della mostra a Bruxelles, Palais des Beaux-Arts, 2003

C.CAGLI-F.VALCANOVER, L’opera completa di Tiziano, Milano, Rizzoli (“Classici dell’Arte”, N°32), 1969

http://www.polomuseale.firenze.it/catalogo/scheda.asp?position=1&nctn=00131831&rvel=null
http://www.wga.hu/index1.html

AA.VV. , Manet/Ritorno a Venezia, a cura di Stéphane Guégan, Cat. della mostra a Palazzo Ducale, 24 aprile- 18 agosto 2013, Ginevra-Milano, Skira, 2013.



domenica 21 marzo 2010

Biennio 4. Creative industries: le città creative

Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Biennio







a) Creative industries: il concetto di “creative cities”.


*1. Video di Michael W. Kaluta per Don't Answer Me dei The Alan Parsons Project, dall'album Ammonia Avenue del 1984

http://www.youtube.com/watch?v=ALC7kt6iUHY

L’autore è il disegnatore di fumetti Michael Kaluta. Presentato nell’ambito dei Friday Night Videos all’epoca in cui era estremamente importante apparire in questa trasmissione televisiva musicale statunitense, nonostante la programmazione a tarda ora (12:30 am).

Su M.W. Kaluta:

http://www.kaluta.com/
http://www.angelfire.com/ns/logan2/spotlight/kaluta/index.html

Su questo video:
http://popidiocy.blogspot.com/2009/01/comic-work-with-mw-kaluta.html
http://en.allexperts.com/q/80s-Music-2701/2008/1/80s-Music-Video.htm


The Alan Parsons Project è stata una band britannica di progressive rock, attiva tra il 1975 e il 1990, fondata da Eric Woolfson e Alan Parsons.

http://en.wikipedia.org/wiki/The_Alan_Parsons_Project


Friday Night Videos: trasmissione video della NBC americana molto popolare dal 1983 al 2002.

http://en.wikipedia.org/wiki/Friday_Night_Videos


La carriera di Alan Parsons e la storia di The Alan Parsons Project sono un esempio di come una "città creativa" per antonomasia, come la Londra in quegli anni, sia una componente determinante nello sviluppo di una carriera artistica



A proposito del libro:

Creative Industries, a cura di John Hartley, Blackwell, 2005,

http://books.google.it/books?id=dKytfKUptrMC&dq=hartley+creative+industries&source=gbs_summary_s&cad=0

si prendono in esame due saggi contenuti nella parte quarta:

Jinna Tay, Creative Cities, e Charles Landry, London as a Creative City

Nella parte introduttiva del suo saggio, Charles Landry dà la seguente definizione di creatività (trad.mia):

“In breve, la vera creatività implica la capacità di mettere a fuoco un problema per la prima volta o da un punto di vista nuovo; di scoprire tratti comuni tra fenomeni in apparenza caotici e disparati; di sperimentare; di osare essere originali; la capacità di riscrivere le regole; la capacità di visualizzare scenari futuri; e, forse più importante di tutto, la capacità di operare ai margini della propria competenza anziché al centro”.


Si introduce il concetto di “creative city”, osservando prima di tutto che esso va contro la comune opinione che internet e le comunicazioni globali tendano a livellare le differenze geografiche e a rendere possibilie ovunque lo sviluppo di un’industria creativa. In realtà, quest’ultima ha bisogno anche di reti di interrelazioni personali, di uno stile di vita e di servizi come caffè, ristoranti, bar, turismo e vita notturna. In altre parole, le creative industries tendono a svilupparsi in città che offrono potenzialità culturali ma nello stesso tempo anche “spazi, e birre”, a prezzi sostenibili. “Una città con artisti, vita notturna e diversità attirerà anche imprenditori, accademici, specializzati nelle tecnologie, cioè quelli capaci di dare impulso alla crescita economica nell’era presente” (Jinna Tay).

“Local cluster” è un gruppo di creativi connesso a un’attività produttiva (ad esempio, la produzione di un cd musicale o di un film); i cluster si formano in gran parte spontaneamente, ma solo se la città presenta condizioni e stili di vita tali da rendere possibili gli incontri.




b) “Creative Industries”: i MMORPG come fenomeno artistico ed economico



MMORPG (Massively Multyplayer Online Role-Playing Game) è un nuovo genere di gioco on-line, in rapida espansione dal 2003-2005, in cui giocatori in numero impensabile fino a un recente passato, decine o anche centinaia di migliaia, possono interagire in tempo reale sullo sfondo di un unico mondo virtuale.
Ciascun giocatore assume le fattezze di un personaggio di fantasia (avatar), scegliendo il suo aspetto e le sue caratteristiche tra una gamma di possibilità, e incontra in rete altri giocatori di ogni parte del mondo, vivendo insieme a loro avventure nello sfondo preferito (fantasy, guerra, horror, sport, strategie economiche, storia, fantascienza).
La novità decisiva, rispetto ai videogiochi del passato, è rappresentata da internet: il mondo di riferimento, ospitato nei server, continua ad evolversi anche in assenza del giocatore, e l’avventura individuale, anziché per un numero limitato di ore (come avviene per i giochi venduti in cassetta), può svilupparsi per mesi o anche per anni, dando luogo a sodalizi stabili tra giocatori, raccolti in gruppi spesso numerosi (le “gilde”), che assumono una dimensione autonoma e possono spostarsi in blocco da un luogo all'altro del gioco, o anche, come sta cominciando ad accadere, da un gioco a un altro.

Fa storia a sé Silkroad online, un MMORPG coreano lanciato nel 2006, in cui la via della seta, l’itinerario che congiungeva nel medioevo Occidente e Oriente attraversando l’Asia, è ricreata in un amalgama avvincente di realismo storico e fantasia sfrenata, attirando giocatori da tutto l’ambito considerato, e inducendoli, attraverso il gioco e le altre forme di comunicazione connesse (siti, forum, riviste on-line e anche cartacee) a interagire e a comunicare fra loro.

E’ un nuovo orizzonte delle arti visive, della comunicazione e dell’interazione umana: nel giro di pochi anni, i MMPORG stanno dando vita a una visualità nuova (grazie soprattutto alle caratteristiche dell’animazione 3D e al consistente apporto di disegnatori dell’Asia Orientale), a nuove forme di interazione a carattere globale (con una plurarilità di siti e di forum in cui i giocatori commentano e continuano in altra forma la loro esperienza di gioco), nonché a un business in rapida espansione: il numero complessivo di giocatori si stimava intorno ai 15 milioni già nel 2006, e il business connesso vede cifre computabili ormai nell’ordine dei miliardi di dollari.
Si tratta di un tipico esempio di “creative industry” i cui costi di produzione sono comparativamente contenuti, l’impatto ambientale nullo, la capacità adattamento e di rapida trasformazione massima.

Tra gli aspetti più interessanti di questa nuova produzione, evidenziamo il concetto di player-created content, ovvero contenuto creato dagli stessi giocatori, un aspetto costitutivo tipico a cui nei giochi recenti si cerca di dare uno spazio sempre maggiore.
Se ad esempio in un film è il regista a fare il casting, cioè a scegliere, tra diversi attori possibili, il volto e l’aspetto di quello che sarà l’eroe o l’eroina nel quale durante la visione dovremmo proiettarci, nei MMORPG questo piacere è lasciato al giocatore, il quale all’inizio dell’esperienza di gioco crea il proprio avatar attribuendogli le fattezze, gli abiti e la personalità che preferisce nell’ambito di una gamma di possibilità che gli viene data.


c) Ancora dal libro Creative Industries, a cura di John Hartley, Blackwell, 2005,

http://books.google.it/books?id=dKytfKUptrMC&dq=hartley+creative+industries&source=gbs_summary_s&cad=0

lettura del saggio: Games, The New Lively Art, di Henry Jenkins (2004).

Secondo Jenkins, l'industria dei giochi è una rivoluzione ancora agli albori sotto il profilo artistico, ma paragonabile a quella rappresentata dall'avvento del cinema e dal teatro di varietà all'inizio del Novecento.


