giovedì 22 aprile 2010

ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 8. L' uomo vitruviano

Accademia di Belle Arti in Venezia
CORSO DI DIPLOMA DI 2° LIVELLO IN : GRAFICA
A.A. 2009-10
Docente: Gloria Vallese





a) L’uomo vitruviano di Leonardo.


*1. Leonardo, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio, 1490 ca.
Punta metallica, penna e inchiostro, tocchi di acquerello su carta bianca, 344 x245 mm
Venezia, Gallerie dell’Accademia

Nel terzo libro del De Architectura, l’architetto e teorico latino Vitruvio sostiene che le parti di un edificio devono essere ben proporzionate, a similitudine di quelle di un bel corpo umano (“homo bene figuratus”), e che un metodo indicativo per stabilire se un uomo è ben proporzionato è il seguente: in piedi, a braccia allargate e piedi uniti, la figura deve essere inscrivibile in un quadrato; disteso a terra, con braccia e gambe leggermente divaricate, dev’essere inscrivibile in un cerchio con il centro nell’ombelico. Se il modello prescelto soddisfa a entrambe queste proporzioni, può definirsi homo bene figuratus, e l’architetto può procedere a studiare le sue proporzioni, per applicarle quindi agli edifici.
Oltre a Leonardo, in questo celebre disegno ben rifinito e che ha i caratteri di un’illustrazione predisposta per essere tradotta in un’illustrazione a stampa (Pedretti), del tema si occuparono numerosi artisti e architetti del Rinascimento. Tra essi Fra’ Giocondo da Verona (c 1433 – 1515), che nella sua edizione di Vitruvio pubblicata a Venezia nel 1511, raffigura l’uomo nel cerchio e nel quadrato in due immagini separate. L’architetto, pittore e trattatista milanese Cesare Cesariano (1475-1573), nel suo De Lucio Vitruvio (Como 1521), riprduce con varianti il prototipo leonardesco.
Nel De harmonia mundi totius (Venezia 1525), Francesco Zorzi, monaco umanista d’ispirazione neoplatonica del convento di San Francesco della Vigna a Venezia, presenta con significato cosmico la figura dell’Homo ad circulum. Francesco di Giorgio (1439-1501), scultore e architetto senese, nel suo trattato di architettura (un libro posseduto e annotato da Leonardo), aveva proposto solo l’uomo nel cerchio.
(Wittkower figg.1,2,3,4,6,7,8,9,10,11,12,13,14, 15, 20-24, 25-27, 32).
Nelle elaborazioni diverse dell’uomo vitruviano, qui presentate, diviene peraltro chiaro che per gli umanisti rinascimentali il tema si fonde con altri, ugualmente ereditati dall’antichità e arricchiti di significato cristiano, come: macrocosmo e microcosmo (l’uomo visto come modello nel quale si rispecchia l’ordine del cosmo intero).
Sulla base di dottrine classiche, risalenti a Pitagora, riprese da Platone nel suo dialogo il Timeo, e riscoperte nel Rinascimento, la musica, più precisamente le proporzioni numeriche che esprimono gli intervalli musicali, sono alla base dell’armonia dell’universo intero: regolano i moti delle stelle come la bellezza e la salute del corpo umano. Di qui lo stretto rapporto che intercorre nel Rinascimento tra studi musicali, architettura e scienza medica.

b) La lira da braccio, Leonardo e le dottrine pitagoriche.

Insieme al liuto, la lira da braccio è lo strumento a corde più popolare nel Rinascimento. Si usava per la dizione poetica accompagnata, nella quale le fonti asseriscono che Leonardo era assai versato.

*2. Vittore Carpaccio, Presentazione al tempio, part.: Angelo che suona la lira da braccio.
Venezia, Gallerie dell’Accademia

*3. Giovanni Bellini, Pala di San Zaccaria, part.: Angelo che suona la lira da braccio.
Venezia, San Zaccaria

*4. Benedetto Montagna, Orfeo incanta le fiere, incisione.

*5. La gara fra Apollo e Pan. Silografia dall’Ovidio Metamorphoseon Volgare, Venezia 1501., fol 143 r

*6. Liuto e lira da braccio, tarsia lignea.
Urbino, Palazzo Ducale, Studiolo

*7. Liuto e lira da braccio, tarsia lignea.
Verona, Santa Maria in Organo

La pratica musicale di molti artisti del Rinascimento, fra cui Verrocchio, Raffaello e Leonardo, è da porre in collegamento con il revival delle dottrine pitagoriche. Pitagora e la sua scuola sostenevano che tutta una serie di fenomeni naturali sono traducibili in rapporti numerici, e sono quindi rappresentabili in modo matematico. In particolare sono traducibili in numero le armonie musicali; di conseguenza, i Pitagorici praticarono la musica come mezzo di conoscenza e purificazione.
Nella Milano di Ludovico il Moro, operò il famoso teorico Franchino Gaffurio (possibile soggetto di un famoso ritratto di Leonardo), che, nei suoi trattati Pratica musica e De Harmonia Musicorum Instrumentorum (1518), appare in una celebre silografia, mentre insegna a una folla di allievi le corrispondenze fra le armonie musicali e quelle geometriche. Queste corrispondenze tra armonie musicali e armonie visive erano oggetto di intenso interesse da parte di artisti e architetti.

