giovedì 27 maggio 2010

Biennio 13. Marketing dei profumi: il ruolo dell’immagine/Iconofobie contemporanee

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese







a) Marketing dei profumi


Interessanti studi e tesi di laurea sono state dedicate all’argomento in tempi recenti., in quanto si tratta di un campo di estremo interesse per studiare le potenzialità dell’immagine e dell’iconografia; dato che il prodotto è invisibile, nella pubblicità sulla stampa e a mezzo video è necessario “tradurlo” in simboli che risultino evocativi per il potenziale cliente.
Da sempre, per questa ragione, una particolare attenzione è stata dedicata al packaging del profumo, in particolare alla forma delle boccette, molte delle quali, affidate a designer celebri, sono diventate oggetto di collezionismo; ma negli ultimi decenni, con l’erompere della civiltà delle immagini e delle comunicazioni di massa, la “comunicazione” del profumo, e più in generale dei cosmetici, si è arricchita fino a comprendere, come altri settori della moda, blog dedicati, e recensioni che sono pezzi di prosa sofisticata e complessa, simili per molti versi alla critica musicale nel loro sforzo di visualizzazione:


http://www.nysun.com/new-york/marketing-and-living-the-luxury-goods-experience/36474/

“Calvin Klein MAN contains rosemary, mandarin, bay, nutmeg, incense, spearmint, cypress wood, and, oh dear, the usual (and overused) fragrance notes of bergamot, violet leaf, guaiac wood, sandalwood, amberwood (which is in LOTS of fragrances this year) and musk. Calvin Klein MAN starts with bergamot, cypress, a bit of bay and violet leaf. Nose boredom sets in immediately, but then the scent freshens thanks to mentholated rosemary and spearmint. (I like minty fragrances, but if you don’t, you may have trouble with the mid-section of Calvin Klein MAN.) The mints mix nicely with a subdued, unburned incense aroma; the heart of the fragrance with its minty incense is my favorite part of Calvin Klein MAN. As the mints calm down, I can detect one of my favorite notes: nutmeg. Too bad the nutmeg signals the start of the fragrance’s classic (or if you prefer “conventional”) warm finish of guaiac wood (with a tinge of rose aroma), sandalwood, amberwood and musk. Calvin Klein MAN is a well made fragrance and it, along with Narciso Rodriguez for Him and Tom Ford for Men, make a pleasing trio of new mainstream men’s scents for fall and winter. But I’m not thrilled with any of these colognes and I’m left asking the question: why must all these masculine fragrances be so TAME? As with many mainstream men’s fragrances, Calvin Klein MAN is just too smooth, too ‘laundered’ and ‘well-pressed’ for my tastes. I’m frustrated as I think of what Calvin Klein MAN might have been — what if its spearmint and rosemary had been amplified, what if guaiac wood’s rosy element had been accompanied by a medicinal rose accord, and what if Calvin Klein MAN’s ‘incense’ had been burning, instead of simply sitting in its unopened cellophane-wrapped box?”
(“Calvin Klein MAN include rosmarino, mandarino, alloro, noce moscata, incenso, menta, legno di cipresso, e, oh mamma mia, la solita (e abusata) mistura di note di bergamotto, foglia di violetta, legno di guaiaco, legno di sandalo, ambra (che è in una quantità di profumi di quest’anno) e muschio. Calvin Klein MAN parte con bergamotto, cipresso, un po 'di alloro e foglie di violetta. Immediatamente parte la noia olfattiva; ma poi la fragranza diviene più fresca, grazie a note mentolate di rosmarino e menta (che a me piacciono; ma chi non ama la menta nei profumi può avere problemi con la parte centrale di Calvin Klein MAN.). Alla menta si uniscono felicemente note pacate di incenso non bruciato; questa sezione centrale, con il suo incenso mentolato, è la parte che preferisco di Calvin Klein MAN. E quando poi la menta si placa, si avverte quella che è una delle mie note favorite: la noce moscata. Peccato però che la noce moscata segnali l’inizio di quello che è il finale, molto classico, (o se preferite, molto convenzionale), di Calvin Klein MAN: legno di guaiaco (con un accenno di rosa), legno di sandalo, ambra e muschio.
Calvin Klein MAN è una fragranza ben composta e, insieme a Narciso Rodriguez for Him e Tom Ford for Men, costituisce un piacevole trio di nuovi profumi maschili per l’autunno e l’inverno. Ma non sono partcolarmente stimolato da nessuna di queste colonie. E rimango con una domanda: ma perché tutti queti profumi per uomo devono essere sempre così CONTROLLATI? Come molte fra le più diffuse fragranze per uomo, Calvin Klein MAN è semplicemente troppo compita, troppo “bonificata”, troppo “ben stirata” per i miei gusti. Mi sento frustrato quando penso a che cosa Calvin Klein MAN avrebbe potuto essere – se la menta piperita e il rosmarino fossero stati amplificati, se le note rosa del legno di guaiaco fossero state accompagnate da un accordo di rosa medicinale; se l’ “incenso” di Calvin Klein MAN fosse stato acceso, invece di restarsene semplicemente chiuso all’interno della sua scatola chiusa e cellofanata?”


http://www.nstperfume.com/2007/10/04/calvin-klein-man-fragrance-review/


“I did find a little treasure though–Cedar EdP, from the new L'Occitane 4 Winds collection! Sorry to speak blasphemy in front of many Terre d'Hermes fans, but I think this should've been the approach Ellena should've considered rather than his composition of orange peels on a big stack of cedar planks sitting in the desert which left me parched!
Cedar starts off bright and resinous with grapefruit and sap (the best part, IMO), then a desert vibe with cumin and tobacco leaves, quite possibly in its green state because it still remains bright and not the dried variety for smoking would impart. You catch a slight impression of leather as well, and as the (atlas) cedar emerges at the base you catch a slightly mentholated kind of vibe from the cedar's camphorous quality from the wood, like that of Opium pour Homme, and finally a low hum of cedar (like that of Td'H) at the end. There's tonka listed at the base too, but only enough to smooth out all the edges and keep you from getting parched like Terre d'Hermes. Overall feel is a soothing and uplifting feeling giving proper homage to a Moroccan oasis as the L'Occitane website refers its inspiration from”.
(“Comunque ho trovato un piccolo tesoro, Cedar EdP, dalla nuova collezione 4Winds di l’Occitane! Mi dispiace suonare blasfemo ai molti fan di Terre d’Hermés, ma credo che questo sarebbe stato l’approccio che Ellena avrebbe dovuto prendere in considerazione, anziché la sua composizione di bucce d’arancia su un gran mucchio di tavole di cedro impilate in un deserto, che mi ha lasciato inaridito! Qui invece parte il cedro, vivace e resinoso, insieme a pompelmo e linfa (la parte migliore, secondo me). Segue una nota allusiva al deserto, con cumino e foglie di tabacco (con tutta probabilità nella loro forma verde, perché è una nota vivace, non del genere che darebbe la varietà secca da fumare). Si afferra anche un leggero sentore di cuoio, e quando il cedro atlas (l’albero di cedro nella varietà algerina/marocchina, n.d.t) affiora dal fondo, si avverte anche anche un accento leggermente mentolato, che deriva dalla componente resinosa del cedro stesso, sul genere di quella di Opium pour Homme. Il profumo si chiude su una bassa risonanza di fondo, che emana sempre dal cedro (come quello di Td’H) . Tra i componenti è elencato anche il tonka (la fava tonka veniva utlizzata come aromatizzante del tabacco, n.d.t.), ma ce n’è giusto quanto basta a smussare tutti gli spigoli e all’evitare il senso di inaridimento che dà Terre d’Hermés. La sensazione complessiva è rasserenante e stimolante, rende omaggio in effetti all’idea di un’oasi marocchina, cui il sito de l’Occitane afferma che questo profumo si ispira”.


Bibliografia
Romano Cappellari, Il marketing della moda e del lusso, Roma, Carocci Editore, 2008
http://www.tesionline.it/consult/preview.jsp?idt=4513
http://www.corrieredelvino.it/il-marketing-e-il-vino/ambient_marketing/
http://www.manageronline.it/articoli/vedi/92/marketing-esperienziale-come-le-emozioni-inducono-allacquisto/




b) Ioconoclastia e iconofobia


La paura o interdizione dell'immagine accompagna la storia delle religioni di tutta l'umanità.
(Vedere per un eventuale approfondimento in questo blog la lezione ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 1, sez. b), e bibliografia relativa)

La paura dell'artista, a causa della sua capacità di creare immagini, è analizzata in un celebre e godibile classico, opera congiunta di uno psicanalista e di uno storico dell'arte:

Ernst Kris e Otto Kurz, La leggenda dell'artista, trad it. Torino, Bollati-Boringhieri, 2004

Per un'analisi del fenomeno dell'iconofobia contemporanea, si possono condurre approfondimenti a partire da Sven Lütticken, Idols of the market/Modern Iconoclasm and the Fundamentalist Spectacle (in part . cap. secondo, Against Representations pag. 71 e seguenti) , che analizza le posizioni del filosofo e regista francese Guy Debord e della scrittrice statunitense Kathy Acker.


Sven Lütticken, Idols of the Market – Modern Iconoclasm and the Fundamentalist Spectacle, Berlin, Sternberg Press, 2009


Bibliografia
Si vedano le opere a stampa e i link citati.

Triennio 13. Stelarc, Vanessa Beecroft, Lucinda Devlin, Nancy Davenport, Shirin Neshat

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese




a) Stelarc


Stelarc è nato nel 1946 a Limassol, Cipro e vive e lavora in Australia. Le sue operazioni di Body art si contraddistinguono per un marcato interesse verso le tecnologie contemporanee. Ha utilizzato strumenti medici, protesici, sistemi di realtà virtuale e Internet per esplorare, estendere e amplificare il corpo umano.

http://www.treccani.it/Portale/elements/categoriesItems.jsp?category=Arte_Lingua_e_Letteratura/arti_visive/biografie/&parentFolder=/Portale/sito/altre_aree/Arte_Lingua_e_Letteratura/arti_visive/&addNavigation=Arte_Lingua_e_Letteratura/arti_visive/biografie/&lettera=S&pathFile=/sites/default/BancaDati/Enciclopedia_online/S/BIOGRAFIE_-_EDICOLA_S_162218.xml

http://it.wikipedia.org/wiki/Body_art

http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=Stelarc

*1. Stelarc (Stelios Arkadiou, Cipro 1946), Ping Body, azione di body art e web, 1995
http://architettura.supereva.com/stelarc/pingbody.htm


b) Artisti di Iconos Metropolitanos: Vanessa Beecroft, Lucinda Devlin, Nancy Davenport, Doug Hall, Shirin Neshat


Con l’aiuto del sito di questa importante mostra che si è tenuta al PROA di Buenos Aires, fondazione argentina per l'arte contemporanea tra le più attive nel panorama internazionale, approfondiamo l’attività di alcuni artisti:

http://www.proa.org/exhibiciones/pasadas/iconos/salas/id_hall.html



http://www.vanessabeecroft.com/frameset.html

http://www.brown.edu/Facilities/David_Winton_Bell_Gallery/devlin.html

Lucinda Devlin, nata ad Ann Arbor (Michigan,USA) nel 1947, si è rivelata al pubblico internazionale con l’opera The Omega Suites presentata alla 49.ma Biennale di Venezia nel 2001: trenta immagini di altrettante “camere della morte” di penitenziari negli Stati Uniti (tutti gli stati nei quali all’epoca era ancora legalizzata la pena di morte negli USA), fotografate con assoluta sobrietà e oggettività di dettagli.