Bibliografia


http://en.wikipedia.org/wiki/MMORPG (da preferire)

http://it.wikipedia.org/wiki/MMORPG


Henry Jenkins, Games, the New Lively Art, in: Creative industries, a cura di John Hartley, Wiley-Blackwell 2004
http://eu.wiley.com/WileyCDA/WileyTitle/productCd-1405101474,descCd-tableOfContents.html

Grenville Armitage, Philip Branch, Mark Claypool, Networking and Online Games: Understanding and Engineering Multiplayer Internet Games, Hoboken (NJ), Wiley, 2006






Videogiochi per console:

Assassin's Creed 2, Ubisoft, 2009
http://www.imdb.com/title/tt1201133/
http://features.cgsociety.org/story_custom.php?story_id=5504&referer=newsletter

Dante’s Inferno, Electronic Arts, 2010
http://www.imdb.com/title/tt1409575/

Bayonetta, Platinum Games, 2009
http://www.imdb.com/title/tt1579932/

Heavy Rain, Quantic Dream, 2010
http://it.wikipedia.org/wiki/Heavy_Rain





Bibliografia

Si vedano, per ciascuna sezione, i link e i saggi citati nel testo.

Triennio 4. Kentridge, opere recenti. Mariko Mori

4. Mariko Mori


Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Triennio
Docente: Gloria Vallese



L’artista giapponese Mariko Mori inizia a lavorare nella metà degli anni ‘90, realizzando fotografie che la ritraggono in abiti da lei stessa disegnati nello scenario urbano contemporaneo. Cyborg e geisha, la donne di queste immagini provocano i passanti con i loro abbigliamenti estremi associati ad atteggiamenti sottomessi e invitanti.
Come scrive Costanza Baldini, “L’artista gioca con lo stereotipo femminile, creando provocatorie reazioni alla subalternità della donna in Giappone, tramite figure di donne artificiali, a metà tra l’umano e l’androide, cyborg venute dal futuro, ‘electric geisha’ con un’aura da creature mitologizzate e distanti “ (http://www.vitaminic.it/2008/01/cross-the-line-14-bjorkmariko-mori/ ).

La tecnologia usata in questa prima fase è seduttiva, spettacolare, fatta di luci e flash, effimera, e crea un effetto di coinvolgimento straniante per chi guarda in modo leggero e piacevole.

1. Mariko Mori, Birth of a star, 1995 . Lightbox con audio, 183 x 122 cm
http://www.deitch.com/projects/sub.php?projId=68
Quest’opera è connessa a un’importante mostra a New York e Tokio, MADE IN JAPAN (1996), con la quale la giovane artista ha richiamato l’attenzione della critica di tutto il mondo.
In questa e in altre opere, Mori appare in prima persona come una ragazzina giapponese appassionata dei manga o un’aliena, bambola consumistica da un pianeta di plastica.
Con queste immagini e questi materiali, l’artista enuncia quelli che saranno i suoi temi per il decennio successivo: riferimenti al il mondo pop della moda e dei fumetti, il corpo usato come in quella forma di body art collettiva che è la moda, piegato a linee estremamente artificiali.


2. Mariko Mori, Tea Ceremony, 1995, serie fotografica.


3. Miko No Inori, video, 1996.
http://www.youtube.com/watch?v=Bwl6G9L6bk8

L’inizio della transizione verso tematiche più complesse avviene verso la metà della sua carriera., intorno alla fine degli anni ’90.
Un’opera del 1997, intitolata Nirvana, è in questo caso significativa. Si tratta di un video tridimensionale presentato alla Biennale di Venezia del 1997, in cui la Mori assume le sembianze della dea buddista Kichijoten.
Gli spettatori, forniti di occhiali speciali che consentono la visualizzazione tridimensionale, sono immersi nello spazio illusorio del video. Presenti in prima persona nell’atmosfera fiabesca e senza tempo del paesaggio, sono chiamati a contemplare da vicino le magiche trasformazioni della dea, la cui eterea apparizione è accompagnata da segni miracolosi come profumi, musiche e l’improvviso materializzarsi di presenze fisiche.

4. Mariko Mori, Nirvana, 3D video, 1997

Questa nuova linea espressiva, in cui l’artista prende sempre più sul serio il suo ruolo mediatrice di contenuti spirituali, bilanciando la più antica tradizione con le tecnologie più innovative, si manifesta perfettamente nella mostra che la Mori tiene nel 1999 alla Fondazione Prada, intitolata Garden of Purification. La mostra culmina in una complessa e monumentale installazione: gli spazi visionari del Dream Temple. Per il Dream Temple, Mori si è ispirata allo Yumedono (”Padiglione dei sogni”) di Horyuuji, il tempio più antico del Giappone, fondato nel 607 dal principe Shoutoku (574-622).



5. Mariko Mori, Dream Temple, installazione multimediale, 1999.


La mostra culmina in una complessa e monumentale installazione: gli spazi visionari del Dream Temple, per il quale Mori si è ispirata allo Yumedono (”Padiglione dei sogni”) di Horyuuji, il tempio più antico del Giappone, fondato nel 607 dal principe Shoutoku (574-622).

http://www.fondazioneprada.org/
http://www.fondazioneprada.org/ita/comunicati/MM.ITA.pdf

Dream Temple segna il passaggio alla fase stilistica più recente in cui Mori si ritira fisicamente dalle sue grandi installazioni, lasciando spazio all’interattività tra il pubblico e l’opera. Quest’ultima è spesso un’installazione imponente, realizzata con grrandi mezzi e sofisticate tecnologie.
Ne è un esempio l’installazione interattiva ‘Wave UFO’, che l’artista presenta alla Biennale di Venezia nel 2005.


6. Mariko Mori, Wave UFO, 2005, installazione interattiva.


Scalette bianche introducono il visitatore all’interno dell’installazione (5 x 11 x 5 m ca. ): una navicella spaziale vera e propria, ma la cui forma organica rende possibili associazioni più complesse, legate alla storia religiosa , come l’esperienza di conversione di Giona nel ventre del pesce narrata dalla Bibbia.
All’interno c’è spazio per tre persone, che vengono fatte adagiare su un divano di Technogel. Ogni visitatore viene munito di elettrodi che assistenti vestiti di bianco attaccano con il gel sulla fronte e ai lati della testa. In questo modo è possibile raccogliere dati sulle onde cerebrali. Tali informazioni sono tradotte in immagini che corrispondono all’attività del cervello e che vengono proiettate sul soffitto emisferico della “navicella”. L’attività dei due lobi del cervello assume la forma di due bolle in movimento. Anche i loro colori cambiano continuamente: blu denota rilassamento e meditazione; rosso vuol dire tensione, agitazione.
Inizialmente, le prioezioni delle onde cerebrali dei tre visitatori appaiono in tre gruppi distinti: successivamente, un apposito software le elabora e le fonde insieme, dando loro la forma di una pioggia di bolle colorate che piovono dalla sommità del soffitto a cupola della navicella verso il basso, simulando l’effetto visivo di un viaggio verso le profondità dell’universo che i tre visitatori condividono.

Gli anni recenti hanno visto grandi retrospettive di Mariko Mori in tutto il mondo: segnaliamo quelle presso Deitch, New York, a Groninga, nei Paesi Bassi, al Guggenheim Museum di Bilbao. Vedere i link corrispondenti nel seguente elenco:

http://www.photography-now.com/artists/K07620.html

Nelle opere attuali, Mori sembra ritornare a forme per alcuni aspetti più tradizionali della scultura riprendendo la forma di opere cultuali preistoriche o antichissime, come i cerchi di pietre, e facendoli rivivere in versione tecnologica, con materiali adatti a suggerire particolari esperienze tattili e capaci di emettere una articolare luminescenza.