*8. Leonardo, Ritratto di musico.
Milano, Pinacoteca Ambrosiana



*9. Raffaello, La Scuola di Atene, part.: il filosofo Platone con il suo trattato Il Timeo. Affresco, 1509-10
Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura


*10. , 11. Raffaello, La Scuola di Atene, part.: il filosofo Pitagora, circondato da allevi, e una lavagna con gli schemi numerici degli intervalli che generano l’armonia musicale.
Affresco, 1509-10
Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura



Bibliografia

Il revival platonico e l’applicazione dei principi armonici nell’architettura:

R. WITTKOWER, Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo (1962), trad. it. Torino, Einaudi
O. M. UNGERS, “Ordo, pondo et mensura”: criteri architettonici del Rinascimento, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi), Milano, Bompiani, 1994
G.REALE, La ‘Scuola di Atene’ di Raffaello, Milano, Bompiani, 20052
A.PERISSA TORRINI (a cura di) , L’uomo vitruviano tra arte e scienza (cat. della mostra a Venezia, Gallerie dell’Accademia), Venezia, Marsilio, 2009
http://leonardo.uomovitruviano.it/
http://www.universalleonardo.org/work.php?id=448


Leonardo da Vinci musicista:

E.WINTERNITZ, Leonardo da Vinci as a Musician, New Haven e Londra, Yale University Press, 1982
G.VALLESE, Leonardo’s ‘Skull lyre’, in 'Tutte le opere non son per istancarmi’, Raccolta di scritti per i settant’anni di Carlo Pedretti, Roma, Edizioni associate, 1998, pagg. 405-424

Biennio 8. MMOSITE: fare mondi digitali/ Äda'web, progetti di net art. Antonio Muntadas e la formula net/public art

STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese









a) MMOsite.



http://www.mmosite.com/
http://it.wikipedia.org/wiki/Massively_multiplayer_online


Numeri di un successo:
http://news.mmosite.com/content/2009-04-17/20090417003300883.shtml

Numeri di un fallimento:
http://news.mmosite.com/content/2009-04-17/20090417002551153,1.shtml

Una questione generale: Must we always kill?
http://news.mmosite.com/content/2009-04-04/20090404203127553,2.shtml

Writer club: hot !

Questo spazio cerca di favorire l’incontro fra aspiranti sviluppatori e case produttrici, presentando l’esperienza di professionisti affermati e facendo loro narrare, in particolare, le vicende dei loro inizi e del loro approccio con le case produttrici.






b) Net art : artisti di Äda'web






Nato nel 1994 dall'iniziativa di un imprenditore (John Borthwick) e di un giovane curatore (Benjamin Weil), l’ormai storico sito Äda'web si era assunto il difficile compito di mediare tra i due mondi quello dell’arte e della tecnologia, e attirando in rete artisti il cui lavoro si era già conquistato un ruolo nella storia dell'arte contemporanea, come Jenny Holzer e Antonio Muntadas. Scopo del progetto era accelerare i tempi di un riconoscimento istituzionale della net art.
Il valore del lavoro svolto da Äda'web è stato sancito dal fatto che, al momento della sua chiusura, il progetto ha fatto il suo ingresso nelle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis. 


Nel 2003 tuttavia, per una serie di motivi molto diversi (la crisi economica mondiale, forse una persistente sottovalutazione del settore new media), molti musei americani hanno ridotto al minimo il loro impegno in questo settore:

“fino al caso clamoroso del Walker Art Center, che ha interrotto le attività della Gallery 9, licenziando in tronco Steve Dietz, curatore della sezione new media e promotore di quella straordinaria fase che ha avuto nell'acquisizione di Äda'web il suo momento centrale. E questo senza che altre istituzioni intervenissero a raccoglierne il testimone”.