*2. Lucinda Devlin, The Omega Suites, serie fotografica, 1991-98

La serie successiva, Pleasure Grounds, applica lo stesso sguardo a una serie di suites nuziali, saune e palestre di grandi alberghi.

http://www.paulrodgers9w.com/?method=Exhibit.ExhibitDescriptionPast&ExhibitID=20593A05-115B-5562-AA90C8E7D5D1E3D6

Shirin Neshat (1957), è una artista iraniana di arte visiva contemporanea, conosciuta soprattutto per il suo lavoro nel cinema, nei video e nella fotografia. Vive attualmente tra il suo paese di origine e New York.

http://it.wikipedia.org/wiki/Shirin_Neshat


http://www.iranian.com/Arts/Dec97/Neshat/


*3. Women of Allah, 1997, serie fotografica


*4. Rapture, 1999, serie fotografica


Recensione relativa al recente debutto della Neshat nel lungometraggio con il film Donne senza uomini (2009):


http://www.cineblog.it/post/19091/donne-senza-uomini-di-shirin-neshat-recensione-in-anteprima


Nancy Davenport (Vancouver 1965), è stata resa famosa dalle due serie di fotomontaggi digitali

Apartements (2000-01) e Accident Prone(1996).


http://www.nancydavenport.com/
http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=89918

Vanessa Beecroft (Genova1969) è una artista italiana. Attualmente vive a New York.
Di madre italiana e padre inglese, ha trascorso parte della sua infanzia a Malcesine (sul lago di Garda).
Diplomata all'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, segue i corsi di spettacolo dell'Associazione La Chiave di Campopisano diretta da Mimmo Chianese per poi trasferirsi all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove si diploma nel 1993. Attualmente vive e lavora a New York, che l'artista stessa definisce «il primo paese in cui mi sono sentita a casa».
La sua fama è soprattutto legata a performances, che riuniscono giovani donne più o meno nude secondo le regole del “casting” cinematografico: ciascuna delle partecipanti deve avere determinati requisiti fisici e di abbigliamento e attenersi a una coreografia prescitta dall’artista impone prima di ciascuna azione, per comporre dei veri e propri "quadri viventi", esposte in gallerie e musei di arte contemporanea.
La prima performance di Vanessa Beecroft si è tenuta presso la galleria di Luciano Inga Pin di Milano, durante il Salon Primo dell'Accademia di Belle Arti al Palazzo di Brera.


http://www.vanessabeecroft.com/frameset.html


http://www.newemotion.it/hot.php3?ProdID=62



Bibliografia
Vedere i siti indicati nel testo

domenica 23 maggio 2010

BIENNIO 12. Gilbert & George /Jun Nguyen Hatsushiba/Mikhael Subotzky

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese



a) Gilbert & George



Su Gilbert & George:

Daniel Birnbaum (a cura di), Fare Mondi, catalogo della 53.ma Biennale d’Arte di Venezia, Marsilio, 2009, vol. 1, pagg. 62-63

Daniel Birnbaum, Michael Bracewell, Ginkgo Pictures (Catalogo della mostra monografica al padiglione britannico), Londra, Edizioni del British Council, 2005

La foglia di ginkgo, pianta che ha da un punto di vista botanico una struttura antichissima e sembra sdoppiarsi in due metà con una simmetria speculare, diventa il motivo conduttore per una serie di pannelli in cui i due artisti britannici giocano sulla loro stessa immagine creando un ciclo sull’autocelebrazione come coppia, con irriverenti richiami a vetrate da chiesa in stile preraffaellita, quindi a immagini d’arte sacra, nelle quali spesso, come in queste loro creazioni, viene usato l’elemento estetico della simmetria.


*1. Gilbert & George, The Ginkgo Project, 2005

Installazione in 9 pannelli (253 x 213 cm ciascuno)

http://www.xs4all.nl/~kwanten/artgal35.htm

Sulla realizzazione dell’opera:

http://www.tate.org.uk/modern/exhibitions/gilbertandgeorge/default.shtm

Vetrate preraffaellite:

http://www.firstparishinbrookline.org/stainedglass.htm

http://bwht.org/whitman




b) Jun Nguyen-Hatsushiba, nato a Tokyo, vive e lavora in Vietnam. Le sue prime installazioni vengono realizzate con materiali desunti dai luoghi in cui vive, come risciò, tende di bambù e zanzariere.

http://www.lehmannmaupin.com/#/artists/jun-nguyen-hatsushiba/

L’opera video di Jun Nguyen-Hatsushiba Memorial Project Nha Trang, Vietnam: Towards the Complex—For the Courageous, the Curious, and the Cowards è stata realizzata nel 2001 sulle coste sudorientali del Vietnam
E’ la prima opera video dell’artista e presenta avvincenti immagini di uomini (pescatori locali ) che spingono dei risciò sul fondale marino.
L’opera si riferisce alle proteste dei conduttori di risciò la cui attività dichiarata degradante, era stata proibita per legge, lasciandoli però privi dell’unico lavoro che conoscevano e che erano in grado di svolgere, storia di un momento difficile sulla strada della modernizzazione del sud-est asiatico.


*2. Jun Nguyen-Hatsushiba , "Towards the Complex-For the Courageous, the Curious, and the Cowards" 2001, video

Per il Macro, Hatsushiba ha realizzato Flag Project.
Si tratta di un video girato nelle acque di Okinawa, ex base militare americana. I protagonisti del filmato cominciano a dipingere su tele che si trasformano nei ritratti dei più noti attori americani che il cinema ha legato indissolubilmente al Vietnam.


c) Mikhael Subotzky

Nel 2004, Mikhael Subotzky era un neolaureato che metteva in mostra il suo lavoro di tesi, un approfondito documentario fotografico sulla vita nelle prigioni del suo luogo natale, Città del Capo. Alla fine del 2005, aveva un contratto da un'importante galleria ed era stato invitato a una grande mostra negli Stati Uniti.. Da allora, i riconoscimenti si sono moltiplicati a un ritmo impressionate: a soli 25 anni, Mikhael ha già esposto a Basilea, Miami, San Francisco, Amsterdam, Torino, Verona, Roma, Parigi, Londra e New York. Sue opere sono entrate nelle collezioni permanenti delle South African National Gallery di Città del Capo, della Galleria d'arte moderna di Johannesburg, e del MoMA di New York. Ha vinto innumerevoli premi, fra cui una residenza in Italia, presso Fabrica di Benetton: partecipando a Fabrica Forma Fotografia, indetto da Fabrica in collaborazione con Forma, Centro internazionale di Fotografia, si è infatti aggiudicato il premio per gli artisti sotto i 25 anni, che includeva una borsa di studio per il soggiorno a Treviso. Questo ha dato avvio, fra l'altro, alle sue collaborazioni con Colors, che includono finora un reportage sul Sud Africa e uno sul Ghana.
Tutto è nato, pare, da un incontro casuale. Nel 2004, quando Mikhael, ancora studente d'arte di Città del Capo in cerca di un tema per il suo progetto di laurea, incontrò alcuni addetti di una commissione elettorale che si occupava delle operazioni di voto di alcune categorie particolari di cittadini, fra cui i carcerati, a cui proprio in quell'anno, con un provvedimento che aveva suscitato un ampio dibattito, era stato concesso in Sud Africa per la prima volta di votare. Mikhael chiese, ed ottenne, di documentare fotograficamente le operazioni di voto all'interno di Dwaarsrivier, uno stabilimento carcerario a nord di Città del Capo. Fu quella l'occasione che lo mise in contatto con il mondo delle prigioni, che diverranno il suo tema caratteristico, e lo porteranno a sviluppare lo stile che attualmente lo identifica: una sorta di variante “calda” della fotografia documentaria, colma di affettività e attenta ai valori visuali. A Dwaarsrivier, Mikhael si reca il giorno delle elezioni, scatta alcune foto; ma il progetto si dilata, fino a dar vita alla serie di immagini che gli ha dato la fama. S'intitola Die Vier Hoeke (Afrikaans per “I quattro cantoni”). E' un'espressione di gergo propria delle gang carcerarie e si riferisce alle quattro fasi con cui un individuo entra a far parte del mondo delle prigioni: perquisizione, registrazione, sosta nella cella di detenzione temporanea, avvio alla sezione di destinazione. Il nome segnala, metaforicamente, il rito di passaggio che dà accesso a un mondo in cui vigono regole diverse, un mondo anche visualmente segregato, di cui ben pochi hanno l'occasione di vedere l'aspetto, e in qualche modo completo in se stesso, in cui anche le relazioni con l'esterno, i sogni, i pensieri, i desideri, non sono quelli che si potrebbero immaginare dall'esterno. A Dwaarsrivier, Mikhael è affascinato fra l'altro dalla conversazione dei detenuti, uno dei quali, HIV positivo, gli spiega come per lui votare significa sentirsi qualcosa di diverso da un avanzo umano lasciato a marcire in fondo a una cella. In un'altra sequenza, il fotografo segue un prigioniero deceduto, Lyanda Motomi, cui le porte del carcere si aprono per l' ultimo viaggio verso la sepoltura nel luogo d'origine, un remoto angolo di Africa rurale. Ma mentre Die Vier Heoeke proietta rapidamente il suo autore alla fama regionale, nazionale e internazionale, quest'ultimo sta già spendendo lunghi periodi all'interno di una delle più temute e sovraffollate prigioni del suo paese, Pollsmoor a Città del Capo, con la sua Canon EOS 10D fissata su uno speciale stativo che gli permette di prendere 18 scatti in rapida successione su un asse rotante, e di realizzare i singolari formati panoramici che sono caratteristici della sua narrativa.
“Quand'ero uno studente d'arte, ero molto spaventato dall'idea di tutto quello che sembrava necessario fare per far carriera come artista”, ha dichiarato Subotzky in una recente intervista rilasciata a Foam Magazine. “Credevo che sarebbe stato necessario andare in giro a conoscere la gente giusta, fare vita sociale, cose simili. Ma dopo che il lavoro su Pollsmoor ha avuto l'accoglienza che ha avuto, mi sono reso conto che non ce ne sarebbe stato bisogno, che stavo ricevendo riconoscimenti per aver fatto quello che ritenevo fosse un buon lavoro”.




*3. Mikhael Subotzky, Die Vier Hoecke, ciclo fotografico, 2004_06


http://www.imagesby.com/






Bibliografia

Vedere i testi e i link citati nel testo

Triennio 12. Mark Wallinger/Michal Rovner/Quarto Plinto

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese



a) Mark Wallinger


Mark Wallinger, nato nel 1959, lavora con pittura, scultura, video, installazioni, fotografie, scandagliando codici di comportamento, valori, ideologie, fede, un insieme di elementi complesso e articolato che definisce l’identità britannica.
La sua arte si caratterizza per la capacità di individuare i simboli visuali e di manipolarli, prevalentemente nella chiave di una mordente e spesso tragica ironia.
Ha studiato, come molti suoi compagni di strada della Young British Generation, alla Chelsea School of Art, e poi al Goldsmith College. Finalista al Turner Prize nel 1995, l’artista ha preso parte a tutte le mostre collettive, più o meno canoniche, dei giovani artisti inglesi, che negli anni Novanta hanno potuto contare su una situazione di critica e di mercato decisamente favorevole.