Bibliografia


http://www.fondazioneprada.org/ita/comunicati/MM.ITA.pdf

http://www.wdirewolff.com/Mariko.htm

http://www.youtube.com/watch?v=bYwbNirN4Hk&feature=related

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.orbit.zkm.de/files/orbit/LinkoftheMoon_MarikoMori.jpg&imgrefurl=http://www.orbit.zkm.de/%3Fq%3Dnode/192&h=433&w=600&sz=31&tbnid=OsYSCMGMs4lbyM::&tbnh=97&tbnw=135&prev=/images%3Fq%3Dmariko%2Bmori&hl=it&usg=__tgedwgSq2U-KvLyW1xeFnkh2oiA=&ei=12THSfjAMtyKsAah5OHlCw&sa=X&oi=image_result&resnum=1&ct=image&cd=1

http://www.deitch.com/artists/selected_works.php?selectedWorksId=32&artistId=15

domenica 14 marzo 2010

Biennio 3. Semiotica e iconografia/Damián Ortega/Thomas Hirschhorn

3. Semiotica e iconografia/Damián Ortega e il monumento/Thomas Hirschhorn e il nastro adesivo marrone





Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Biennio







a) Semiotica e iconografia


Ponendosi come scienza generale dei segni, ovvero di tutti i sistemi di comunicazione, sia verbali che non verbali, la semiotica ha posto le basi per una possibile analisi iconografica del contemporaneo.
Negli anni ’60- ’70, cioè nella fase senza dubbio più militante della disciplina, Umberto Eco e Roland Barthes hanno contribuito con diversi scritti alla costruzione di un possibile metodo per la lettura delle immagini, con strumenti inizialmente mutuati dalla linguistica strutturale.

Nel trattato Il segno (Milano, ISEDI, 1973) Umberto Eco analizza e riassume la principale letteratura dell’epoca su linguaggio verbale e non verbale, mettendo in evidenza analogie e differenze.

Ecco alcuni concetti base:

Tutti i sistemi di comunicazione hanno bisogno di un codice prestabilito (un sistema di corrispondenze che mette in relazione il simbolo col suo significato).

Ci sono segni appositamente costruiti per significare (parole, bandiere, semafori), altri segni che funzionano in quanto vengono assunti come tali da qualcuno (esempio, i sintomi: certe macchie sulla pelle vengono lette dal medico come segno della presenza di una determinata malattia).

Altri concetti utili:

La denotazione è il significato primo, o immediato, di un segno, le connotazioni sono significati secondari, o accessori, molto importanti nella vita delle culture: “velivolo” significa “aereo”, ma ha una connotazione di “letterarietà”. Nel sistema dell’abbigliamento, come sottolinea Barthes nei suoi classici studi sul sistema della moda e sulla televisione, l’uso trasforma quasi ogni oggetto in segno (ad esempio “camice” denota “medico”, o comunque una persona istituzionalmente connessa alla medicina), e aggiunge connotazioni su cui, più o meno sottilmente, gioca la moda (reggicalze o calze a rete = “seduzione”, impermeabile = “detective”, ecc.). Altrettanto vale per l’arredo: certe finiture in legno e ottone che connotano “vecchia nave”, la sfera rotante a specchietti che connota “sala da ballo” , ecc.

Metalinguaggio, infine, è un linguaggio che parla di altri linguaggi: come vedremo, ne fa uso la Pop Art quando “cita” la comunicazione pubblicitaria.



In un’opera successiva (Trattato di semiotica generale, 1974), Eco tenta una classificazione generale riassuntiva dei segni.

Di grande rilievo, per l’uso possibile che se ne può fare in iconografia e iconologia , il concetto di ostensione: qualunque oggetto non inizialmente finalizzato alla comunicazione può diventare segno, e cioè elemento di comunicazione ed espressione del significato, quando io lo mostro come esempio o campione di qualcosa (mostro un pacchetto di caramelle, per indicare che voglio quelle caramelle; o un campione di stoffa, per indicare tutta la stoffa).


Molto importante anche la nozione di stilizzazione (con un sgnificato diverso da quello usualmente attribuito al termine dalla critica d’arte): sono stilizzazioni certe immagini che nell’uso hanno assunto un simbolismo convenzionale (esempio, l’omino e la donnina delle toilettes, la Torre Eiffel per significare “Parigi” ecc.)




b) “Ostensione” e produzione artistica contemporanea



Il ready made, cioè un oggetto preso dalla vita quotidiana e trasportato nella sfera artistica comincia, lo sappiamo, con Marcel Duchamp e i suoi ready-mades all’inizio del Novecento, e da allora è diventato un elemento ricorrente, e forse ormai un po’ abusato, nella produzione artistica contemporanea.

Nei ready mades di Duchamp (ruota di bicicletta, scolabottiglie), è presente un’ironia che deriva dalla somiglianza di questi prodotti con gli esperimenti dell’avanguardia nello stesso periodo: ad esempio, la Ruota di bicicletta evoca le raggiere con cui futuristi e costruttivisti si sforzavano di introdurre nell’arte le macchine e la velocità proprie del mondo moderno; lo scolabottiglie, certi esperimenti del primo astrattismo.

*1. Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913
Scolabottiglie, 1914


*2. Giacomo Balla, Ragazza col cerchio, 1915.
Milano, Collezione privata

3. Forma, rumore di motocicletta, 1913
Milano, Collezione privata


*4. Vladimir Tatlin, Monumento alla III Internazionale, 1919-20
San Petroburgo, Musei nazionali russi

Dopo la rivoluzione del 1917, Tatlin, nato a Mosca nel 1885, lavorò per il nuovo Commissariato sovietico per l’educazione, sviluppando una forma autorizzata d’arte che utilizzava “materiali reali nello spazio reale”. Questo suo progetto del 1919, il suo primo esperimento in architettura, divenne un simbolo dell’avanguardia russa e del modernismo internazionale.
La torre di Tatlin, mai realizzata (sussiste solo il modello, alto 7 metri), è il tentativo di creare una nuova forma di monumento.
Avrebbe dovuto trattarsi di una costruzione in traliccio metallico alta 400 metri (quindi più alta della torre Eiffel: 324 m).
Due spirali in senso contrario circoscrivono un volume conico. L’inclinazione della grata corrisponde alla curvatura terrestre. All’interno doveva elevarsi una torre formata da diversi corpi geometrici. L’edificio avrebbe dovuto girare su se stesso, come primo esempio di monumento dinamico, a sottolineare la struttura della società in ascesa.



c) Iconografie del contemporaneo: Damián Ortega e il monumento


A sua volta, Damián Ortega (Città del Messico 1967), il giovane artista messicano noto per il “maggiolino” esposto alla Biennale di Venezia 2003 (Cosmic Thing, 2002), produce una citazione ironica della Torre di Tatlin impilando a spirale i carrelli di un supermercato in una struttura che ironicamente la evoca (Vision Simultánea).
Molta parte del lavoro di Ortega, che è stato allevo di Orozco e continua il suo interesse polemico per la struttura sociale contemporanea, è dedicato al monumento.


*5. Damián Ortega, Cosmic Thing, 2002

http://www.whitecube.com/artists/ortega/

http://www.icaboston.org/gofurther/mp3-tours/ortega/

http://topics.nytimes.com/topics/reference/timestopics/organizations/i/institute_of_contemporary_art/index.html?query=ORTEGA,%20DAMIAN&field=per&match=exact



d) Iconografie del contemporaneo: Thomas Hirschhorn e il nastro adesivo marrone



Alla Biennale di Venezia del 1999, l’artista svizzero Thomas Hirschhorn si rivelò al mondo con World Airport, opera dedicata agli aspetti instabili, nomadici, della vita contemporanea. Due interi, vasti ambienti erano invasi da un immane aggregato di oggetti che nel loro insieme evocavano il viaggio, e, ancor più, l’idea di una residenza precaria, provvisoria: aerei, valigie, ma anche pacchi di cartone legati con il nastro adesivo e con lo spago, accumulati come per una partenza o un trasloco. Ogni sorta di memorie, personali, collettive, si insinuavano in questo universo instabile: fotografie, taccuini, e anche quegli strazianti piccoli altari di candele, fotografie e fiori artificiali che la gente costruisce sui luoghi di incidenti stradali o per ricordare le vittime di qualche episodio di violenza (nel 1999, quando quest’opera fu presentata alla Biennale, era recente il ricordo della guerra nei Balcani, di un lungo periodo in cui e immagini di simili altarini costruiti ai margini delle strade, fra le macerie delle case distrutte dai bombardamenti, erano passate in televisione quasi quotidianamente). Una vasta installazione che pervadeva interamente lo spazio in cui era collocata ma con l’aria di non avere in realtà confini, di poter continuare all’indefinito. A rilegare questo vasto, e teoricamente infinito, ammasso di oggetti e di materiali, c’era un elemento ricorrente, il nastro adesivo marrone: chiudeva buste e pacchi e li teneva uniti, ne rafforzava gli spigoli, fungeva da precario materiale da costruzione. Era l’elemento unificante, ossessivamente ricorrente dell’intera composizione. Un potente elemento simbolico, che il pubblico immediatamente riconosceva. Presente in ogni casa, in ogni ambiente di lavoro, il nastro adesivo marrone è un materiale disadorno, che interviene sempre in situazioni utilitarie, caratterizzate da un fattore di transitorietà: dal chiudere un imballaggio al riparare provvisoriamente un vetro rotto; da dimesso, diventa squallido quando da transitorio si trasforma in permanente, magari per riparazioni visibili di oggetti che qualcuno ha rinunciato, per necessità o per indifferenza, a rimettere in efficienza in modo migliore.