(Domenico Quaranta, NET ART 1994 - 1998. La vicenda di Äda'web, Milano, Vita & Pensiero, collana "Strumenti", 2004).

http://www.domenicoquaranta.net/thebook.html

I motivi per cui la Net Art non ha mai veramente decollato e l’interesse dei musei e delle grandi rassegne sembra decrescere anziché aumentare, possono essere diversi. Le gallerie, da sempre più interessate ad opere fisicamente presenti, numerabili e commerciabili, non sembrano interessate a questo settore. Il pubblico, dal canto suo, frequenta la rete in modo sempre più entusiastico, sia per lavoro che per divertimento (basti pensare al’immenso fatturato dell’industria dei videogiochi online). A fronte del dilagare dell’uso di internet, la net art “colta” sembra obiettivamente in uno stato singolare di declino o di assenza.
Tramite gli archivi di Äda'web, ormai ridotti a una situazie di sopravvivenza (contengono opere ormai molto datate), avviciniamo alcune opere di net art considerate classiche, per renderci conto meglio delle potenzialità (e degli eventuali limiti) del mezzo.


*1. Jenny Holzer, Please Change Beliefs, progetto di net art, 1995
http://adaweb.walkerart.org/project/holzer/cgi/pcb.cgi



b) Antonio Muntadas

Tra gli artisti di net art, Antonio Muntadas (Barcellona 1942) è l’unico che ha “bucato” il ghetto degli spazi riservati e delle manifestazioni specializzate per entrare nel circolo delle grandi manifestazioni d’arte come la Biennale di Venezia e Documenta. La sua notorietà si lega in particolare a due opere: The File Room, database online dedicato alla censura nel mondo, e On Translation, complesso progetto che esamina problemi e limiti della comunicazione umana, fra nuove tecnologie e limiti dei vecchi linguaggi.



2. Antonio Muntadas, The Board Room, 1987, installazione.

3. Antonio Muntadas, Words: The Press Conference Room, installazione, 1991

*4. Antonio Muntadas, The File Room, progetto di net art, 1994-95
http://www.thefileroom.org/

*5. Antonio Muntadas, On translation, ciclo di installazioni e progetto di net art, 1996-2006
http://adaweb.walkerart.org/influx/muntadas/

Un esauriente resoconto in lingua italiana della sua carriera è offerto dallo stesso Muntadas in questa intervista:

http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/Pinto/muntadas.htm



Difficile tuttavia sottrarsi all’impressione che, mentre perdura e anzi si accentua l’indifferenza del mondo dell’arte contempranea per queste creazioni, la vera net art sia in piena espansione “là fuori”, modellata dal mondo degli internettiani che sta poco a poco dando vita nuove forme di espressione scarsamente paragonabili ad altre del passato. Da UTUBE ai videogiochi MMOG e MMORPG (che prevedono cioè la partecipazione di più giocatori simultaneamente online), l’ambito di incidenza della nuova cultura visiva online è immenso, amplificato dai rapporti fra questi nuovi mezzi e l’industria del cinema.

Rispetto a questo immenso campo di novità, gli approcci dell’”arte colta” al mondo della net art rischiano di apparire triti, velleitari, adattamenti di quelle che ad onta di tutto appaiono forme espressive obsolete, e modi di porsi dell’artista, che pur sembrando ancora in auge, appartengono ormai al passato.



Vedere ad ogni modo il seguente progetto:

http://nomagallerysf.com/projects/AVATAR4D/index.html









c) Creative industries


Lettura del saggio:

J.C. Herz, Harnessing the Hive, da Creative industries a cura di John Hartley, Blackwell 2005.

Il saggio della Herz mette a fuoco il modo in cui le industrie internettiane, in particolare quell dei videogiochi, stanno utilizzando l’attitudine di decine di migliaia di utenti a cooperare alle loro creazioni, attraverso l’indotto comunicativo messo in moto da queste opere interattive: siti, forum, canali comunicativi come utube e simili.
Se un’azienda tradizionale può contare solo sui suoi dipendenti per sviluppare e creare i propri prodotti, le industrie internettiane possono, in definitiva, operando in modo opportuno, sfruttare l’ intelligenza diffusa di migliaia e migliaia di appassionati.


Bibliografia

Vedere link e opere a stampa citate nel testo

Triennio 8. Dryden Goodwin/ Shaun Gladwell/Nick Cave

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese







a) Dryden Goodwin


Videoartista britannico nato nel 1971, vive a Londra.
www.drydengoodwin.com

Rivelato al pubblico internazionale dalla mostra Clandestini della Biennale Arte 2003 (Arsenale, Corderie), dove era presente con la videoinstallazione Above/Below.

*1. Dryden Goodwin, Above/Below, 2003, videoinstallazione con colonna sonora, 2 schermi, 12’40’’

2. Dryden Goodwin, Scene, videoinstallazione, 1999

*3. Closer (“Piu’ vicino”), 2001, video 6’30
In questo breve film, Goodwin riprende degli estranei in distanza, mentre simultaneamente li tocca con una penna al laser, registrando quindi una sorta di reazione allo sguardo che normalmente non si verifica.