Di particolare rilevanza il suo passaggio alla Biennale di Venezia nel 2001, come artista chiamato a rappresentare la Gran Bretagna nel padiglione nazionale. Una mostra compatta e memorabile, che includeva le seguenti quattro opere:



*1. Ecce Homo, 1999. Resina bianca marmorizzata, foglia d’oro, filo spinato

Ecce Homo, scultura in marmo che Wallinger ha installato nel 1999 sul Quarto Plinto di Trafalgar Square a Londra, destando scalpore, a Venezia era il fulcro della mostra.

La figura del Cristo è identificabile nella corona di spine, nelle mani legate, e nel panno stilizzato che cinge i fianchi; il calco è preso da un corpo umano molto qualunque, e mancano i lunghi capelli e la barba caratteristici dell’iconografia tradizionale.

Un altro polo importante del padiglione era la videoproiezione Threshold to the Kingdom (il titolo contiene un gioco di parole: letteralmente, “Soglia del Regno”, non si sa se del Regno dei Cieli o di Gran Bretagna); si tratta di una sequenza filmica, molto rallentata e accompagnata da una suggestiva musica sacra, dell’arrivo, filmato senza soluzione di continuità, e proiettato in loop, dei passeggeri al London City Airport. “Arrivi Internazionali”, recita la scritta al di sopra della porta da cui entrano i viaggiatori.
Le loro espressioni di curiosità, di attesa, di incanto, alludono a un trapasso, a un ingresso in una nuova vita. C’è un ironico senso mistico, ma anche un più emozionante e diretto coinvolgimento umano nel fluire inarrestabile dei personaggi.




*2. Threshold to the Kingdom, 2000, videoinstallazione


*3. Angel, 1997, videoinstallazione

Il protagonista è Blind Faith, Fede Cieca, un personaggio impersonato dallo stesso Walliger che lo fa apparire in più di un’opera. Si tratta di un cieco, con occhiali scuri e bastone bianco, che cammina sul posto, risalendo alla rovescia le scale della metropolitana e ripetendo in tono perentorio e monotono, come di chi ripete a memoria, i versetti del Prologo del Vangelo di Giovanni. La sua marcia insistente, così come la sua recita vuota e ripetitiva, non fa che mantenerlo fermo sul posto, mentre altri, che lo osservano incuriositi, si muovono all’indietro.

*4. Ghost, 2001.

E’ una stampa in negativo del famoso ritratto del cavallo Whistlejacket, del generista inglese George Stubbs (1724-1806).
L’artista ha aggiunto un corno sulla fronte, trasformandolo nell’unicorno impennato che appare insieme al leone su uno dei due lati dello stemma reale britannico.
Un insieme di simboli che appare come la radiografia di diverse passioni peculiari al popolo britannico, dai cavalli (e dal loro ritrattista più famoso, immancabile nelle grandi collezioni d’arte britanniche), alla monarchia.

Alla Biennale di Venezia del 2005, Wallinger era presente col video Sleeper: efficace rappresentazione, messa in atto dallo stesso artista travestito da orso, dello spaesamento indotto dalla fredda architettura della Neuer Nationalgalerie di Berlino di Mies van der Rohe. Solo, disorientato, l’orso muove qualche passo, sembra cercare l’uscita, si accuccia scoraggiato contro un muro.

*5 . Sleeper, 2004-2005, video
http://www.tate.org.uk/tateetc/issue9/captiveaudience.htm


Nel 2007 Mark Wallinger vince il Turner Prize, considerato uno dei più prestigiosi riconoscimenti europei per le arti visuali. Il Premio Turner è soprattutto il riconoscimento britannico più importante per la pittura contemporanea e viene consegnato tutti gli anni dal 1984 ad un artista che non abbia superato i 50 anni e che opera in Gran Bretagna. Wallinger ha ottenuto il riconoscimento, e l'assegno da 35.000 mila euro che lo accompagna, per un'installazione contro la guerra ispirata a un attivista molto noto a Londra, Brian Haw, il quale in segno di protesta contro la politica estera del governo britannico, da oltre sei anni si è stabilito in Piazza del Parlamento. Brian Haw, 56 anni, ha iniziato nel giugno del 2001 ad “attaccare con un megafono e striscioni recanti i nomi e le foto dei bambini morti ” la politica sull'Iraq. Con il passar degli anni, gli inglesi e non solo hanno iniziato a sostenerlo.

Intitolata "State Britain", l'installazione è una replica esatta dei 40 metri di accampamento che il dissenziente – pacifista Haw ha realizzato davvero davanti al Parlamento britannico. Il lavoro riproduce esattamente ogni dettaglio dei quaranta metri di cartelli rimossi, messaggi di solidarietà, documenti, immagini di vittime di bombardamenti e quant’altro allestito davanti la sede di Parliament Square.

http://www.journalbooks.it/modules/news/article.php?storyid=204



b) Michal Rovner


Nata in Israele nel 1957, Rovner ha studiato cinema, televisione e filosofia all’università di Tel Aviv e si è laureata in arti visive all’Accademia Bezalel. Nel 1978, ha fondato insieme al suo fidanzato la Camera Obscura Art Scool a Tel Aviv per studi nel campo del cinema, del video e della computer art. Per parecchi anni ha sviluppato la ricerca artistica a margine della sua attività di fotogiornalista e fotografa pubblicitaria; ma alla fine degli anni ’90, con opere come Overhanging (1999) la sua poetica visiva, basata su un raffinato uso dell’immagine sfocata, ambigua, e dei contrassegni iconografici, comincia a prendere dei connotati precisi.
Concepita in un periodo in cui l’artista si era trasferita da poco da Israele a New York e seguiva in televisione i resoconti della guerra del Golfo, Overhanging ha per tema l’ambivalenza dell’immagine e il dubbio margine di verità che hanno i resoconti televisivi in generale.
Su una serie di venti schermi, posti su due file affrontate, Rovner fa scorrere le immagini di due distinte situazioni: una tempesta di neve a New York e una di sabbia nel deserto di Israele, entrambe filmate non direttamente, ma davanti allo schermo del televisore. Le due serie contrappongono, fino a confonderli e a renderli identici, gruppi di figure in difficoltà, resi indistinti dalle condizioni atmosferiche, anonime immagini di esseri umani in lotta e in pena.
Proprio su quest’opera, esposta nella prima importante restrospettiva di metà carriera della Rovner, al Whitney Museum nel 2002, si appuntarono delle critiche: le sue figure di soldati nel deserto, volutamente indistinte, cancellavano i contrassegni di nazionalità non permettendoci di capire se quelle figure in lotta erano “i nostri” o gli altri, quelli da amare da amare o quelli da odiare.
Chiamata a rappresentare Israele alla Biennale di Venezia del 2003, con la sua monografica Against order? Against disorder? Rovner alzò il tiro, chiarendo coraggiosamente che quella era esattamente la sua intenzione: con un memorabile gruppo di opere nuove, tematicamente collegate tra loro, mostrò immagini riferibili a campi di prigionia, allo sterminio, all’olocausto, ma rimuovendo ancora una volta i contrassegni che avrebbero potuto ancorare quelle immagini a un momento storico preciso e ben individuato. In tal modo, le immagini alludono non alle sofferenze di un popolo particolare in un determinato momento storico, ma a qualcosa di più inatteso, e se possibile, ancora più inquietante: al mostro dell’oppressione, sempre in agguato, non confinato in modo rassicurante nel passato, ma vivo e temibile oggi come un tempo, forse attivo ancora, in qualche luogo, nel tempo presente.
Il video all’ingresso del padiglione, che annunciava il tema dell’intera mostra, faceva soffermare il pubblico a lungo. Mostrava un gruppo d’uomini che camminavano in circolo, come nei luoghi di prigionia di ogni tempo. Lo sfondo, di un bianco abbacinato, poteva sembrare di neve, e qualcosa nel taglio dei lunghi pastrani di quelle figure sfocate e indefinite poteva ricordare gli anni ’30 o ’40, ma solo molto vagamente. Ed erano poi veramente prigionieri? Non c’erano sorveglianti in vista, e ogni tanto qualche figura si staccava dal circolo e si allontanava, mentre gli altri continuavano il loro monotono percorso in cerchio. Appesi alle altre pareti della sala, alcuni still da video mostravano lo stesso cerchio di figure ripreso dall’alto. Al piano di sopra, il visitatore trovava la vera, forte sorpresa: dei tavoli in penombra, su cui erano disposti dei contenitori circolari in vetro simili alle capsule da coltura usate nei laboratori. All’interno delle capsule, file di minusoli uomini ripresi dall’alto formavano gli strani cerchi, le spirali, le catenelle che abbiamo visto molte volte annodarsi e snodarsi nei documentari scientifici che mostrano la vita dei microrganismi.
Quest’opera, Data Zone, era un vero choc: esseri umani come batteri? Messi da qualcuno a quest’abissale distanza visuale che li rende esseri minuscoli, insignificanti, usabili per gli esperimenti?
Sul fondo delle capsule, gli omini minuscoli come batteri continuavano a comporre e scomporre le loro indecifrabili figure.
Ora noi sappiamo che questo è realmente accaduto, che in uno dei momenti più scuri del XX secolo e dell’intera storia umana qualcuno ha davvero trattato altri uomini in questo modo, li ha distanziati a una profondità abissale, li ha visti come esseri infimi, li ha usati per esperimenti. Ma questa installazione video di Michal Rovner, non mostrando alcun connotato d’epoca e di luogo, lascia adito a dubbi: chi mette sotto il microscopio chi? Chi è l’oppressore e chi è l’oppresso in questo momento, nelle guerre del presente?
Nell’installazione della stanza successiva, Time Left , le pareti erano interamente ricoperte da file orizzontali sovrapposte di minuscoli omini che marciavano verso una meta indefinita, ordinati e indecifrabili. Con una eccezionale economia di mezzi, Rovner riusciva a suscitare un grande senso di mistero.
*1. http://www.youtube.com/watch?v=lXX9xrDJt-8&feature=related
In opere successive, l’allusione al cammino dell’uomo nel mondo come un’arcana scrittura si precisa: in Stones, Rovner presenta in bacheche di vetro, simili a quelle dei musei, delle pietre su cui gli omini in fila si muovono scorrendo e appaiono simili ai segni di una misteriosa, indecifrata scrittura.
Altre opere:
*2. In Stone:
www.pacewildenstein.com
http://www.youtube.com/watch?v=ibLfFyOqcjc
3. Makom II
http://www.youtube.com/watch?v=SHwAc51r5F0&feature=related
*4. Untitled, dalla serie Outside, 1991
http://www.corcoran.org/collection/highlights_main_results.asp?ID=118
http://www.metmuseum.org/search/iquery.asp?datascope=all&command=text&attr1=%22Rovner%22






Bibliografia

Oltre ai link già citati nel testo, si vedano:

Su Wallinger:
http://en.wikipedia.org/wiki/Mark_Wallinger

H. SZEEMAN (a cura di), Platea dell’umanità, Catalogo della 49.Esposizione internazionale d’arte La Biennale di Venezia, Milano, Electa, 2001

Sul progetto del Quarto Plinto di Trafalgar Square a Londra:

http://www.london.gov.uk/fourthplinth/plinth/rsa.jsp


Su Wallinger a Milano all’Hangar Bicocca nel settembre 2005, con l’opera Easter :
http://www.undo.net/cgi-bin/undo/pressrelease/pressrelease.pl?id=1127298858&day=1127340000


Sul progetto per la scultura gigante del Cavallo:

http://www.telegraph.co.uk/culture/art/4613060/Mark-Wallinger-the-inspiration-behind-my-horse.html

http://www.undo.net/cgi-bin/undo/pressrelease/pressrelease.pl?id=1198251014&day=1199746800

Elementi DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 12. Nuove tecniche d'indagine/Nuove iconografie a Venezia nel Settecento

a) Nuove tecniche d’indagine dei dipinti e lettura iconografica


La lettura sottocutanea dei dipinti, resa possibile da tecnologie perfezionate negli ultimi decenni quali la radiografia e la riflettoscopia a raggi x, ha contribuito a una migliore conoscenza delle tecniche e dei metodi usati dagli artisti dei secoli passati. Rivelando versioni precedenti del dipinto rispetto allo stato attuale, ha inoltre aperto nuove aree d’indagine d’indagine all’iconografia e all’iconologia.