*6. Thomas Hirschhorn, Flugplatz Welt/World Airport, installazione, materiali vari, 1999
Venezia, Arsenale, Artiglierie.


Diciottenne nel 1968, Hirschhorn si è impregnato a fondo di alcuni dei valori e delle atmosfere eversive-sovversive di quegli anni. Sviluppa da sempre un concetto antimonumentale dell’arte, e in particolare della scultura. Come nell’esempio ricordato, World Airport, Hirschhorn è stato e rimane ancor oggi un maestro dell’installazione invasiva: in contrasto voluto con l’opera scultorea tradizionale, che posa su un piedestallo e ha una superficie dura, continua, che la separa nettamente sal mondo esterno (in altre parole, che delinea nettamente i propri confini), l’installazione, in particolare quella di Hirschhorn, è un intervento tridimensionale senza contorno netto, che dilaga volutamente fuori dallo spazio che le è stato assegnato ed è costruita in modo da suggerire una sua possibile continuazione all’indefinito.
I materiali di Hirschhorn, in confronto a quelli classici, “nobili”, della scultura (marmo, bronzo, metalli preziosi), sono volutamente comuni, dimessi, antieroici, presi dalla vita quotidiana: il nastro adesivo da pacchi, la pellicola d’alluminio sono fra i più comuni. L’altarino di fiori di candele e di fotografie, in quanto “monumento antimonumentale” spontaneo, creato dalla gente, è diventato uno dei suoi prediletti, struggenti elementi di meditazione.



7. Thomas Hirschhorn, Cavernman, installazione, materiali vari, 2002
New York, Gladstone Gallery

8. Thomas Hirschhorn, Stand-alone, installazione, materiali vari, 2007
Berlino, Arndt & Partner Gallery

9.Thomas Hirschhorn, Superficial Engagement, installazione, materiali vari, 2006
New York, Gladstone Gallery

10. Thomas Hirschhorn, Universal Gym, installazione, materiali vari, Febbraio - Aprile 2009
New York, Gladstone Gallery


In una recente conferenza in occasione della mostra collettiva C108, Life on Mars (Carnegie Museum of Art,
Pittsburgh, Pennsylvania, 2008/09, http://blog.cmoa.org/CI08/home.php ), Hirschhorn chiarisce che due sono gli elementi fondanti della sua arte: il collage, la non arte/praticabile da chiunque, che mette le cose insieme, crea le connessioni, e la precarietà, la transitorietà, come elemento caratteristico del presente, della che scorre.
http://www.youtube.com/watch?v=KbRTXdze-IE
http://www.artfacts.net/it/artista/thomas-hirschhorn-4731/profilo.html



Bibliografia

Vedere link indicati nelle sezioni b) e c)

Triennio 3. William Kentridge

3. William Kentridge


Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Triennio



Il sudafricano William Kentridge, bianco, è nato a Johannesburg nel 1953, figlio di un avvocato difensore delle vittime dell'apartheid: laureato in scienze politiche, si considera innanzitutto un disegnatore, che, attratto dal movimento, vede nel teatro e nel cinema l'estensione del disegno.
Tra le sue esperienze fondamentali, il rapporto con la Handspring Puppet Company, gruppo teatrale sudafricano attivo dal 1985 che pratica il teatro delle marionette per adulti in chiave satirica e politica.
Nel 1989, Kentridge crea il suo primo film d’animazione, Johannesburg, 2nd Greatest City After Paris, dando avvio alla serie che si chiamerà Drawings for Projection, usando una tecnica che diverrà caratteristica del suo lavoro: stesure successive di un disegno a carboncino, ma sempre sullo stesso foglio di carta, cancellato e modificato più volte, e fotografato ad ogni modifica.
I segni delle figure abrase rimangono visibili e divengono parte degli elementi simbolici dei film: sono le “rimozioni”, in senso psicanalitico, che costellano la vita dei bianchi, apparentemente tranquilla e fortunata, ma tormentata dall’inquietudine di coscienza, nel Sudafrica negli anni dell’apartheid. Creati negli anni in cui più viva era la pressione dell’opinione pubblica mondiale, questi film si imperniano sulla complessa situazione psicologica ed emozionale dei protagonisti, evitando di cadere in una troppo scontata schematicità nella denuncia politica. Ulteriore complessità è introdotta dai riferimenti figurativi alla grafica di protesta degli anni ’20 e ’30, evocata da elementi come lo stile dell’architettura, l’abbigliamento delle figure, il tratto angoloso. Il ciclo comprende:

1. Johannesburg: 2nd Greatest City After Paris, 1989

2. Monument, 1990

3. Mine, 1991

4. Sobriety, Obesity & Growing Old, 1991

* 5. Felix in Exile, 1994

*6. History of the Main Complaint, 1996

7. Weighing and Wanting, 1998

*8. Stereoscope, 1999

Al centro degli otto film è la città natale di Kentridge, Johannesburg, apparentemente tranquilla ma pervasa da una torbida atmosfera di inquietudine, di catastrofe imminente, vissuta attraverso le vicende di due protagonisti, altrettanti alter ego dell’artista stesso: il magnate capitalista Soho Eckstein, un uomo maturo in abito gessato, e il giovane intellettuale sognatore Felix Teitelbaum, che attirerà fatalmente a sé la donna di Soho. Sullo sfondo di questa narrazione intensamente fantastica e visionaria, la massa anonima dei neri sfruttati nelle minere e fatti oggetto di violenza nelle strade.
Questo ciclo di opere intensamente originali consacra Kentridge alla notorietà mondiale, in particolare con Stereoscope, presentato alla Biennale di Venezia del 1999.
Kentridge, oggi considerato tra i massimi artisti contemporanei e al centro di importanti retrospettive in tutto il mondo, pratica altre forme di animazione, fra cui le ombre cinesi e il video, ed è attivo come regista teatrale, ma la sua fama rimane soprattutto legata all’intensità emotiva e all’originalità della sua produzione degli anni ’90.



Bibliografia

Generale:

http://en.wikipedia.org/wiki/William_Kentridge

C. ALEMANI, William Kentridge (Ediz.italiana e inglese), Milano, Mondadori-Electa, 2006


Link ai principali film di Kentridge:
http://www.punk4free.org/articoli/17-polleggio/1033-automatic-writing-by-william-kentridge.html


Metodo di lavoro usato da Kentridge nella serie Drawings for Projection:
http://www.asifaitalia.org/?p=637

Kentridge regista teatrale:
http://www.exibart.com/notizia.asp?IDCategoria=52&IDNotizia=17445

Principale restrospettiva italiana (Torino, Museo di Rivoli), 2004:
http://www.castellodirivoli.org/#


Kentridge a Venezia, 2005 (51.a Biennale d’Arte):
M. DE CORRAL (a cura di), L’esperienza dell’arte (Cat. della 51.a Biennale), Venezia, Marsilio Editori, 2005.