4. Elaborazione grafica da Closer.

Dal film, Goodwin torna all’esperienza della grafica, e da questa nuovamente al film, cercando di trasfondere in ciascun mezzo la novita’ apportata da una diversa esperienza dell’immagine nel tempo.

*5. Suspended animation, 29 disegni dalla stessa fotografia.

Goodwin e’ stato invitato dal cantautore Matt Hales a produrre la copertina del suo album Aqualung. Goodwin prima ha ritratto Hales nei disegno intitolato Matt (2002), come parte di una serie di disegni multistrato di amici e familiari.

6. Matt, 2002, matita su carta, 40,6 x 57,2 cm

Poi ha sviluppato un video clip per il single Strange & Beautiful. L’idea era quella di estendere le possibilita’ espressive di un ritratto a matita alla lunghezza di un film conservando la delicatezza, la complessita’ e l’enigma propri del disegno. I tre minuti e 47 incorporano centinaia di disegni.

7. Aqualung, film d’animazione, 3’47’’, 2002.

Fra i lavori recenti, Flight colloca il visistatore al centro dell’azione attraverso gli occhi di un artista che sta intraprendendo un viaggio di fuga misterioso e indefinito. Il film vede attraverso gli occhi del fuggitivo lo scenario urbano, poi strade a scorrimento veloce, poi foreste e infine la costa, verso il mare e il cielo. Esprime la paura di essere seguiti e l’incapacità di fermarsi e relazionarsi con la gente, coi luoghi e con se stesso, insieme al desiderio di liberazione, insieme al carattere di sogno o fantasia delle immagini prooste.
Linear, progetto in corso, in collaborazione con la metropolitana londinese, pone i ritratti di 60 viaggiatori e dipendenti della metropolitana in relazione con la dimensione statica del disegno tradizionale.

*8. Flight, installazione multimediale(disegni e video), 2006



*9 Linear, Sixty portraits of Jubilee line staff, opera multimediale, 2010


b) Shaun Gladwell
Nasce nel 1972 a Sydney, Australia, dove vive e lavora. 
 E’ cresciuto nella periferia a ovest di Sydney e ha cominciato a sperimentare la video arte dopo che, la sua ambizione di diventare uno skateboarder professionista è stata rovinata da un infortunio.
 Gladwell non è un artista convenzionale, e suoi video non vanno intesi come documentari di attività sportive. Fin dall’inizio dei suoi esperimenti artistici, quando coglieva scatti delle acrobazie dei fratelli in bicicletta, l’intenzione era quella di catturare qualcosa di differente: il senso di un corpo umano in movimento, e il punto di vista di un essere umano in movimento.




Biografia in italiano:

http://www.studiolacitta.it/LaCitta/Artisti/ShaunGladwellExhibitions.php


10. Shaun Gladwell, Storm Sequence, La Biennale 2007, Giardini, Padiglione Italia. 4:3, 8'35'


http://www.youtube.com/watch?v=eQnDJwuX6z4&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=V1xZYfu4EP4&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=g48z_rNaZHA&NR=1

E’ stato l’artista del padiglione australiano nell’ambito della 53.ma Biennale d’arte di Venezia, con il progetto Maddestmaximus, in corso:


*11. Maddestmaximus:
http://www.youtube.com/watch?v=CSm0DTc-3Hw&feature=related

Maddestmaximus include opere realizzate con diversi media, legate dal filo conduttore dell’idea del movimento e del confronto con le caratteristiche del paesaggio australiano.

Dal sito http://thepillowbook.splinder.com/post/20737335 :