Salvatore Settis, nel già ricordato libro La Tempesta interpretata (vedere bibliografia delle lezioni precedenti), fa uso dei dettagli scoperti dalla visione sottocutanea del dipinto I Tre Filosofi (il volto nero o scuro del personaggio centrale, il copricapo di forma fantasiosa del personaggio di destra) per argomentare a favore di una lettura che vede nelle tre figure una velata rappresentazione dei Magi evangelici.







*1. Jheronymus Bosch, Cristo deriso. Olio su tavola, 73.8 x 59 cm
Londra, National Gallery

*2. Giovanni Bellini, Cristo morto sorretto da due angeli, ca. 1465-70? Olio su tavola 96,4 x 71.8 cm, insieme e dettaglio di riflettogramma al’infrarosso
Londra, National Gallery


*3. Tiziano, Noli Me Tangere, 1510-15 ca. Olio su tela, 108,6 x 90,8 cm, insieme e riflettogramma all’infrarosso
Londra, National Gallery

*4. Jacopo Carucci, detto il Pontormo, Giuseppe e Giacobbe in Egitto, 1518, Olio s tavola, 96,5 x 109,5
Londra, National Gallery


5. Riflettogramma all’infrarosso dello stesso dipinto, insieme e dettagli

6. Pontormo, Studio per gli Israeliti che bevono l’acqua nel deserto, 1522-25 disegno a carboncino e biacca
Firenze, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe, inv.6675F




Bibliografia

D.BOMFORD (a cura di), Art in the Making/Underdrawing in Renaissance Paintings, Londra, Edizioni della National Gallery, 2002
http://www.nga.gov/exhibitions/2006/venice/technical/index.shtm
D.A. BROWN ed altri, Bellini, Giorgione, Titian, and the Renaissance of Venetian Painting (cat.della mostra a Washington, National Gallery,
giugno–settembre 2006), Washington, Vienna, Londra e New Haven, 2006

http://arte.ino.it/riflettografia/indiceRiflettografie.php





b) Editoria e società a Venezia nel Settecento: nuove iconografie e ruolo dell’illustrazione a stampa.


Giambattista Tiepolo e Pietro Longhi rappresentano due opzioni di gusto molto diverse nell’ambito della Venezia del Settecento: Tiepolo realizza i suoi sontuosi cicli di affreschi per una clientela decisamente aristocratica, mentre Longhi realizza i suoi piccoli oli con acuti appunti sulla vita sociale contemporanea a Venezia, facendosi interprete di un gusto borghese molto attento e aggiornato agli sviluppi europei.
Gli editori che operano sulla scena veneziana sembrano rispecchiare questa dicotomia: le splendide opere dell’editore Albrizzi, illustrate da Gianbattista Piazzetta maestro dell’Accademia, riflettono nello stile e nella sontuosità il rutilante mondo al tramonto del Rococò veneziano e austriaco; mentre le sobrie e divertenti illustrazioni dell’editore Pasquali sembrano riflettere, con intento più cronistico, la vita contemporanea. Pasquali e il suo illustratore preferito, Pietro Antonio Novelli, si lasciano guidare dal Goldoni, questo maestro del realismo contemporaneo, a comporre uno spaccato della realtà in città e nella campagna veneta nelle illustrazioni che accompagnano la prima edizione completa delle opere del commediografo, apparsa in 17 volumi presso Pasquali nel 1764.
Un altro grande dell’editoria veneziana del Settecento, Zatta, aggiunge a questa volontà di fare il ritratto della Venezia contemporanea il fascino dell’opera tascabile, minuscola, non pretenziosa, maneggevole: la sua edizione in quarantaquattro volumi dell’opera completa del Goldoni, esportata ovunque in Europa, è corredata di stampe in un sobrio e lineare stile, interamente depurato dalle curve del barocco, che già anticipa il gusto dell’Ottocento.
Il vedutista Canaletto ha due linee di produzione: una sono le vedute d’apparato, molte volte replicate, e destinate alla clientela straniera che desiderava riportare in patria un’immagine di Venezia; l’altra comprende scorci dimessi di una Venezia feriale, antimonumentale, nella quale scorre una vita quotidiana che Canaletto registra inserendo nel dipinto piccoli personaggi (le “macchiette”, come si chiamano le figure dei dipinti di veduta), intenti alle loro attività abituali.


7. Pietro Longhi, L’allegra coppia, olio su tela cm 61 x 50
Venezia, Ca’ Rezzonico

*8. La polenta, olio su tela cm 61 x 50
Venezia, Ca’ Rezzonico

*9. La visita alla dama, olio su tela cm 60,9 x 49,5.
New York, Metropolitan Museum

*10. Il rinoceronte, olio su tela cm 62 x 50
Venezia, Ca’ Rezzonico

*11. Il farmacista, olio su tela cm 60 x 48
Venezia, Gallerie dell’Accademia

* 12. Gli alchimisti, olio su tela cm 61 x 50
Venezia, Ca’ Rezzonico


*13. Giovanni Antonio Canal detto Canaletto, La chiesa e la Scuola della Carità viste dal laboratorio dei marmi di San Vidal, 1724-26 , olio su tela, 124 x 163
Londra, National Gallery

14. Giovanni Antonio Canal detto Canaletto, I palazzi Sagredo e Foscari a Santa Sofia, penna e inchiostro nero, mm 258 x 174
Trieste, Collezione Nazionale d’Arte Antica

15. Giambattista Piazzetta, Ritratti dell’artista e dell’editore Albrizzi. Tavola finale delle illustrazioni della Gerusalemme Liberata, 1745.


16. Pietro Antonio Novelli, Goldoni supera gli esami di latino a scuola, Frontespizio alle opere di Goldoni, pubblicato da Pasquali nel 1761

17. Incisioni a illustrazione dell’edizione Zatta delle commedie del Goldoni:
http://www.sapere.it/sapere/mediagallery/teatro-goldoni.html?playlistEntryIndex=4
http://www.ibs.it/code/9788831758468/goldoni-carlo/teatro-illustrato-nelle.html



Bibliografia


F.HASKELL, Mecenati e pittori/Studio sui rapporti tra arte e società italiana nell’età barocca (1963), trad.it. Firenze, Sansoni, cap. 13, Editori e connoisseurs

G.BERTO, L. PUPPI, L’opera completa del Canaletto, “I classici dell’arte”, Milano, Rizzoli, 1968
T.PIGNATTI, L’opera completa di Pietro Longhi , “I classici dell’arte”, Milano, Rizzoli, 1974
A. BETTAGNO (a cura di ), Canaletto/Disegni-Dipinti-Incisioni (cat della mostra a Venezia, Fondazione Giorgio Cini), Vicenza, Neri Pozza, 1982

sabato 22 maggio 2010

TRIENNIO 11. Dia Center/Ernesto Neto

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Triennio
Docente: Gloria Vallese



a) Il Dia Center di New York

http://www.artdreamguide.com/usa/new-york/f_dia/home.htm

è un’istituzione privata per la promozione dell’arte contemporanea in tutte le sue manifestazioni. Di particolare interesse la sua attività a favore di opere di Land Art e concettuali particolarmente difficili da preservare (vedere sezione Sites):

http://www.artdreamguide.com/usa/new-york/f_dia/home.htm

http://www.diacenter.org/sites/site_in_nyc




b) Ernesto Neto



Ernesto Neto è considerato uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea in Brasile. La sua ispirazione deriva in parte dal neo-concretismo, movimento sviluppatosi in Brasile alla fine degli anni ’50, per opporsi alla rigidezza e all’astrazione geometrica del razionalismo in nome di un nuovo senso dell’organicità e di un diverso coinvolgimento dell’utente nell’architettura.
Le opere di Neto sono installazioni astratte, che spesso invadono l’intero spazio espositivo, realizzate con materiali e forme che evocano il mondo organico.
Molto importante il suo passaggio alla 49.a Biennale di venezia nel 2001, con opere sia al Padiglione Nazionale del Brasile che alla mostra internazionale alle Corderie. Qui Neto ha rivelato al pubblico internazionale l’originalità del suo lavoro di scultore: un foresta di grandi “mammelle” in lycra, soffici, semitrasparenti e pendenti dal soffitto, stirate verso il basso da polveri di spezie il cui profumo sensuale si diffondeva nello spazio espositivo, avvertibile già in distanza, e che si accumulavano pian piano sul pavimento, cambiando ogni giorno l’aspetto dell’opera.



*1. Ernest Neto, O Bicho!, 2001.
Tessuto e spezie. Installazione presso le Corderie dell’Arsenale, nell’ambito della 49.a Biennale di Venezia.



Una delle due installazioni al padiglione nazionale del Brasile era praticabile, suggerendo allo spettatore qualcosa come l’interno di un ventre, un ambiente soffice e accogliente:


http://www.universes-in-universe.de/car/venezia/bien49/bra/e-neto.htm

http://www.abc.net.au/arts/visual/stories/s424390.htm


Nel lavoro degli anni successivi, Neto ha spinto ancora oltre la sua ricerca in direzione di una scultura organica e sensuale: con Humanoids, ha realizzato sculture soffici che il visitatore può non solo toccare, ma anche abbracciare, e penetrare col proprio corpo:

http://www.we-make-money-not-art.com/archives/2006/02/-big-thanks-to.php


Queste opere erano al centro della mostra presentata a Malmö in Svezia, interamente imperniata sull’idea di una scultura “femminile” organica ed amichevole:

*2. Ernesto Neto, Humanoids, 2006.
Malmö, Konsthall

Sulla mostra: The Malmö Experience
18.02.2006 – 01.05.2006, Malmö Konsthall, Svezia
vedere:

http://www.konsthall.malmo.se/o.o.i.s/2741


L’installazione recentemente realizzata da Neto per il MACRO di Roma è una sorta di architettura fluttuante, dalle forme organiche e floreali, che invita il pubblico ad attraversarla. La scultura in lycra, agganciata alle capriate in ferro della copertura in vetro della galleria, arrivava sospesa fino a circa un metro da terra e conteneva le polveri finemente macinate di 5 spezie: pepe, cumino, chiodi di garofano, zenzero, curcuma.