Kentridge a Venezia, 2008:
http://www.bevilacqualamasa.it/archivio/2008_Tito_1340/pagina.html

Kentridge a Napoli, 2010:
http://www.exibart.com/notizia.asp/idnotizia/29876
Attenzione, l’articolo contiene un refuso, per “Goblins” leggete “Gobelins”: http://it.wikipedia.org/wiki/Manifattura_dei_Gobelins
http://francescotramontano.blogspot.com/2009/11/william-kentridge.html

Kentridge a New York, 2010:
http://www.moma.org/visit/calendar/exhibitions/1040

3. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

CORSO DI DIPLOMA DI 2° LIVELLO IN: GRAFICA
A.A. 2009-10
Docente: Gloria Vallese




3. Iconografie rinascimentali: l’Europa del Nord (parte seconda)/ Il mondo ai margini: iconografia dei manoscritti miniati nel tardo Medioevo.



a) Iconografie rinascimentali, Europa del Nord



Sebastian Brant nacque a Strasburgo nel 1457 (morì nel 1521). Tradusse autori latini e scrisse poesie religiose in latino. La sua fama è legata al poema La nave dei folli (Das Narrenschiff, 1494) redatto originariamente in dialetto alsaziano e intercalato da proverbi: una mordente satira delle follie umane, che Brant propone di guarire con l’ironia. L’opera, tradotta in seguito in latino e in diverse lingue europee moderne, fu il primo best-seller della storia della stampa, prototipo di una copiosa letteratura sul tema della follia umana per tutto il XVI e XVII secolo. Fra i primi imitatori, il parigino Josse Bade, che scrisse nel 1502 una “Nave delle pazze”.
Capolavoro di questo fortunato filone letterario è L’elogio della follia (Encomium Moriae) di Erasmo da Rotterdam, una fra le maggiori personalità dell’umanesimo nordico, pubblicato per la prima volta nel 1508.
L’olandese Jheronimus Bosch (1450 ca.-1516) è il primo artista a tradurre in pittura il tema della follia, creando iconografie originali. Le sue fonti sono i fogli silografici e le illustrazioni dei libri da un lato, dall’altro le vignette e le illustrazioni marginali, dense di ironia, dei miniatori tardogotici nordici, in particolare della scuola di Utrecht.



1. Jheronimus Bosch, La Nave dei folli , ol./tav., 1490-1500 ca.
Parigi, Louvre

2. Nave dei pazzi con Eva come madre di tutti i pazzi, silografia da Stultiferae naviculae ("Le navicelle delle donne pazze"), Johannes Prüss, Lione 1502

3. Navicella delle follie del gusto, silografia da Stultiferae naviculae ("Le navicelle delle donne pazze"), Johannes Prüss, Lione 1502

4. Bosch, La Nave dei folli, ol./tav., 1490-1500 ca., part.: figure che mordono un oggetto sospeso.
Parigi, Louvre

5. Due teste mordono un oggetto sospeso, miniatura, Libro d’Ore di Gysbrecht de Brederode, Utrecht, 1460 ca., fol. 63
Liegi, Bibliothèque de l’Université, MS Wittert 13

6. Capolettera con testa grottesca, miniatura, Libro d’Ore di Gysbrecht de Brederode, Utrecht, 1460 ca.
Liegi, Bibliothèque de l’Université, MS Wittert 13, fol.131v

7. Jheronimus Bosch, Incoronazione di spine, tavola, 1510-16.
Londra, National Gallery

8. Jheronimus Bosch, ‘Il carro di fieno’, tavola, 1500-05 circa, part.: musicista grottesco
Madrid, Prado

8. Jheronimus Bosch, ‘Il carro di fieno’, tavola, 1500-05 circa, part.: musicista grottesco
Madrid, Prado

9. Liedet Loyset e Philippe de Mazerolles, Musicista grottesco. Ornato marginale dalle Chroniques d’Hainault di Jean Froissart.
Berlino, Staaatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz

10. Jheronimus Bosch, La Morte dell’Avaro, ol./tav., 1490-1500 ca.
Washington, National Gallery

11. La morte entra nella camera di un malato, miniatura.
Parigi, Bibl.Nat., MS Lat. 9471, fol 196

12. L'avaro che accumula, silografia dal Narrenschiff ("La nave dei Folli") di Sebastian Brant, edizione del 1494


b) Iconografia dei manoscritti


La pagina del manoscritto miniato medievale ha tre partizioni: il testo, in latino o in volgare, con numerose abbreviature, opera dello scriptor; la vignetta principale, a carattere narrativo e per solito strettamente correlata al contenuto del testo, opera di un pittore specializzato, l’historiator; e dei margini decorati più liberamente, spesso con immagini grottesche o con scene della vita quotidiana, il cui ruolo è di allietare il lettore, rendere gradevole la pagina, farla “ridere” (“più ridon le carte/che pennelleggia Franco bolognese”, recita un celebre verso di Dante). La decorazione marginale è opera di un terzo artista specializzato, l’illuminator, l’illuminatore. E’ proprio a partire dai margini dei libri a destinazione privata, che a partire dal tardomedioevo si svilupperà una vera e propria rivoluzione pittorica, in direzione sia di una satira paradossale e trasgressiva, sia di un accentuato realismo quotidiano, di cui come si è visto Jheronimus Bosch sarà tra i primi a cogliere il senso e a tradurlo in pittura.


13. Iniziale “C” con Chierici che cantano da un libro e margine con Caccia alla rovescia. Pagina dal Salterio di Guy de Dampierre, Fracia Sett., 2.a metà del sec. XIII.

14. Vignetta con San Sebastiano e ornato marginale con cavalieri grotteschi, dal Livre d’Heures di Gysbrecht de Brederode. Utrecht, 1460 ca., fol. 125 verso

15.-29. Pagine dal Libro d’Ore di Caterina di Cléves, Utrecht ca. 1440
New York, Pierpont Morgan Library, MSS. 917 e 945



Bibliografia



Iconografia della morte nel tardo Medioevo:

A.TENENTI, il senso della morte e l’amore della vita nel rinascimento (1957), Torino, Einaudi

Iconografia “marginale”:

V. I. J. FLINT, The Rise of Magic in Early Medieval Europe, Oxford, Clarendon, 1991
M. CAMILLE, Image on the Edge/The Margins of Medieval Art, Londra, Reaktion Books, 1992
J.PLUMMER (a cura di), The Hours of Catherine of Cleves, New York, Braziller, 1966

giovedì 4 marzo 2010

2. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

Accademia di Belle Arti in Venezia
CORSO DI DIPLOMA DI 2° LIVELLO IN : GRAFICA
A.A. 2009-10
Docente: Gloria Vallese




2. Iconografie rinascimentali: l’Europa del Nord (parte prima) /Umori e temperamenti, temi e immagini



a) Iconografie rinascimentali, l’Europa del Nord



L’invenzione della stampa a caratteri mobili alla metà del Quattrocento, ad opera dell’orefice tedesco Johann Gensfleisch von Gutenberg, cambiò il corso della storia della cultura occidentale.
All’epoca, i due Rinascimenti, quello italiano e quello tedesco e fiammingo, stavano imboccando percorsi sempre più dissimili: il movimento umanistico italiano è progressivamente assimilato a un gusto aristocratico, elitario, che crea prodotti artistici e culturali di qualità elevata ma destinati a cerchie ristrette; mentre l’umanesimo nordico vedrà coinvolte nella cultura e nell’istruzione fasce sempre più ampie della popolazione, in una progressiva democratizzazione della cultura e dell’arte.

Corrispettivamente, libro a stampa italiano dell'età umanistica è elegante e pregiato, conforme al gusto archeologico anticheggiante che caratterizza la seconda metà del Quattrocento, ma si rivolge a un pubblico relativamente ristretto e socialmente elitario. Ne e’ un esempio emblematico l' Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, stampata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1499.

Il libro transalpino è comparativamente più modesto, ma si rivolge a fasce più larghe di popolazione, preparate a questo contatto dall'opera di alfabetizzazione svolta da pie confraternite di laici come le Scuole dei Fratelli della Vita Comune (la cui presenza e attività, senza corrispettivo in Italia, è una caratteristica della civiltà nordica).

Accanto ai libri, si diffondono nell'Europa del Nord i fogli silografici singoli a carattere didascalico-morale .
Il successo popolare di questi prodotti della nuova arte della stampa, rivoluzionari anche se di per sè qualitativamente modesti, influenzera’ la pittura della seconda meta’ del secolo, che con Jheronimus Bosch e il suo successore Pieter Bruegel il Vecchio prendera’ una direzione propria, quasi immune dagli influssi italiani.

Da tener presente infine che il libro nordico (e l'illustrazione "militante" che ad esso si lega), costituira’ un fattore rilevante nell'innescarsi del grande rivolgimento politico-religioso della Riforma protestante (1517).