“Apology to Roadkill (1–6) (2007–2009) ritrae un motociclista con un casco nero che si ferma per osservare e cullare teneramente le carcasse di canguri grigi. A questi due video si uniscono interventi scultorei nella struttura stessa del padiglione: la motocicletta di Apology to Roadkill (1–6), piantata nel muro esterno del padiglione a creare una protuberanza conficcata nello strato interno della superficie, e una riproduzione “scultorea” a grandezza naturale e funzionante, realizzata per l’occasione, della famosa macchina V8 “Interceptor” guidata da “Max”, il personaggio interpretato da Mel Gibson nei film Mad Max 1 e 2.
Il progetto al Padiglione Venezia è completato da un’opera video multicanale – Centred Pataphysical Suite (2009) – costituita da una torre di monitor, ciascuno dei quali mostra l’immagine di un performer che si esibisce sul posto nella propria disciplina (skateboard, break-dance, danza classica, ciclismo BMX), da un’opera scultorea che inserisce una filmato “live” in tempo reale su un monitor posto nella superficie interna di uno scheletro umano che ruota (Endoscopic Vanitas, 2009) e dal lavoro più recente del progetto ancora in corso Planet and Stars Sequence, che comprende sia il filmato (Planet and Stars Sequence: Barrier Highway, 2009) sia un pezzo (Absolute Event Horizon, 2009) di un dipinto a spray realizzato dall’artista in ginocchio sul ciglio di un’autostrada nell’entroterra australiano.
Ciascuno di questi lavori costituisce un’importante opera a sé e tutti condividono lo spazio del padiglione, che l’autore usa come contenitore scultoreo, trasmettendo un’idea coerente e tuttavia fortemente associativa di un luogo che è lontano anni luce dai Giardini. In questo contesto, nessuna delle opere domina sull’altra, ma Interceptor Surf Sequence, che va osservata da entrambi i lati, obbligando il pubblico a tornare indietro e ad avvicinarsi e a girare intorno all’installazione più di una volta, e per la sua collocazione al centro del padiglione, rimarrà senza dubbio nella memoria del pubblico, In questa installazione una telecamera segue la V8 Inerceptor nera, parcheggiata fuori dal padiglione, su una lunga strada non asfaltata in una vasta pianura dell’entroterra australiano. In una scena il cielo immenso diventa di un nero primordiale per l’avvicinarsi di un temporale. Il caldo, e in particolare la terra che si solleva, distorcono la vista. Una figura vestita di nero e con un casco in testa esce dal finestrino mentre la macchina è ancora in movimento, sale lentamente sul tetto della macchina e si alza in piedi. Il rallentatore accentua ogni sfumatura dei suoi movimenti, trasformando un’azione teoricamente pericolosa in uno studio formale del virtuosismo del corpo, laddove il corpo stesso contiene e bilancia le forze elementari della velocità e della gravita che lo spingono ancora più in profondità nell’entroterra australiano”.



http://www.youtube.com/watch?v=EdmMM6iAt8E
c) Nick Cave, nato nel 1959 nello stato del Missouri, USA, è un artista americano che crea sculture in stoffa, danzatore e performer.
E’ noto soprattutto per i suoi

*12. Soundsuits:
sculture di stoffa indossabili. Risiede a Chicago ed è direttore dellla scuola di perfezionamento post_dottorale all’ Art Institute of Chicago.


http://www.youtube.com/watch?v=EdmMM6iAt8E


Allevato da una madre single, con numerosi fratelli e con mezzi modesti, Nick dichiara di avere appreso fin dalla sua infanzia l’arte di raccogliere e valorizzare gli oggetti trovati. L’artista si è laureato al Kansas City Art Institute in 1982, dove ha imparato a cucire. Sempre in questo periodo ha studiato danza, Kansas City e a
Il primo Soundsuit di Cave era fatto di rami. Altri materiali tipici includono capelli umani tinti in vari colori, sisal, nbottoni di plastica, perle, nastri e piume. Hanno una certa rassomiglianza con i costumi e le maschere rituali africane. Sono presentati al pubblico com sculture statiche che possono tuttavia anche essere indossate e presentate in performance, video e fotografie.


Bibliografia

www.drydengoodwin.com
http://www.studiolacitta.it/LaCitta/Artisti/ShaunGladwell.php
http://www.studiolacitta.it/LaCitta/Artisti/NickCave.php

ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA 7.Leonardo e l’elaborazione iconografica 2 : I Nodi, la Sala delle Asse, l’Achademia Leonardi Vinci

Accademia di Belle Arti in Venezia
CORSO DI DIPLOMA DI 2° LIVELLO IN : GRAFICA
A.A. 2009-10
Docente: Gloria Vallese








a) I Nodi e l’Achademia

I nodi, formati da complicati intrecci geometrici detti anche “cordelle alla damaschina”, compaiono in sei incisioni prodotte in ambiente milanese al principio del ‘500. Dürer li copiò in altrettante silografie, omettendo le iscrizioni.
Gli intagliatori delle sei incisioni non sono noti, ma il riferimento dell’invenzione a Leonardo stesso non è mai stato posto in discussione, dato che nel periodo milanese i nodi (o “vinci”, in italiano antico), divengono per l’artista una sorta di sigla, di emblema personale che egli usa dappertutto, nei disegni per gioielli, acconciature, accessori, e nella decorazione della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco.