3. Ernesto Neto - Mentre niente accade / While nothing happens
Roma, 29 Maggio 2008 - 28 Febbraio 2009
MACRO Hall, MACRO (Sede principale)

http://www.macro.roma.museum/mostre_ed_eventi/mostre/ernesto_neto_mentre_niente_accade_while_nothing_happens

*4. Ernesto Neto, Anthropodino, 2009
Commissionato dal Park Avenue Armory per la Wade Thompson Drill Hall, New York

http://www.youtube.com/watch?v=K5ANu8hxw5Y
http://www.youtube.com/watch?v=UX5lA8MJqXI&NR=1



Bibliografia
Vedere i link indicati nel testo

ELEMENTI DI ICONOGRAFIA ED ICONOLOGIA 10. Immagini riservate nel Rinascimento: allegorie, emblemi, imprese / Carpaccio, Giorgione, Tiziano

Accademia di Belle Arti in Venezia
CORSO DI DIPLOMA DI 2° LIVELLO IN : GRAFICA
Docente: Gloria Vallese









a) Imprese ed emblemi




L'impresa ha radici nel mondo cavalleresco medievale: è un motto, o breve proponimento che si unisce a un'insegna araldica (lo "stemma" del cavaliere), scritto su un filatterio annodato alla sommità.

Gli emblemi, di carattere affine, composti cioè di un'immagine congiunta a un motto che ne precisa il significato, nascono e si diffondono In Italia a partire dal Quattrocento. A Venezia, dove la loro moda conosce la maggiore diffusione, essi vengono anche ricamati sugli abiti e sulle calze a contraddistinguere i membri di compagnie e confraternite di giovani eleganti e letterati.

*1. Vittore Carpaccio, Incontro e partenza dei fidanzati, firm. e dat 1495, dal Ciclo di Sant'Orsola (complesso di otto teleri e una pala prov. della Scuola di Sant'Orsola, oggi canonica del Convento di San Giovanni e Paolo).
Venezia, Gallerie dell'Accademia

Il giovane con cartiglio in mano viene identificato con Antonio Loredan, figlio di Nicolò, l'anziano patrizio principale finanziatore del ciclo di Sant'Orsola. Sul cartiglio che egli regge nella destra, serie di iniziali interpretate come: Nicolaus Lauretanus donum dedit vivens gloriosae virgini inclytae. Sulla manica sinistra, l'emblema della Compagnia dei “Fratelli Zardinieri”, formata dalle lettere F e Z sopra la rappresentazione di un giardino e da nubi con folgore (per un'esegesi della complessa immagine, cfr. lo studio di L. Zorzi indicato in bibliografia).

Emblema ricamato sul mantello di un Compagno di Calza:

*2. Vittore Carpaccio, Miracolo della Reliquia della Santa Croce a Rialto,1494 ca. dal ciclo dei Miracoli della Croce già nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista.
Venezia, Gallerie dell'Accademia

La moda degli emblemi è quanto mai rappresentativa del carattere riservato e iniziatico del sapere umanistico italiano, in particolare di quello d'ispirazione neoplatonica; influenza profondamente anche la pittura.
Per comprendere la moda degli emblemi e delle allegorie, occorre ricordare che, proprio col momento umanistico e rinascimentale, la cultura sta passando di mano: sottraendosi al controllo ecclesiastico, accentuando il recupero della tradizione classica soprattutto, ma anche araba ed ebraica, si inoltra spesso in domini rischiosi, se non proibiti. E’ quasi naturale che i pensatori piu’ arditi cerchino forme di comunicazione riservata, nella quale il pieno senso di alcuni messaggi messaggi è accessibile solo agli iniziati.
Gli editori di libri, che sono tra i protagonisti di questa rivoluzione, si dotano spesso di emblemi:

3. Marchi di stampatori: Johannes Fust e Peter Schöffer, Johannes Froben, Geoffroy Tory, Aldo Manuzio, Robert Granjon, William Caxton, Robert Estienne il Giovane, Gli Elzevir, Christophe Plantin (da: Steinberg, Cinque secoli di stampa, tav.1)



*4. Alberti, Autoritratto
Parigi, Bibl.Nat., inv 2508

5. Alberti, Occhio alato
Firenze, Bibl. Nat., cod II.IV.38, già Magl. XXI119), fl.92 r
Inchiostro e penna, 29,6 x 22 cm
Raccolta di opere in volgare dell’Alberti, al termine del De Familia, scritto nel 1437-38

6. Matteo De’ Pasti,
Medaglia
Washington, Nat Gall.


7. “ Cominus et Eminus” : emblema di Luigi XII re di Francia


8. Illustrazione da : Scipione Bargagli, La prima parte dell’imprese, Siena 1578

9. “Per te surgo”: da Camillo Camilli, impresa della famiglia Crotta

10. “ Ut quiescat”: da Cousin, Liber Fortunae, 1568

11. “Livor ut ignis alta petit”: da Girolamo Ruscelli, Imprese illustri, Venezia 1566

12 . “Hinc Clarior” : impresa di Pampilio Collalto

Illustrazioni da: E.H. Gombrich, Icones symbolicae (vedere titolo completo in bibliografia).





b) Giorgione


*13. Giorgione, La Tempesta.
Venezia, Gallerie dell'Acccademia


*14. Giorgione, I tre filosofi
Vienna, Kunsthistorisches Museum


Secondo due proposte interpretative argomentate e sostenute dall’iconologo Salvatore Settis nel suo La tempesta interpretata (vedi bibliografia), le due celebri immagini rappresenterebbero rispettivamente Adamo ed Eva dopo la caduta, e i tre Re Magi in veste di sapienti orientali in atto di compiere i loro studi astronomici per determinare la data e il luogo della nascita del Messia.
Queste letture sono messe in discussione nelle schede e nei saggi critici inclusi nel catalogo della mostra Giorgione/Le maraviglie dell’arte, tenutasi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Secondo Augusto Gentili, i tre personaggi nel dipinto di Vienna rappresenterebbero invece Mose’, Maometto e l’Anticristo, con riferimento alle indicazioni astronomiche sfavorevoli riferibili all’anno 1504 e contenute nella tabella che il piu’ anziano sapiente, Mose’ appunto secondo questa interpretazione, regge in mano.
Ulteriori riletture iconografiche dell’opera giorgionesca, che provano in sostanza quanto ancora aperta e problematica sia l’interpretazione del lavoro dell’artista, nel catalogo della mostra in corso a Castelfranco (vedere Bibliografia), sulla quale sarà necessario ritornare.

*15. Giorgione o Tiziano, Il concerto campestre
Parigi, Louvre

Questa e altre celebri composizioni veneziane del Rinascimento, dalla Laura dello stesso Giorgione alla composizione detta Amor Sacro e Amor profano, suggeriscono per la singolarita’ dei dettagli la presenza di un possibile significato allegorico, la cui determinazione permane tuttavia incerta. Fra le letture piu’ convincenti, in rapporto alla diffusione dell’ermetismo platonico negli ambienti umanistici veneziani per opera di umanisti quali Pietro Bembo e Leone Ebreo, da segnalare quelle a suo tempo proposte da Augusto Gentili (Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1996).



Bibliografia:


Allegorie, emblemi, imprese:

http://it.wikipedia.org/wiki/Motto

E.H. GOMBRICH, Icones Symbolicae: Filosofie del simbolismo e loro portata per l’arte, in Immagini simboliche, studi sull’arte del Rinascimento, trad.it Torino, Einaudi 1978

AA.VV. , Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo (Cat. della mostra a Palazzo Grassi, 1994) Bompiani, 1994


Sugli emblemi in Carpaccio:

L.ZORZI, Carpaccio e la rappresentazione di sant’Orsola, Torino, Einaudi, 1988, in part. pagg-76-80.


Iconografie di Giorgione:

S.SETTIS, La “Tempesta” interpretata/Giorgione, i committanti, il soggetto, Torino, Einaudi, 1978

G. NEPI SCIRE’, S.ROSSI, Giorgione/“Le maraviglie dell’arte” (cat della mostra a Venezia, Gallerie dell’Accademia, 2003-2004), Venezia, Marsilio, 2003

E.M. DAL POZZOLO, L.PUPPI, Giorgione (cat della Mostra a Castelfranco, 2009-10), Milano, Skira, 2010

Biennio 10. Tempi brevi: trailer, teaser, clip musicali. I finti trailer di Francesco Vezzoli.

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese









a) Il trailer come genere


Anche per effetto dell'accresciuta capacità degli utenti di capire i messaggi audiovisuali, i tempi si stanno contraendo: gli spot pubblicitari, i video musicali, i trailer sono "generi" brevi, che hanno abituato il pubblico a trovare convogliati in pochi secondi contenuti che nel passato venivano comunicati attraverso messaggi più lunghi.


*1. The ChubbChubbs! I(2002)
http://www.youtube.com/watch?v=AAm6im8bZgo

http://en.wikipedia.org/wiki/The_ChubbChubbs!
http://www.imdb.com/title/tt0331218/plotsummary

The Scrat in Gone Nutty e nei trailer dei film Ice Age :

http://en.wikipedia.org/wiki/Scrat

2. http://www.youtube.com/watch?v=uGLh8uktrmA&NR=1


3. http://www.youtube.com/watch?v=W4gvxUlGNAs


Storia del genere trailer:

http://en.wikipedia.org/wiki/Trailer_(film)



Osservazioni di Bill Viola sui tempi filmici.


a) Finti trailer dell’artista Francesco Vezzoli (Brescia 1971):


Vezzoli studia a Londra presso il Central St. Martin's School of Art dal 1992 al 1995, anno in cui rientra in Italia e sviluppa i primi video come An Embroidered Trilogy (1997, 1998, 1999) presentata presso gallerie e musei italiani ed europei.
Personali: nel 2000 alla Galleria Comunale d'Arte Moderna (Bologna) e nel 2002 al Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea (Torino) e al New Museum of Contemporary Art (New York
Partecipa alla 49° Biennale di Arti Visive di Venezia nel 2001, con la performance:

*4. Embroidery of a Book: Young at any age, stampe laser su tela con ricami in filo metallico (2000),
che riproducono dive celebri di un tempo,

e performance dell’ex modella degli anni ’60 Veruschka:

*5. Veruschka era qui, 2001

che siede in primo piano di fronte all’opera precedente ricamando al telaio il suo stesso volto come appariva su una copertina di Stern del 1969, quando era all’apice del successo.

Alla Biennale del 2005 presenta:


*6. Trailer for the Remake of Gore Vidal’s Caligula, 2005. Film a 35 mm trasferito su DVD, 5 min.

Ambientato in una villa “hollywoodiana” di Beverly Hills, il falso trailer comincia con Gore Vidal (nella parte di se stesso), che parla del progetto. Seguono scene del presunto film, con noti divi e dive, alcuni dei quali apparivano nel film originale: Helen Mirren nella parte di Tiberia, madre di caligola; Adriana Asti come Ennia, ruolo che recitava nel film originale, e che anche qui fa uso di una speciale e trasgressiva crema per il viso; Milla Jovovic come l’amata sorella di Caligola, Druscilla; Karen Black nei panni di un’altra sorella di Caligola, Agrippina, la futura madre di Nerone e moglie dell’imperatore Claudio, Michelle Phillips (del gruppo “The Mamas and Papas”) come Messalina, la prima moglie di Claudio e considerata la donna più dissoluta della storia; Courtney Love nella parte dell’imperatore Caligola.