*1. Jheronimus Bosch, I Sette Peccati Capitali, ol./tav., 1490-1500 ca.
Madrid, Prado

2.,3. Due part. del prec., tondo centrale: Superbia e Cristo che emerge dal sepolcro

4., 5., 6., 7. I Quattro Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso

9. Tavola dei Vizi e delle Virtù', foglio silografico, fine sec. XV.
Basilea, Kupferstichkabinett

Se nelle opere più antiche a noi note (ca. 1490-1500) Bosch si attiene a formati “profani”, adatti a interni domestici (come il “ripiano di tavolo” dei Sette Peccati Capitali), nelle opere della prima maturità si rifà a un prototipo più impegnativo, lo schema iconografico del trittico del Giudizio Finale, che l’artista rielabora in modo fortemente personale trasformandolo in una rassegna in tre fasi delle follie che costellano l’intero percorso dell’esistenza sulla terra, a partire dal peccato di Adamo ed Eva.


*10. Jheronymus Bosch, ‘Il Carro di Fieno’ , trittico, ca. 1500-1505.
Madrid, Prado

11. Part. del prec.: Anta sinistra con la Cacciata degli angeli ribelli, la Creazione di Eva, la Tentazione, la Cacciata dal Paradiso terrestre

12. Anta centrale: La lotta per il fieno, L’omicidio, Il Papa e l’Imperatore, Il medico di piazza, I religiosi gaudenti

13. Anta destra: L’Inferno con la Seduzione dello stolto, La caccia alla rovescia, I muratori di Babele

14. Jheronimus Bosch, La Nave dei folli , ol./tav., 1490-1500 ca.
Parigi, Louvre




b) Umori e temperamenti: temi e immagini.


*15. Giuseppe Arcimboldi, L’Inverno, 1563 ol/tav.
Vienna, Kunsthistorisches Museum

16. Giuseppe Arcimboldi, La Primavera, ol/tela, 67 x 52 cm
tela 76 x 63 cm
Parigi,Louvre

*17. Giuseppe Arcimboldi, Il fuoco, ol/tav.
Vienna, Kunsthistorisches Museum

*18. Mundus, Annus, Homo, silografia
Da: Isidorus Ispaliensis, De responsione mundi, Augusta 1472

19. I Quattro Elementi, silografia
Da: Isidorus Ispaliensis, De responsione mundi, Augusta 1472

20. Sanguigni, Collerici, Melanconici, Flemmatici, silografia, 1480 ca.
Dal ‘Primo Calendario Tedesco’, Augusta, 1480 ca.

21. Temperamenti ed Elementi,
Frontespizio di Gerard de Jode e Marten deVos dal libro Septem Planetae Septem Hominibus Aetatibus Respondentes, 1581





Bibliografia

a) Bosch:

S.H. STEINBERG, Cinque secoli di stampa (1955), trad.it. Torino, Einaudi, 1962
D. BUZZATI - M.CINOTTI, L’opera completa di Bosch, Milano, Rizzoli, 1966 (“Classici dell’Arte”, n°2)
G.VALLESE, Il tema della follia nell’arte di Bosch: iconografia e stile, “Paragone/Arte” n° 405, novembre 1983, pagg. 3-49
G.VALLESE, Follia e mondo alla rovescia nel Giardino delle Delizie di Bosch, “Paragone/Arte”
n° 447, maggio 1987, pagg. 3-22


b) Dottrina degli umori e dei temperamenti:

R. KLIBANSKY, E. PANOFSKY, F. SAXL, Saturno e la melanconia: studi di storia della filosofia naturale, religione e arte, trad. it. Torino, Einaudi, © 1983, parte prima, in part. pagg.52-115

Triennio 2. Pipilotti Rist/Shilpa Gupta

Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA



a) Pipilotti Rist


Nata nel 1962, è considerata, insieme a Billa Viola, una fra le maggiori esponenti della videoarte contemporanea; ma tanto il mondo di Bill Viola è serio, museale, legato specialmente nelle opere più recenti alla tradizione artistica classica, tanto Pipilotti è ironica, scanzonata, orientata a un approccio trasgressivo e divertente. Queste qualità sono bene evidenziate da questo video, realizzato in occasione della mostra Pipilotti Rist-54, Utrecht, Centraal Museum, 2001:

*1. Pipilotti Rist, Lullaby, 2001. Video
http://www.youtube.com/watch?v=lQZcIbPh8mE

Nata a Grabs nella vallata svilzzera del Reno, Pipilotti ha studiato pubblicità, illustrazione e fotografia all’Istituto di Arti Applicate di Vienna dal 1982 al 1986, e comunicazioni audiovisuali alla Scuola di Design (Schule für Gestaltung) di Basilea nei due anni successivi. Dal 1986 ha lavorato come operatore di computer grafica per diverse aziende e studi. Dal 1988 al 1994 ha tenuto concerti, performances e realizzato CD con il gruppo rock Les Reines Prochaines. E’ stata Visiting Professor all’UCLA di Los Angeles nel 2002-2003, e attualmente vive tra la Sizzera e New York.

*2. I’m not the girl who misses much, 1986 , 7:45 min.

*3. Sexy Sad I , 1987, 4:36 min.

4. Sip My Ocean, 1996, 8 min.

*5. Ever Is Over All, 1997
http://video.google.com/videoplay?docid=4559201253275818259

*6. Aujour d’hui, 1999
http://www.tudou.com/programs/view/7tA_ASD5x5M/



Mentre i video di Bill Viola richiedono di essere visti dal principio alla fine, da uno spettatore attento possibilmente seduto su un divanetto di fronte all’opera come in una sala da museo, i video di Pipilotti Rist sono da guardare come una sorta di tappeto visivo e sonoro, e vengono spesso installati dall’artista su uno sfondo casuale di interni già arredati (Utrecht, Centraalmuseum, 2001).

La componente musicale è rilevante; come già ricordato, l’artista ha fatto parte dal 1988 al 1994 di un gruppo rock (Le Reines Prochaines), e collabora stabilmente con il musicista Anders Guggisberg. Dal mondo del rock derivano molte componenti iniziali del lavoro di Rist, come viene messo in evidenza nel saggio critico incluso nella Storia della videoarte di Federica Tammarazio:
http://www.fucine.com/network/fucinemute/core/redir.php?articleid=1658:


Il sito web di Pipilotti Rist è un gioco, un’opera d’arte più che uno strumento pratico o di conoscenza, in cui l’artista scherza con le abitudini degli utenti della rete collocando le informazioni in punti inaspettati:


http://www.pipilottirist.net/begin/open.html

(Contiene link al video Selbstlos im Lavabad, 1994)

Molto rilevante il passaggio di Pipolotti Rist il passaggio alla Biennale di Venezia nel 2005, con una video installazione presentata alla Chiesa di San Stae che viene peraltro anticipatamente chiusa a causa delle proteste dei fedeli per la presenza di nudi femminili:

*7. Pipilotti Rist, Homo Sapiens Sapiens, 2005. Videoinstallazione

http://ead.nb.admin.ch/web/biennale/bi05/i/i_rist.htm

“Dal 1990 la chiesa tardobarocca di San Stae sul Canal Grande è lo spazio dove viene presentato il secondo contributo ufficiale della Svizzera alla Biennale di Venezia. Il video di Pipilotti Rist mostra scene poco bucoliche ma molto felici del paradiso terrestre prima del peccato originale ed è proiettato su tutta la volta della navata centrale della chiesa fra le figure di santi, martiri e putti che la 'abitano' silenziosamente. L'artista ha girato gran parte delle sequenze a Minas Gerais in Brasile, quindi lo scenario tropicale fa da sfondo a immagini oniriche e surreali con forme generose di corpi umani circondati da una natura rigogliosa. Per assistere alla proiezione i visitatori possono adagiarsi sul morbido fogliame di un ramo sovradimensionato: sorta di letti che permettono di guardare in alto da una posizione rilassata. Il tutto è accompagnato da un sonoro originale (anche questo elaborato dall'artista in collaborazione con amici musicisti) diffuso da fonti invisibili. Il paradiso di Pipilotti Rist, a differenza di quanto scritto nella Bibbia, è abitato da Pepperminta e da sua sorella Amber che danzano e giocano senza sentire apparentemente la mancanza di Adamo. Forse è proprio la sua assenza ad allontanare la minaccia dei sensi di colpa. Emersa sulla scena artistica alla metà degli anni '80, con le sue opere l'artista traccia un progetto di vita allegro, coraggioso e disinvolto, caratterizzato da un'ingenuità utopica quasi giovanilistica. Pipilotti Rist, che si considera femminista, offre sempre un posto centrale ai ruoli femminili; fisicità, effimero ed erotismo sono i temi portanti dei suoi lavori”.
Alessandra Borgogelli, 2005 (http://www.undo.net/bounce_effect_07/66.htm)