*1.- 6., I Nodi vinciani, incisioni a bulino.
Milano, Biblioteca Ambrosiana

7. Copia di Dürer da uno dei nodi vinciani, silografia.

*8. L’Androgino. Incisione a bulino di derivazione leonardesca.
Londra, British Museum

9. Tre else di spada, disegno
Milano, Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, fol 366.

10. Leonardo da Vinci, Studi per la testa di Leda.
Windsor Castle, Royal Library, Inv 12516

11. Leonardo da Vinci, Studi per la testa di Leda.
Windsor Castle, Royal Library, Inv 12518

Se il Vasari considerava i “nodi” leonardeschi semplici divertimenti, eseguiti dall’artista per dar prova del proprio virtuosismo, per l’iconografo moderno le sei incisioni sono oggetti del tutto seri, e molto complessi da un punto di vista iconografico. Anzitutto, presentano l’iscrizione “Achademia Leonardi Vinci”, ponendo il problema di una possibile “scuola”, un’accademia di belle arti ante litteram, con marcato accento sugli aspetti intellettuali e matematici della formazione dell’artista, che Leonardo avrebbe fondato a Milano, sotto gli auspici di Ludovico il Moro.
Benché manchino testimonianze documentarie circa questa accademia leonardesca a Milano, che certamente dovette avere i caratteri del cenacolo amichevole più che quelli di una vera e propria scuola d’arte a carattere istituzionale, studi recenti si pronunciano a favore della sua esistenza.
Essa anticiperebbe di oltre mezzo secolo la prima Accademia d’arte della storia (istituita da Giorgio Vasari a Firenze nel 1562), e seguirebbe di poco le accademie umanistiche a carattere filosofico, d’impronta neoplatonica, di cui fiorirono alla metà del ‘400, sempre a Firenze, i primi esempi.
Esiste inoltre una settima incisione, anch’essa di formato circolare e corredata dall’iscrizione Achademia Leonardi Vinci, che presenta non una composizione geometrica ma una figura di profilo, nella quale gli studiosi concordano nel riconoscere il “divino androgino”, descritto da Platone come il tipo umano della specie più elevata. Quest’opera proverebbe dunque il collegamento fra l’Accademia vinciana di Milano e il pensiero platonico, cui le accademie si umanistiche fiorentine si ispiravano.
Per quanto riguarda le sei “rose” geometriche disegnate da Leonardo, si tratta di un motivo di derivazione islamica che all’epoca di Leonardo veniva applicato alla decorazione degli strumenti musicali, e in particolare del liuto, lo strumento a corde più comune del Rinascimento (Headlam Wells, 1981, vedi bibliografia).
In questi motivi islamici sopravvive una geometria intrisa di misticismo, di origine pitagorico-platonica, che mira a tradurre in immagine non figurativa le qualità e gli attributi di Dio (Baltrusaitis 1955, vedi bibliografia).
Non a caso simili “stelle” geometriche appaiono con insistenza nelle chiese a pianta centrale che così intensamente affascinano gli architetti del Rinascimento (Wittkower).
Il collegamento con il mondo degli strumenti nusicali, più precisamente con uno strumento di marcata derivazione araba, come il liuto, non è privo di significato, poichè l’umanesimo a Milano aveva un’intensa impregnazione musicale, a differenza di quello fiorentino, più orientato alle arti figurative.
Sappiamo fra l’altro che l’incontro tra Leonardo e Ludovico il Moro avvenne sotto il segno della musica, con Leonardo, valente suonatore di lira (e dicitore di rime “all’improvviso”, accompagnate dal suono dello strumento), che dona al Moro una lira o viola da lui fabbricata “d’argento in parte, in forma d’un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova”.
Secondo le riscoperte dottrine neoplatoniche, la musica riconcilia il microcosmo umano con il macrocosmo, e la segreta natura numerica dei rapporti armonici può essere studiata e impiegata terapeuticamente, oppure per rendere belle le proporzioni di una figura o di un edificio.

*b) La Sala delle Asse nel Castello Sforzesco a Milano.

La creazione più famosa di Leonardo al Castello è il grande affresco sulla volta della Sala "delle Asse" (detta così dalle assi o tavole di legno che rivestivano la parte inferiore delle pareti). Qui l’artista affrescò un finto pergolato, formato dai rami fioriti di sedici alberi i cui rami intrecciati formano l'emblema vinciano del nodo, che racchiude al centro le insegne araldiche del committente, Ludovico il Moro signore di Milano, e della sua sposa. Alle fronde s’intreccia un cordone dorato, in armoniose volute; l’opera fu infatti eseguita in occasione delle nozze di Ludovico il Moro con Beatrice d’Este, e si presume che sia stata iniziata nel 1498.
( visita virtuale: http://milan.arounder.com/it/castello_sforzesco/IT000007286.html )

Bibliografia

Le sei incisioni dei “nodi” vinciani:
C.ALBERICI (a cura di), Leonardo e l’incisione (Cat. della mostra al Castello Sforzesco) Milano, Electa 1984
Le “rose” degli strumenti musicali e il loro rapporto con le teorie pitagorico-platoniche del numero, dell’armonia, e della terapia mediante la musica:
R. HEADLAM WILLIS, Number Symbolism in the Renaissance Lute Rose, “EarlyMusic” I, 1981, pagg. 32-42
I “nodi” di Leonardo e la loro radice nella cultura islamica:
J. BALTRUSAITIS, Il Medioevo fantastico (1955), trad. it. Milano, Adelphi, 1973, cap. 3.2
La questione dell’Accademia milanese di Leonardo:
N. PEVSNER, Le Accademie d’arte (1940), trad.it. Torino, Einaudi, 1982