7. Marlene Redux: A True Hollywood Story!, 2006.

http://www.youtube.com/watch?v=pCr0RSmLxM4&feature=PlayList&p=4C1C54A1634D483C&index=13&playnext=2&playnext_from=PL


Il finto documentario ripercorre la vita e la carriera di Vezzoli mettendo a fuoco un progetto immaginario, il remake di un documentario di Maximilian Schell su Marlene Dietrich (1984).
Nel 2007, Vezzoli inaugura insieme a Giuseppe Penone il rinato Padiglione Italiano (all’Arsenale ) con

*8. Democrazy, 2007
http://www.youtube.com/watch?v=ajSS-1zTgG4&feature=PlayList&p=4C1C54A1634D483C&playnext=1&playnext_from=PL&index=12


prendendo spunto dalle imminenti elezioni presidenziali americane, finto spot con Sharon Stone nella parte della futura possibile first lady e il filosofo francesce Bernard-Henri Lévy come ipotetico presidente.


b) Rappresentare eventi d’arte: il lavoro degli uffici stampa


Problemi nel rappresentare un evento d’arte: la Biennale di Venezia e i suoi cataloghi.

Esempi di agenzie stampa specializzate in eventi d’arte:

e-flux; studio esseci.



Bibliografia

Oltre alle opere segnalate nei link già ricordati, vedere:

I. GIANELLI (a cura di) , Francesco Vezzoli/Democrazy, Milano, Electa, 2007
(Catalogo edito in occasione della mostra al Padiglione Italiano per la 52.Essizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia).

venerdì 21 maggio 2010

Triennio 10. Ron Mueck, Tony Oursler, AES + F



Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese







a) Ron Mueck




http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/gallery/2005/12/29/GA2005122900888_index_frames.htm?startat=1



Lo scultore australiano Ron Mueck è noto per le sue inquietanti figure umane iperrealistiche maggiori o minori del naturale, ma per il resto complete fino ai peli e ai capelli. Mueck, abituato a lavorare da fotografie, racconta in una celebre intervista del 2003 a Sarah Tanguy di Sculpture Magazine del suo primo traumatico incontro con un modello vivente:

http://www.sculpture.org/documents/scmag03/jul_aug03/mueck/mueck.shtml

“Avevo abbozzato in creta la figura di un uomo rannicchiato sotto le coperte”, racconta Mueck. “Poi ho cercato un modello che gli rassomigliasse abbastanza, ne ho trovato uno, e l’ho convocato in studio per una sessione di tre ore. Ma è risultato che non riusciva a prendere la stessa posa della mia figuretta sotto le coperte: non riusciva a flettere gli arti fino a quel punto, e la pancia gli era d’impaccio. Io da parte mia non ero abituato ad avere nello studio un’altra persona con cui dovermi relazionare mentre lavoravo, in più lui era nudo e completamente rasato, dettaglio che trovavo estremamente disturbante. Pensavo: ‘Cosa me ne faccio di questo tizio nudo?’ Gli ho chiesto di sedere in un angolo mentre riflettevo. Lui ha provato a suggerire alcune pose che poteva fare per me, e mi ha mostrato tutte quelle ridicole pose classiche che piacciono ai modelli viventi, erano così fasulle e innaturali che ho pensato che non c’era assolutamente modo per me di lavorare con lui. Stavo raccogliendo il coraggio per dirgli di andarsene prima della fine delle tre ore, e gli ho gettato uno sguardo mentre sedeva nel suo angolo aspettando che mi decidessi. Non era così scostante come appare nella scultura finita, ma la posa era quella. ‘Mi piace’, ho pensato”.



*3. Ron Mueck, Untitled (Big Man), 2000, , cm 205.7 x 117.4 x 208.8
Resina acrilica colorata su fibra di vetro.
Londra, Galleria Anthony d’Offay


http://www.jamescohan.com/
http://video.google.it/videosearch?q=ron+mueck+video&hl=it&emb=0&aq=-1&oq=#
http://video.google.it/videosearch?q=ron+mueck+video&hl=it&emb=0&aq=-1&oq=#



*4. Mask II, 2000.
Resina acrilica colorata, fibra di vetro.
New York, James Cohan Gallery



5. Untitled (Seated woman), 1999.
Resina acrilica colorata, fibra di vetro, silicone, poliuretano, stoffa.
New York, James Cohan Gallery



*6. Mother and Child, 2001.
New York, James Cohan Gallery



Mueck è nato nel 1958 a Melbourne, Australia. I suoi genitori fabbricavano giocattoli. Ha lavorato per quindici anni per show di pupazzi alla televisione, passando quindi agli effetti speciali cinematografici. Il suo lavoro nel cimena include Labyrinth, un film epico-fantastico del 1986 con David Bowie.
Muek si è quindi stabilito a Londra aprendovi un proprio studio di fotografia pubblicitaria. Possiede tuttora numerose figure realizzate per quell’attività, che tuttavia hanno la caratteristica di essere complete solo dal lato dal quale devono essere fotografate. Pur ammettendo che alcune possiedono “una loro presenza”, Mueck ne conclude che la fotografia distrugge l’impatto fisico dell’oggetto originale, e decide di darsi alla scultura.
Nel 1996, in collaborazione con la suocera, l’artista Paula Rego, produce piccole figure come parte di un tableau in mostra presso la Hayward Gallery. Quando la Rego vede l'opera intitolata Pinocchio rimane colpita e lo presenta al collezionista Charles Saatchi, che, impressionato da subito, inizia a raccogliere e commissionare suoi lavori. Nel 1997 Mueck partecipa a Sensation , la mostra che ha portato alla ribalta la più recente generazione di artisti britannici, con l'opera Dead Dad. Nei tre anni successiva alla sua partecipazione a Sensation:

http://en.wikipedia.org/wiki/Sensation_exhibition

Mueck ha preso parte a mostre nelle maggiori gallerie di New York e in Germania, è stato selezionato per il London Millennium Dome e ha tenuto una personale alla Anthony D’Offay Gallery.

Fin dai primi anni ’90, ancora nei giorni della sua attività di pubblicitario, Mueck inizia a chiedersi quali materiali possano avere un vero effetto realistico. Si usava il lattice fino a quel momento, ma Mueck desiderava qualcosa di più inalterabile, più preciso. La risposta è stata la vetroresina, che vide per caso impiegata nella decorazione sul muro di una boutique, e che da allora è diventato il suo materiale di elezione.
Le sue opere partono generalmente da modelli in creta e poi colati in vetroresina o silicone, con dettagli come unghie capeli e peli applicati in seguito.

.


Una caratteristica delle opere di Mueck è che

riproducono fedelmente ogni reale e minuto dettaglio del corpo umano, ma, al tempo stesso,
giocano con la riproduzione in scala, creando effetti insoliti e stranianti.



L’artista crea dapprima modellini in creta per decidere la posa della figura, poi la realizza in varie dimensioni per decidere la scala. Il passo successivo è eseguire il modello in creta, da cui poi si ricava lo stampo per gettare la figura in vetroresina o silicone. Infine si dipingono i dettagli.
Attualmente Mueck crea le sue figure in silicone, ma, dal momento che questo materiale attira la polvere e lo sporco, spolvera lui stesso le sue figure con borotalco (“polvere amica”, come lui la definisce), il che lascia meno spazio alla “polvere ostile”.

( Da: http://www.artmolds.com/ali/halloffame/ron_muek.htm , con bibl.)


Sulla scala nelle figure di Mueck:
http://www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-museum-ron-mueck

Sulla tecnica:

http://www.nationalgallery.org.uk/exhibitions/past/mueck.htm
http://www.mentalfloss.com/blogs/archives/24338



*7. Untitled (Boy), 1999, silicone, poliuretano, fibra acrilica

Questa scultura, alta cinque metri, è stata al centro di un importante passaggio dell’artista alla Biennale di Venezia nel 2001.


http://www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-museum-ron-mueck http: //www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-mus

L’artista è stato recentemente stato incliso nella mostra Statuephilia: Contemporary sculptors at the British Museum (Opere di Damien Hirst, Antony Gormley, Ron Mueck, Marc Quinn e Noble and Webster), 4 Ott. 2008 – 25 gen 2009 (vedere link in bibliografia).



b) Tony Oursler


L'artista americano Tony Oursler è nato nel 1957 a New York.

Il lavoro di Tony Oursler separa la proiezione dallo schermo, supporto tradizionale. Proiettati su oggetti, strutture o forme ovoidali, i video di Tony Oursler prendono un carattere ibrido, divertente e inquietante al tempo stesso.

Tony Oursler ha studiato presso il California Institute of the Arts 1976-1979. I suoi professori sono Michael Asher, John Baldessari e Kaare Rafoss.

Oursler, che proviene da un famiglia letteraria, manifesta un precoce interesse per le arti visive, la letteratura e la musica. È al California Institute of Arts che crea il suo primo video e fa la conoscenza di Mike Kelley, con il quale ha creato nel 1977 il gruppo The Poetics, gruppo punk-rock sperimentale sciolto nel 1983.

A partire dall'anno 1977, integra le sue installazioni in video figurativo e narrativo. E’ 'particolarmente noto per le sue installazioni che pongono lo spettatore di fronte a strani personaggi dal volto proiettato a mezzo video . Intrappolato in posizioni particolari, sotto un divano, sotto una sedia o sotto un materasso, il personaggio chiede aiuto o guardano lo spettatore.

http://en.wikipedia.org/wiki/Tony_Oursler



*8.Tony Oursler, MMPI (Self Portrait in Yellow), 1996, installazione audio-video. con videoproiettore, VCR, videotape, pupazzo in stoffa, sedia pieghevole in metallo
Milwaukee Art Museum

http://collection.mam.org/details.php?id=7903
http://www.youtube.com/watch?v=zzsg3mySJ5s&feature=related

La meditazione di Oursler prende avvio dal disagio psichico dell’adolescente, così come è espresso in The Loner, 1980, che rappresenta lo stile degli esordi dell’artista.

Frammento di The Loner:

*9. http://www.youtube.com/watch?v=MzrU1CqBob0

Intervista a Tony Oursler (2002):
http://www.youtube.com/watch?v=p-s4xzB5D2Q


Bibliografia

Vedere nel sito dell’artista schede dei musei e gallerie che hanno Oursler nelle loro collezioni (in fondo alla home page)


http://www.tonyoursler.com/individual_work_slideshow.php?navItem=work&workId=8&startDateStr=Feb.%206,%202010&subSection=Installations&allTextFlg=false&title=Number%207,%20Plus%20or%20Minus%202



c) AES +F




Fondato nel 1987, il gruppo AES (dalle iniziali dei tre artisti di Mosca Tatiana Arzamasova, Lev Evzovich, Evgeny Svyatsky ) raggiunge un primo stadio di celebrità internazionale con

The Islamic project (1996-2003): una serie sardonica di fotomontaggi che mostrava le grandi capitali trasformate da un ipotetico dominio mussulmano del mondo (la Statua della libertà col volto coperto dal velo, l’interno della cattedrale di Colonia denudato e islamizzato, il Museo Gehry di Bilbao arricchito di cupole e minareti; vedere la serie completa nel sito http://www.aes-group.org/).
Quest’opera e l’installazione connessa (una finta agenzia di viaggi, con poster, dépliants e gadget creati dal gruppo, che offriva ai visitatori di trasportarli in questi rinnovati luoghi del mondo), proietta decisamente AES oltre i confini nazionali: in vari paesi europei, negli USA, in Corea del Sud, e viene largamente ripresa dai media, anche non specializzati.