Opere recenti:

Pipilotti Rist ha presentato al MoMa di New York la mostra
Pour Your Body Out (7354 Cubic Meters), in cui l’artista è stata chiamata a reinventare il grande spazio (7354 metri cubi, come indica il titolo) del Donald B. and Catherine C. Marron Atrium al secondo piano del museo, algido spazio progettato dal giapponese YoshioTaniguchi:

*8. Pipilotti Rist: Pout Your Body Out (7354 Cibic Meters)
New York, MoMA, the Donald B. and Catherine C. Marron Atrium,
19 Nov 2008- 2 Feb 2009


http://www.youtube.com/watch?v=lL3NJdxfrAA
http://www.youtube.com/watch?v=89vgdELbVyQ&NR=1
http://www.wikio.com/video/734154

http://www.flashartonline.it/interno.php?pagina=newyork_det&id_art=228&det=ok&titolo=Pipilotti-Rist-–-Pour-Your-Body-Out”-



cui ha fatto seguito un’altra personale a Rotterdam, con tre nuove installazioni e alcuni vecchi lavori (fra cui Homo Sapiens Sapiens, l'opera censurata alla Biennale di Venezia nel 2005).


9. Elixir: The Video Organism of Pipilotti Rist
Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen
7 Mar- 8 Mag 2009

http://www.rotterdam.info/uk/TRD/evenementen/tentoonstellingen/136011.asp
http://www.domusweb.it/upd_art/article.cfm?idtipo=3&id=194



b) Net Art: Shilpa Gupta



*10. Shilpa Gupta, Blessed Bandwidth, 2001

http://www.blessed-bandwidth.net/


Caratteristica opera di net art, propone provocatoriamente un progetto di “benedizione a banda larga” che l’utente/fedele può ricevere, dal clero di una confessione prescelta, attraverso internet. Gli aspetti ironici del progetto, fra cui l’idea di una intercambiabilità fra le diverse confessioni (suggerita fra l’altro da un menu a discesa e da una struttura generale simile a quella dei siti commerciali), si oppongono all’idea delle religioni armate, prive di ironia e pronte a uccidere, che sono un caratteristico fenomeno del mondo contemporaneo (evocate nell’opera della Gupta da figure in tuta mimetica simile a un saio monastico con cappuccio, che affiorano a tratti muovendo il mouse sulle immagini) .

L’idea di una benedizione “a banda larga”, di cui l’artista offre di provare la validità documentando i suoi contatti col clero delle diverse confessioni nell’ambito della realizzazione del progetto, pone in conflitto due aspetti del mondo contemporaneo: la comunicazione a distanza (con relative posssibili mistificazioni) offerte dalla tecnologia, e il persistere di tradizioni ataviche presenti in molti rituali religiosi.





Bibliografia

Pipilotti Rist:

Oltre ai link già indicati nel testo, si veda:
http://en.wikipedia.org/wiki/Pipilotti_Rist


Shilpa Gupta:

http://www.intoscana.it/intoscana2/opencms/intoscana/sito-intoscana/Contenuti_intoscana/Canali/Arte-e-Cultura/visualizza_asset.html?id=807879&pagename=704616

mercoledì 3 marzo 2010

Biennio 2. Iconografie del contemporaneo: Michal Rovner o l’identità negata

Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA


a) Iconografia della vita quotidiana


1. The CSI Tour, video (CBS/Alliance Atlantis, 2002-03)

In questa featurette inclusa nella raccolta relativa alla seconda stagione, Richard Berg, scenografo del serial televisivo CSI, presenta gli ambienti della stazione di polizia.


2. Sedia Navy:

http://www.jointmilano.com/aanuovodreamweaver/emeco.htm

http://images.google.it/imgres?imgurl=http://modernclassicsdirect.co.uk/images/T/EmecoArmChair.gif&imgrefurl=http://www.modernclassicsdirect.co.uk/home.php%3Fcat%3D21&usg=__PW_11GaU0w1BgL9Upgh66xIAlDE=&h=300&w=400&sz=25&hl=it&start=14&sig2=dex92LAK7hOlP6KqdIYjDA&um=1&itbs=1&tbnid=1wL4GczQVRG32M:&tbnh=93&tbnw=124&prev=/images%3Fq%3DEmeco%2Bnavy%2Bchair%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DG%26rls%3Den%26tbs%3Disch:1&ei=wb6HS4qeF5yRsgax8u2iDw

http://en.wikipedia.org/wiki/Emeco_1006


3. Lampada Poul Henningsen:

http://it.wikipedia.org/wiki/Poul_Henningsen

http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.dorotheum.com/fileadmin/user_upload/lots_images/40D90514/140_29259_2.jpg&imgrefurl=http://www.dorotheum.com/it/auktion-detail/auktion_design/lot_142-ph-32-tischlampe-entwurf-poul-henningsen-1926-fuer-louis.html&usg=__LCuW0XYOndalIvFvXT8nw4QtcWk=&h=400&w=364&sz=50&hl=it&start=5&sig2=N7GTNIfIJ2Br21QBZqTVwA&um=1&itbs=1&tbnid=tUdpdUSsNa6sMM:&tbnh=124&tbnw=113&prev=/images%3Fq%3Dlampada%2Bhenningsen%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DN%26rls%3Den%26tbs%3Disch:1&ei=t72HS4fPFcqgsAbBv6WaDw


4. Finestre di edificio industriale:

http://www.reuther.wayne.edu/pic/sitdown/passfood.gif





b) Iconografie del contemporaneo: Michal Rovner o l’identità negata


Michal Rovner gioca con l’iconografia in modo molto sottile, magistrale. Le sue immagini sono concepite in modo da creare da un lato un preciso riferimento visivo a repertori d’immagini ben noti (soldati contemporanei nel deserto, reclusi in un campo di prigionia), ma escludendo nello stesso tempo gli elementi che potrebbero precisare l’identificazione, impedendoci di riferire l’immagine a un luogo o a un momento ben definiti nel tempo.
Nata in Israele nel 1957, Rovner ha studiato cinema, televisione e filosofia all’università di Tel Aviv e si è laureata in arti visive all’Accademia Bezalel. Nel 1978, ha fondato insieme al suo fidanzato la Camera Obscura Art Scool a Tel Aviv per studi nel campo del cinema, del video e della computer art. Per parecchi anni ha sviluppato la ricerca artistica a margine della sua attività di fotogiornalista e fotografa pubblicitaria; ma alla fine degli anni ’90, con opere come Overhanging (1999) la sua poetica visiva, basata su un raffinato uso dell’immagine sfocata, ambigua, e dei contrassegni iconografici, comincia a prendere dei connotati precisi.
Concepita in un periodo in cui l’artista si era trasferita da poco da Israele a New York e seguiva in televisione i resoconti della guerra del Golfo, Overhanging ha per tema l’ambivalenza dell’immagine e il dubbio margine di verità che hanno i resoconti televisivi in generale.
Su una serie di venti schermi, posti su due file affrontate, Rovner fa scorrere le immagini di due distinte situazioni: una tempesta di neve a New York e una di sabbia nel deserto di Israele, entrambe filmate non direttamente, ma davanti allo schermo del televisore. Le due serie contrappongono, fino a confonderli e a renderli identici, gruppi di figure in difficoltà, resi indistinti dalle condizioni atmosferiche, anonime immagini di esseri umani in lotta e in pena.