BIENNIO 7. Sophie Calle, Fiona Tan, El Anatsuj

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese




7. Sophie Calle, Fiona Tan, El Anatsuj



http://www.beppesebaste.com/incontri/sophie_calle.html :


“All’epoca della sua prima opera (Les Dormeurs, Biennale di Venezia 1979) Sophie Calle ha ventisei anni: ha invitato a dormire nel suo letto ventinove tra amici e sconosciuti, di cui ha fotografato il sonno a tutte le ore. A Venezia segue un uomo per quindici giorni, prendendo foto e appunti (Suite venitienne, 1980). Da quell’anno fino al 1993 conduce un lungo rituale di compleanno e conserva metodicamente i regali ricevuti. Nel 1981 si fa seguire da un detective privato da lei stessa ingaggiato a sua insaputa, e confronta i suoi rapporti con il proprio diario quotidiano. Lo stesso anno si fa assumere come cameriera in un hotel di Venezia, per fotografare le tracce di vita dei clienti. Nel 1983, dopo aver trovato per strada un’agendina con rubrica di indirizzi, invece di renderla al proprietario conduce su di lui un’inchiesta quotidiana, un feuilleton, sul giornale Libération, facendolo raccontare dalle persone che compaiono sulla sua rubrica. L’anno successivo, a Los Angeles, chiede agli abitanti dove siano gli angeli che danno il nome alla città (Les Anges, 1984). Avendo contemporaneamente ottenuto una borsa per il Giappone, sale sulla Transiberiana e ne fotografa il lentissimo viaggio, e soprattutto il suo compagno di cabina (Anatoli, 1984). Nel 1986 chiede a dei ciechi dalla nascita di dare una definizione personale della bellezza (Les aveugles) mentre dal 1988 al 2003 intraprende lavori autobiografici, tra cui quello sul dolore (Autobiographies e Douleur exquise)”


Nel 2007 Sophie Calle rappresenta la Francia al Padiglione nazionale della 52.ma Biennale di Venezia con l'opera:

*1. Sophie Calle, Prenez soin de vous (Abbi cura di te), 2007

In quella stessa edizione, è presente anche fra gli artisti della mostra internazionale con:

*2. Pas pu saisir la mort, 2007

DVD 13’, carta, ceramica (4 elementi), stampa b/n su aluglass.

opera dedicata alla madre scomparsa in quell’anno.


http://www.culturesfrance.com/medias/userfiles/CP%20Sophie%20Calle%20Venise%20(it.).pdf







b) Fiona Tan



Fiona Tan, nata a Pekan Baru in Indonesia nel 1966, ha lasciato il paese a causa dell’intolleranza del regime e dopo un periodo in Australia si è stabilita con la sua famiglia d’origine ad Amsterdam, nei Paesi Bassi. Ha compiuto gli studi alla Gerrit Rietveld Academie e allla Rijksakademie van beeldende kunst di Amsterdam, la città dove attualmente vive e lavora.
La sua vicenda biografica è alla base del suo lavoro video, che è una riflessione sull’identità personale.

Fiona Tan ha rappresentato l’Olanda alla 53.ma Biennale di Venezia(2009), con il progetto appositamente realizzato Disorient; una riflessione sull’Oriente come immagine e su Venezia, città dall’identità molteplice.



* 3. Fiona Tan, Disorient, 2009, installazione audiovideo.

http://dailymotion.virgilio.it/video/xa6r7o_fiona-tan-disorient-at-53rd-la-bien_creation


http://www.cultframe.com/2009/07/disorient-mostra-fiona-tan-padiglione-olanda-biennale-arte-venezia/


http://www.messaggivisivi.com/?p=56



Le gallerie che rappresentano Fiona Tan sono:
Firth Street GalLery; Londra; Peter Freeman, Inc., New York; Wako Works of Art, Tokyo Vedere i rispettivi siti per ulteriori informazioni sull’artista e le sue attività recenti.



c) El Anatsuj




El Anatsui, nato in Ghana nel 1944, ha partecipato alla Biennale di Venezia nel 1990 e nel 2007.
Le sue opere sono presenti nelle maggiori gallerie pubbliche e private in Europa e negli Stati Uniti. 'Erosion' (1995), una scultura monumentale, presentata nella sua prima personale all''October Gallery' di Londra, e' stata acquisita dallo Smithsonian Museo. 'Man's Cloth' e 'Woman's Cloth', fanno parte delle ultime acquisizioni del British Museum di Londra.