Lo stile di AES si trasforma considerevolmente con l’ingresso nel gruppo del fotografo di moda Vladimir Fridkes, nel 1995. L’ironia visuale si fa allora più insinuante, più complessa, e fanno la loro comparsa i giovanissimi, inquietanti fotomodelli che ad oggi caratterizzano gran parte dell’opera di quello che è nel frattempo divenuto AES+F .
Lavorando in collaborazione, i quattro creano un progetto, lo articolano, decidono con quali mezzi metterlo in atto: fotografia, video, installazione, o una combinazione di tutti questi media.
Ne Le roi des Aulnes (“Il re della foresta”), primo capitolo di un progetto video e fotografico in quattro parti, la storia base è un racconto dell’antico folklore europeo, in cui un misterioso tiranno rapisce i bambini più belli e dotati per tenerli rinchiusi nel suo castello. Il “re” di oggi, nella metaforica interpretazione del gruppo, è il mondo delle comunicazoni di massa, che punta su esseri umani sempre più giovani e belli e li fagocita sottraendoli a una vita normale. Per Le roi des Aulnes (il titolo in francese è in omaggio a un romanzo di Michael Tournier che elabora lo stesso mito) , il set è stato posto nel palazzo di Caterina II a Tsarkoye Selo (San Pietroburgo). In questo salone ornato di specchi e stucchi che la Rivoluzione russa considerava emblema di lusso e depravazione, sono ripresi e fotografati più di un centinaio di bambini, allievi di scuole di balletto e di atletica, oppure inviati da agenzie di modelli, tutti di età compresa fra i 3,5 e gli 11 anni. Un’atmosfera di erotismo morboso emana da questa raccolta di giovani corpi, che possono ricordare gli scatti classici di Vanessa Beecroft tranne che per un dettaglio: a questi ragazzini non è stato chiesto di posare in nessun modo particolare, posti davanti all’obiettivo, assicurano gli AES+F, si sono comportati spontaneamente come esperte star dei media.

Action Half Life (2003-2005) tocca un altro dei temi favoriti dal gruppo, la guerra: la guerra come spettacolo, proposta incessantemente dai media sia come cronaca che come fiction, nonché soggetto dell’immenso, accattivante, sempre più coinvolgente mondo dei videogiochi per bambini e adulti.

Il titolo stesso, Action Half Life, è il nome di un vero videogioco da computer. I bambini fotomodelli posano in inquietanti immagini, che evocano iconograficamente grandi poster di pubblicità di abbigliamento alla Benetton o Calvin Klein; brandiscono avveniristiche armi immaginarie (anch’esse copiate dai videogiochi) fra le sabbie del deserto del Sinai, sfondo di una guerra molto reale e apparentemente senza fine. L’ombra di tragedie vere, come quelle dei bambini soldato, si carica di ulteriore malessere in questa riedizione da poster di moda, impersonata da ragazzini levigati, pettinati e ben nutriti, che performano gli atti atroci dell’aggressione e dell’attacco mortale con volti inespressivi e indifferenti, oppure raggelati in esagerate espressioni di rabbia e angoscia come nella pittura classica.

Last Riot, presentato nel 2007 alla Biennale, ha contribuito al definitivo balzo del gruppo russo verso la celebrità mondiale. E' un video proiettato a loop su tre schermi giganti posti a semicerchio, un ideale trittico che ha come potente sottofondo sonoro La Walkiria di Wagner, forse la musica più intrisa di epica e mito che mai sia stata scritta. In primo piano il tema della guerra, raccontato da un’animazione in 3D che preleva, decontestualizzadoli e riassemblandoli in un surreale insieme astratto, paesaggi e figure dei videogiochi e di altri materiali visivi più inconsueti, per esempio quegli affascinanti filmati semiastratti, vagamente trionfalistici ma dal significato in definitiva oscuro, da cui le grandi case cinematografiche americane fanno precedere il loro film: pensate alle sigle della Columbia o della Metro Goldwin Meyer, per esempio. Montagne inaccessibili, voli di aquile, ma anche lanci di razzi, aerei in volo, lucertole preistoriche, un treno che lentamente si disarticola cadendo da un viadotto, nei vividi colori e nell’incerta spazialità dell’animazione 3D, danno vita a una guerra/sequenza di catastrofi ricca di eventi anche se volutamente priva di trama, ridotta a visualità pura. Le sequenze animate sono interrotte da inserti filmici (lunghi per la verità, e forse a tratti un po’ ripetitivi) in cui i giovani fotomodelli di Friedkes, questa volta tutti adolescenti e più Narcisi che mai, recitano le loro scene di guerra, morbose e sensuali nella descrizione ravvicinata di lame lungamente fatte scivolare vicino a gole palpitanti, in uno snervante rallentatore. Forse in questo film le due anime di AES+F, il terzetto di ideologi artisti e l’esasperato fotografo Friedkes, si mostrano meno fuse insieme del solito, almeno formalmente. Ma questo nulla toglie al profondo fascino inquietante di questo mondo audio-visuale, che conquista per la sua originalità e fa pensare.


AES+F al Macro Future/Padiglione di Roma
Dal 15 febbraio al 17 aprile 2008
Dopo il notevole successo ottenuto nel 2007 alla 52.a Biennale di Venezia con la presentazione di The Last Riot al padiglione russo, è questa la prima personale del gruppo in un museo italiano. Attraverso video, fotografie e sculture, la mostra ripercorre l’attività di AES+F nell’ultimo decennio (1997-2007), con particolare riferimento alla riflessione sui bambini e il loro rapporto col mondo mass media nella vita contemporanea. E’ firmata da una curatrice d’eccezione, la poliedrica Olga Sviblova, fondatrice nel 1996 di quello che è divenuto oggi il principale festival russo di fotografia e del connesso museo (la Moscow House of Photography), e direttrice del Multimedia Art Center (MAC) di Mosca.




*10. AES +F, The Islamic Project, 1996-2003

http://www.aes-group.org/ip3.asp


*11. AES +F , Last Riot, 2005-2007
http://www.aes-group.org/last_riot.asp

http://www.youtube.com/watch?v=g7TbvFyabrg



*12. AES +F, The Feast of Trimalchio, 2009
http://www.aes-group.org/tfot.asp
Screening of the video "The Feast of Trimalchio" by AES+F during the opening of 53rd Venice Biennale (10 min)
http://www.youtube.com/watch?v=8rDt3LKObuA&feature=related



Bibliografia


Vedere le opere ei link citati nel testo

domenica 2 maggio 2010

ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 9. Dürer, Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo/ Bosch, il ‘Giardino delle Delizie’

Accademia di Belle Arti in Venezia
CORSO DI DIPLOMA DI 2° LIVELLO IN : GRAFICA
Docente: Gloria Vallese









a) Il Cavaliere di Dürer


*1. Albrecht Dürer, Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo, incisione a bulino, 1513.


In quest’opera, che fa parte, insieme alla Melencolia I e al San Girolamo nello studio, della triade delle grandi incisioni mature, Dürer nutre di spunti visuali di Rinascimento italiano un tema caro agli umanisti nordici del suo periodo: quello del combattente per la fede, del cristiano che si arma per la verità e persegue il difficile cammino della virtù.
L’immagine può essere messa in rapporto con l’Enchiridion Militis Christiani (“Istruzione del milite cristiano”), pubblicato da Erasmo da Rotterdam nel 1504. Il cristiano militante descritto da Erasmo (sulla base delle lettere di San Paolo, 2 Cor. 10, 1-6; Eph 6, 11-20) , è un laico che non vive nell’inerzia morale, ma si riscuote e si arma e per la propria e l’altrui rinascita morale. Questo personaggio è qui rappresentato in modo originale da Dürer nelle vesti di un inflessibile cavaliere, che continua impavido il suo cammino senza lasciarsi scuotere dalla Morte (un orrendo cadavere sul suo cavallo macilento, che gli mostra la clessidra a significare il tempo che scorre inesorabilmente), e dal Diavolo (il cui grugno porcino indica che si tratta, fra l’altro, di un’incarnazione dei bassi istinti).
L’immagine, pur così tipicamente nordica e impregnata dello spirito della Preriforna, è ricca di palesi riferimenti italiani: nel cavallo e cavaliere, ad esempio, si avverte la profonda eco dello straordinario eroe a cavallo immaginato da Verrocchio nel suo monumento al Colleoni; i teschi che sembrano apparire tra i ciottoli della via sono collegabili all’immagine nelle nubi, un motivo che appare di frequente nell’opera del Mantegna.


*2. Andrea del Verrocchio, Bartolomeo Colleoni, 1486-88
Venezia, Campo San Giovanni e Paolo



Nel 1479 la Repubblica di Venezia decretò la realizzazione di un monumento equestre per il condottiero Bartolomeo Colleoni, morto tre anni prima; nel 1480 ne affidò l'esecuzione al toscano Andrea Verrocchio, nel 1481 il modello in cera venne mandato a Venezia, dove nel 1486 si trasferì l'artista stesso per attendere alla fusione in bronzo del gruppo. Andrea morì nel 1488 a lavoro non terminato. Aveva nominato suo erede ed esecutore Lorenzo di Credi, ma la Signoria veneziana gli preferì Alessandro Leopardi, artista locale. Per la realizzazione del gruppo, Andrea si rifece alla statua equestre del Gattamelata di Donatello, alle statue antiche di Marco Aurelio e dei cavalli di San Marco, rarissimi originali bronzei risalenti alla Grecia Classica; ma tenne anche presente l'affresco con Giovanni Acuto di Paolo Uccello in Santa Maria del Fiore.
La sua è la prima statua equestre in bronzo a raffigurare una delle gambe del cavallo in posizione sollevata. In altre parole, l'intero peso della statua è sorretto da tre gambe invece che quattro.



*3. Andrea Mantegna, San Sebastiano, Vienna, Kunsthistorisches Museum


Come Gombrich ha fatto più volte osservare, Mantegna è tra i primi a dare evidenza in pittura all’immagine che l’osservatore tende a proiettare nelle forme delle nubi (Ernst H. Gombrich dedica un capitolo a questo tema in una delle sue opere più note, Arte e illusione del 1959, trad. it. Torino, Einaudi, 1965, studio fondamentale nella bibliografia dell’autore che tuttavia interessa più la psicologia della percezione che non l’iconografia).






b) Jheronimus Bosch: l’iconografia del giudizio Finale



Con Il Giardino delle Delizie, celebre opera della maturità, Bosch spinge ancora più oltre la sua personale trasformazione di uno schema iconografico tradizionale, il trittico a tre sportelli del Giudizio Finale (di cui vediamo un perfetto esempio in Memling), in una rassegna tre fasi delle follie che costellano il percorso della vita umana: dalle disobbedienze all’ordine divino che seguono la Creazione e portano alla cacciata dell’umanità dal Paradiso, al disordine nella vita presente, fino a un inferno visto come estrema degenerazione degli orrori e delle storture del vvere quotidiano.
Nel Giardino delle Delizie, in particolare, grande opera a fondo chiaro databile alla maturità di Bosch intorno al 1510-16, il pannello centrale mostra il mondo presente come un Giardino di Eden degenerato. L’invasione della follia è messa in scena attraverso le stranezze e le trasgressioni lungamente maturate sui margini dei manoscritti gotici e riprese dalle stampe didascalico-morali e che l’artista ’ibera’, per così dire, dal loro serraglio: scene del “mondo alla rovescia” come uccelli nell’acqua e pesci nell’aria, cavalieri su cavalcature di fantasia, figure umane che si aggirano tra fiori e insetti più grandi di loro, ecc. (Vallese, Follia e ‘mondo alla rovescia’ cit. in bibliografia, figg. 1-15).