* 5. Michal Rovner, Overhanging, videoinstallazione, 1999

Proprio su quest’opera, esposta nella prima importante restrospettiva di metà carriera della Rovner, al Whitney Museum nel 2002, si appuntarono delle critiche: le sue figure di soldati nel deserto, volutamente indistinte, cancellavano i contrassegni di nazionalità non permettendoci di capire se quelle figure in lotta erano “i nostri” o gli altri, quelli da amare da amare o quelli da odiare.
Chiamata a rappresentare Israele alla Biennale di Venezia del 2003, con la sua monografica Against order? Against disorder? Rovner alzò il tiro, chiarendo coraggiosamente che quella era esattamente la sua intenzione: con un memorabile gruppo di opere nuove, tematicamente collegate tra loro, mostrò immagini riferibili a campi di prigionia, allo sterminio, all’olocausto, ma rimuovendo ancora una volta i contrassegni che avrebbero potuto ancorare quelle immagini a un momento storico preciso e ben individuato. In tal modo, le immagini alludono non alle sofferenze di un popolo particolare in un determinato momento storico, ma a qualcosa di più inatteso, e se possibile, ancora più inquietante: al mostro dell’oppressione, sempre in agguato, non confinato in modo rassicurante nel passato, ma vivo e temibile oggi come un tempo, forse attivo ancora, in qualche luogo, nel tempo presente.
Il video all’ingresso del padiglione, che annunciava il tema dell’intera mostra, faceva soffermare il pubblico a lungo. Mostrava un gruppo d’uomini che camminavano in circolo, come nei luoghi di prigionia di ogni tempo.
Lo sfondo, di un bianco abbacinato, poteva sembrare di neve, e qualcosa nel taglio dei lunghi pastrani di quelle figure sfocate e indefinite poteva ricordare gli anni ’30 o ’40, ma solo molto vagamente. Ed erano poi veramente prigionieri? Non c’erano sorveglianti in vista, e ogni tanto qualche figura si staccava dal circolo e si allontanava, mentre gli altri continuavano il loro monotono percorso in cerchio. Appesi alle altre pareti della sala, alcuni still da video mostravano lo stesso cerchio di figure ripreso dall’alto.

*6. Michal Rovner, More, video, 2003
http://www.youtube.com/watch?v=N0Ed0GgPkX8&feature=related

*7. Vincent Van Gogh, La ronde des Prisonniers, 1899. Mosca, Museo Pushkin
http://www.artdreamguide.com/_arti/van-gogh/_opus/623.htm


Al piano di sopra, il visitatore trovava la vera, forte sorpresa: dei tavoli in penombra, su cui erano disposti dei contenitori circolari in vetro simili alle capsule da coltura usate nei laboratori. All’interno delle capsule, file di minusoli uomini ripresi dall’alto formavano gli strani cerchi, le spirali, le catenelle che abbiamo visto molte volte annodarsi e snodarsi nei documentari scientifici che mostrano la vita dei microrganismi.
Quest’opera, Data Zone, era un vero choc: esseri umani come batteri? Messi da qualcuno a quest’abissale distanza visuale che li rende esseri minuscoli, insignificanti, usabili per gli esperimenti?
Sul fondo delle capsule, gli omini minuscoli come batteri continuavano a comporre e scomporre le loro indecifrabili figure.
Ora noi sappiamo che questo è realmente accaduto, che in uno dei momenti più scuri del XX secolo e dell’intera storia umana qualcuno ha davvero trattato altri uomini in questo modo, li ha distanziati a una profondità abissale, li ha visti come esseri infimi, li ha usati per esperimenti. Ma questa installazione video di Michal Rovner, non mostrando alcun connotato d’epoca e di luogo, lascia adito a dubbi: chi mette sotto il microscopio chi? Chi è l’oppressore e chi è l’oppresso in questo momento, nelle guerre del presente?
Nell’installazione della stanza successiva, Time Left , le pareti erano interamente ricoperte da file orizzontali sovrapposte di minuscoli omini che marciavano verso una meta indefinita, ordinati e indecifrabili. Con una eccezionale economia di mezzi, Rovner riusciva a suscitare un grande senso di mistero.

*8. Michal Rovner, Data Zone, videoinstallazione, 2003

http://www.youtube.com/watch?v=lXX9xrDJt-8&feature=related

9. Michal Rovner, Time Left, videoinstallazione, 2003

http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.artnet.com/magazine/features/rush/Images/rush7-9-3s.jpg&imgrefurl=http://www.artnet.com/magazine/features/rush/rush7-9-03.asp&usg=__j4M6-Q0Mbzp4w5fQd3YiLNu6IV0=&h=116&w=175&sz=7&hl=it&start=25&sig2=gNRqyIal_ZkLr5F5bqIELg&um=1&itbs=1&tbnid=2uJBR_hopnLEvM:&tbnh=66&tbnw=100&prev=/images%3Fq%3Drovner%2Bisraeli%2Bpavillion%26start%3D18%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DN%26rls%3Den%26ndsp%3D18%26tbs%3Disch:1&ei=hdeHS8jqAsOhsAbRo5CaDw


In opere successive, l’allusione al cammino dell’uomo nel mondo come un’arcana scrittura si precisa: nella serie Stones, Rovner presenta in bacheche di vetro, simili a quelle dei musei, delle pietre su cui gli omini in fila si muovono scorrendo e appaiono simili ai segni di una misteriosa, indecifrata scrittura.

Altre opere:

*10. Michal Rovner, In Stone.

www.pacewildenstein.com
http://www.youtube.com/watch?v=ibLfFyOqcjc

11. Michal Rovner, Makom II

http://www.youtube.com/watch?v=SHwAc51r5F0&feature=related

*12. Michal Rovner, Untitled, dalla serie Outside, 1991

http://www.corcoran.org/collection/highlights_main_results.asp?ID=118
http://www.metmuseum.org/search/iquery.asp?datascope=all&command=text&attr1=%22Rovner%22





c) Giovanni Battista Giorgini, Sfilate di Palazzo Pitti, mostra The Italian Metamorphosis:

http://associazioni.comune.firenze.it/archiviogiorgini/testo.htm
http://www.archiviodistato.firenze.it/nuovosito/fileadmin/template/allegati_media/materiali_studio/progetti/archivio_moda_giorgini.pdf
http://findarticles.com/p/articles/mi_m0268/is_n5_v33/ai_16462123/






d) Net Art: Shilpa Gupta

*13. Shilpa Gupta, The Blessed Bandwidth, 2001
http://www.blessed-bandwidth.net/

Caratteristica opera di net art, propone provocatoriamente un progetto di “benedizione a banda larga” che l’utente/fedele può ricevere, dal clero di una confessione prescelta, attraverso internet. Gli aspetti ironici del progetto, fra cui l’idea di una intercambiabilità fra le diverse confessioni (suggerita fra l’altro da un menu a discesa e da una struttura generale simile a quella dei siti commerciali), si oppongono all’idea delle religioni armate, prive di ironia e pronte a uccidere, che sono un caratteristico fenomeno del mondo contemporaneo (evocate nell’opera della Gupta da figure in tuta mimetica simile a un saio monastico con cappuccio, che affiorano a tratti muovendo il mouse sulle immagini) .

L’idea di una benedizione “a banda larga”, di cui l’artista offre di provare la validità documentando i suoi contatti col clero delle diverse confessioni nell’ambito della realizzazione del progetto, pone in conflitto due aspetti del mondo contemporaneo: la comunicazione a distanza (con relative posssibili mistificazioni) offerte dalla tecnologia, e il persistere di tradizioni ataviche presenti in molti rituali religiosi.






Bibliografia

Michal Rovner:

http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.archimagazine.com/rbeda3.jpg&imgrefurl=http://www.archimagazine.com/rbeda.htm&usg=__xWJc0xiZYLGn437MpmTQOGfXRsE=&h=164&w=344&sz=11&hl=it&start=22&sig2=x28ZQiTPxFK0800UT7Y8rA&um=1&itbs=1&tbnid=91M3BxDYbaW8KM:&tbnh=57&tbnw=120&prev=/images%3Fq%3Drovner%2Bwhitney%26start%3D18%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DN%26rls%3Den%26ndsp%3D18%26tbs%3Disch:1&ei=q9aHS5_nC5yasgaMleSSDw


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Shilpa Gupta:

http://www.youtube.com/watch?v=N0Ed0GgPkX8&feature=related