*4., 5. Bosch. Il Giardino delle Delizie, esterno, interno, assieme.
Madrid, Prado

6. Bosch, Il Carro di Fieno, interno, assieme
Madrid, Prado

*7., 8. Hans Memling, Giudizio Finale (Il Trittico di Danzica), pannello centrale e laterali

Il trittico conservato nel Pomorskie Muzeum di Danzica, che l’artista cominciò a dipingere intorno al 1470, si compone di un grande pannello centrale rappresentante il Giudizio Universale, di un pannello di sinistra, dipinto su entrambe le facce, con Il donatore Angelo Tani e la statua della Madonna e con La porta del Paradiso, e di un pannello destro, anch'esso dipinto su entrambe le facce e rappresentanti La donatrice Caterina Tanagli con la statua di san Michele e L'Inferno.
Il trittico fu commissionato da Angelo Tani, direttore della Banca Medici a Bruges, e dalla moglie Caterina Tanagli, i cui nomi furono identificati dagli stemmi di famiglia dipinti nei due pannelli. La nave che trasportava l’opera a Firenze, appartenente ai Medici, fu assalita mentre navigava nella Manica dal corsaro di Danzica Paul Benecke il 27 aprile 1473, il quale trafugò il Trittico e ne fece dono alla Cattedrale della sua città.
La data di compimento dell'opera va pertanto collocata nel periodo compreso tra il 1466, anno nel quale i due committenti si sposarono a Firenze, e il 1473: attribuita per la prima volta a Memling nel 1843, è oggi considerata, unitamente al Reliquiario di sant'Orsola, il suo capolavoro.

Per ‘ingentilire’ alcuni dettagli, Bosch li impronta all’eleganza slanciata che caratterizza figure e animali nelle stampe di Martin Schongauer (ca. 1448 - 2 febbraio 1491), pittore e incisore considerato il più abile incisore su rame della prima scuola tedesca.
A differenza di Durer, più giovane di lui di circa vent’anni, Schongauer rimane pressochè immune dagli influssi del Rinascimento italiano, e aderente a un universo tardogotico.
Il padre era un orafo proveniente da Augusta (ted. Augsburg) che si era trasferito a Colmar, città dove Schongauer trascorse la maggior parte della sua vita. Nel 1465 l'artista frequenta l'Università di Lipsia. Tra il 1466 e il 1469 lavora con Caspar Isenmann, molto attratto dai pittori fiamminghi, il che gli permette di viaggare in Olanda e Borgogna, dove ha modo di conoscere le opere di Rogier van der Weyden, Dieric Bouts e Jan van Eyck, pittori che lo influenzarono notevolmente. Nel 1470 torna a Colmar, dove apre una propria bottega nella quale lavorerà fino alla morte.



Bibliografia

Su Dürer:
AA.VV., Officina Dürer (Cat. della mostra al Museo di Santa Apollonia, 2006/07), Milano, Skira, 2007

Umanesimo nordico e Umanesimo italiano:

R.ROMANO, A.TENENTI, Alle origini del mondo moderno, Milano, Feltrinelli, 1967

Sul Verrocchio:
http://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_del_Verrocchio

Su Erasmo, si veda, oltre agli apparati della trad.it. delle sue diverse opere nelle edizioni Einaudi:

http://www.bibliomanie.it/erasmo_ragione_storia_correzzola.htm

Su Memling:
M.CORTI, G.FAGGIN, L’opera completa di Memling (“Classici dell’arte” , n° 27), Milano, Rizzoli 1969

Su Bosch:
G.VALLESE, Il tema della follia nell’arte di Bosch: iconografia e stile, “Paragone/Arte” n° 405, novembre 1983, pagg. 3-49

G.VALLESE, Follia e mondo alla rovescia nel Giardino delle Delizie di Bosch, “Paragone/Arte”
n° 447, maggio 1987, pagg. 3-22

P. WILLIAMS LEHMANN, Cyriacus of Ancona’s Egyptian Visit and its Reflections in Gentile Bellini and Hieronymus Bosch, Locust Valley, New York, J.J.Augustin Publisher, 1977


Su Schongauer:
http://it.wikipedia.org/wiki/Martin_Schongauer

Sul ‘Mondo alla rovescia’:
G.Cocchiara, Il mondo alla rovescia (1963), Torino, Bollati Boringhieri, 1981
http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Cocchiara

Biennio 9. Icone dell’arte povera: Igloo di Mario Merz, alberi di Giuseppe Penone

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese





a) Igloo di Merz



http://archiviostorico.corriere.it/2003/novembre/10/Foglie_fiori_igloo_Merz_maestro_co_0_031110050.shtml

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplRubriche/Torino/digito/grubrica.asp?ID_blog=179&ID_articolo=575&ID_sezione=368&sezione=Municipio%20-%20Le%20testimonianze

L'anno chiave 1968, con i suoi tumulti, manifestazioni e scioperi in Italia, Francia e nel mondo, segna l'adozione di quella che sarebbe diventata la firma modulo di Merz – l’ igloo.

Il primo, "Igloo di Giap" (1968) , è accompagnato da una frase scritta al neon dallo stratega militare nordvietnamita, Vo Nguyen Giap: "Se il nemico si concentra perde terreno, se si disperde perde forza".

Altre opere dello stesso anno fanno esplicito riferimento ai moti del maggio 1968.
L'opera “Che fare?” fa eco a un discorso di Lenin dal 1912, mentre “Solidale Solitario” impiega parole che Merz aveva visto scarabocchiate su un muro di Parigi.


Mario Merz è considerato uno degli artisti più importanti d'Italia del dopoguerra.
Emerge partecipando all’ eclettico gruppo dell'Arte Povera alla fine del 1960, che auspicava l'uso di materiali poveri e spesso effimeri.
L’adozione di uno stile-firma, che si manifesta nel suo lavoro coi numeri al neon, con gli igloo e con la seie di Fibonacci, assicura il suo status nel corso dei successivi tre decenni.
È famoso in particolare per la proliferazione dei sui igloo, che hanno colonizzato musei di tutto il mondo. Ma questa ubiquità minaccia di oscurare le origini politiche del tema.
La fusione di cultura scientifica e artistica nell'opera di Merz si può forse far risalire ai suoi genitori. Figlio di un ingegnere e inventore progettista per la Fiat e di una madre che insegnava musica, Merz ha studiato medicina per due anni all'Università di Torino. Durante la seconda guerra mondiale, è stato coinvolto con il gruppo antifascista Giustizia e Libertà (Giustizia e Libertà), il che ha portato al suo arresto e alla detenzione nel 1945.
Dopo il suo rilascio, come risposta alle pressioni del padre che gli intimava di scegliersi una professione, Merz si reca a Parigi e diviene un camionista ai mercati delle Halles. La situazione gli permette di approfondire passato e presente dell’arte, dal Louvre all’Informale - la tendenza artistica dominante in Francia e in Italia durante questo periodo. Dopo il suo ritorno in Italia, e per tutto il 1950, Merz lavora in opposizione, piuttosto che in sintonia, sia nei confronti dell'emozionalità soggettiva dell’ Informale, che del realismo socialista, abbracciato dal suo connazionale comunista Renato Guttuso.
A entrambe queste formule, Merz preferisce immagini eseguite nel modo più impersonale, utilizzando materiali industriali come smalto e vernice spray.

La rottura arriva nel 1966, quando Merz si allontana definitivamente dalla pittura, e inizia a penetrare bottiglie, ombrelli e impermeabili con tubi al neon, sia per infondere in essi energia che per distruggere la loro funzionalità.
L'anno seguente vede il battesimo del movimento di Arte Povera, cui partecipano Merz e sua moglie Marisa, insieme a colleghi come Jannis Kounellis e Michelangelo Pistoletto. In risposta alla commercializzazione e all’ iconismo della Pop Art, e come alleata-rivale del minimalismo americano, Arte Povera emerse negli anni successivi come il primo movimento italiano ad avere un impatto internazionale paragonabile a quello dal Futurismo.




*1. Mario Merz, Igloo con albero, 1969
Tubolare di ferro, vetri, stucco, albero.
Igloo, h 100, diam. 200 cm; albero, h 320 cm
Non firmato, non datato.
Coll. Margherita Stein, in deposito permanente al Museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli, Torino.

2. Mario Merz, Igloo (Tenda di Gheddafi), 1981
Tubolare di ferro, acrilico su tela di iuta, h240, diam.500 m,
Non firmato, non datato
Museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli, Torino.





b) Alberi di Penone



Le prime opere di Penone, nato a Garessio (Cuneo) nel 1947, non sono particolarmente ecologiste. L’artista agisce con intento di esplorazione scientifica, talvolta in modo pesantemente invasivo, nei confronti del mondo vegetale, come si vede dalle immagini pubblicate nel libro Rovesciare gli occhi (Einaudi 1977, vedere bibliografia).
Il motivo per il quale è oggi più famoso, i cosiddetti “alberi”, sono invece alquanto più gentili: travi industriali in legno entro le quali l’artista ha scavato, seguendo uno degli anelli di accrescimento della pianta, fino a trovare “l’albero che c’era” in un determinato momento, restituendo la forma organica e irregolare a un qualcosa che era stato innaturalmente costretto a una forma geometrica e mettendo i due mondi a confronto.



3.-7., Immagini e testi da Rovesciare gli occhi, Torino 1977.


http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.undo.net/Magazines/foto/1232532748.32397.2.jpg&imgrefurl=http://www.undo.net/cgi-bin/undo/magazines/magazines.pl%3Fid%3D1232532748%26riv%3Despoarte&usg=__FA813sVq21-cj5riPolGNEL3BRA=&h=395&w=300&sz=12&hl=it&start=1&sig2=sXBPOExLsmhqzGS6B46VPQ&um=1&itbs=1&tbnid=UgLC0AXTX5XLlM:&tbnh=124&tbnw=94&prev=/images%3Fq%3DPenone%2Balberi%26um%3D1%26hl%3Dit%26sa%3DN%26tbs%3Disch:1&ei=wbbRS_KmFIGk-AbZ0-mKDA

*8. Giuseppe Penone, Albero di 12 m, 1970
Legno, cm 1213x25
Stoccolma, Moderna Museet

*9 . Trattenere 17 anni di crescita, 1968-85
Tronco di frassino lavorato nel tempo
H 500 cm, diam.25 cm ca.
Galleria Civica d’Arte Moderna e contemporanea, Torino. Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris


http://www.tate.org.uk/servlet/ViewWork?cgroupid=999999961&workid=17394&searchid=12525

E’ stato uno dei due artisti del Padiglione italiano alla Biennale nell’anno 2007, a cura di Ida Gianelli, artisti Penone e Vezzoli:

http://www.archimagazine.com/rpenone.htm


Bibliografia:


Oltre ai link citati nel testo si vedano:



Arte Povera in collezione (cat. della mostra a Torino, Museo di Rivoli), Milano, Charta, 2000

http://www.castellodirivoli.org/#

http://www.tate.org.uk/modern/exhibitions/artepovera/default.htm

Giuseppe Penone, Rovesciare gli occhi, Torino, Einaudi (“Einaudi Letteratura”, 52), 1977

Giuseppe Penone, Sculture di linfa (cat. della mostra al Padiglione Italiano, 52.ma Biennale d’Arte di Venezia), Electa 2007