Attraverso l'utilizzo di materiali di recupero, come multicolori tappi corona, schiacciati, appiattiti, ricuciti, El Anatsui riesce a creare arazzi, spesso di grandi dimensioni, di straordinaria suggestione e bellezza che mantengono - trasformata - la forza espressiva del colore e della ricchezza dei tessuti Kente e dei preziosi abiti da cerimonia nyekor.
Le sue opere, realizzate con pezzi di legno, vecchi mortai, etichette di carta, cocci di terra cotta, assumono forme di grande bellezza e di nuova -matericita'", fedeli - tuttavia - nel rappresentare la tradizione piu' autentica e profonda della cultura africana e, al contempo, capaci di interpretarne le trasformazioni e le -contaminazioni" generate da una -modernita'"sempre piu' presente.

http://www.rossanaorlandi.com/



4. El Anatsuj, Dusasa 1, 2007. Venezia, Arsenale
Materiali riciclati (alluminio) e filo di rame.


5. El Anatsui, Nukae-1, 2006
Materiali riciclati e filo di rame


http://africa.si.edu/exhibits/nukae/


http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.octobergallery.co.uk/newsletters/el_anatsui_ny/el.jpg&imgrefurl=http://www.octobergallery.co.uk/newsletters/el_anatsui_ny/&usg=__27yRQUivsxoosAykxx_xo7dh8AE=&h=315&w=600&sz=69&hl=it&start=6&sig2=Qkxzxog7Kon7_b11aXSloQ&um=1&itbs=1&tbnid=eQTdmyKQsZQ2mM:&tbnh=71&tbnw=135&prev=/images%3Fq%3Del%2Banatsui%26um%3D1%26hl%3Dit%26client%3Dsafari%26sa%3DN%26rls%3Den%26tbs%3Disch:1&ei=qJHBS7DdHtK1sgaM-6iEBg

http://newsdesk.si.edu/releases/nmafa_large-sculptures.htm






Bibliografia

a) Sophie Calle, El Anatsui:


Oltre ai link già indicati, vedere: Robert Storr (a cura di) , Pensa con i sensi/ Senti con la mente, catalogo della 52.ma Biennale d’Arte, Venezia, Marsilio, 2007


b) Fiona Tan


Oltre ai link già indicati, vedere:

Daniel Birnbaum (a cura di ) Fare Mondi/Making Worlds…, Catalogo della 53.ma Binnale d’Arte, Venezia, Marsilio, 2009

TRIENNIO 7. Strumenti web per la storia dell’arte: siti e database per l’arte / Rachel Whiteread

STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese













a) Strumenti web


Non perfettamente intuitivo per la navigazione, il sito del Polo Museale Firentino, con schede serie e attendibili per migliaia di opere, costituisce comunque una fonte di riferimento seria, aggiornata e di pronta accessibilità:
http://www.polomuseale.firenze.it/


Ben costruito e organizzato anche il sito dei Musei Vaticani a Roma:
http://mv.vatican.va/



La Web Gallery of Art è un museo virtuale di pittura e scultura europea dal 1100 al 1850, che contiene oltre 22.500 riproduzioni corredate di schede e commento (al momento disponibili soltanto in inglese). Sono offerti altri servizi, fra i quali tour guidati.
http://www.wga.hu/



Molto raffinato ed efficiente il sistema di esplorazione delle collezioni e delle singole opere nella National Gallery di Londra:

http://www.nationalgallery.org.uk/

Molto più complessa, anche a causa della quantità di materiali e collezioni, si rivela l’esplorazione del sito del Museo del Louvre, che offre schede d’impostazione altamente scientifica per 35.000 opere.

http://www.louvre.fr/llv/commun/home.jsp



b) Rachel Whiteread






Nata il 20 aprile 1963, inglese, è nota per le sue sculture che solitamente prendono la forma di calchi di oggetti e architetture. E’ stata la prima donna a vincere il Turner Prize.
Whiteread fa parte dei cosiddetti Young British Artists, ed ha esposto alla mostra Sensation alla Royal Academy nel 1997. E’ soprattutto conosciuta per Ghost, un grande calco di gesso dell'interno di una stanza di una casa vittoriana, e per la sua scultura in resina per il Quarto Plinto in Trafalgar Square a Londra.




Witheread, nata a Londra ma cresciuta in campagna,è la terza di tre sorelle, di cui le più anziane sono due gemelle identiche.
La madre di Rachel, Pat Whiteread, anche lei artista, morì nel 2003. Suo padre, docente di geografia al Politecnico e amministratore e sostenitore del partito laburista, morì nel 1989, quando Rachel frequentava la scuola d'arte. Rachel ha studiato scultura a Londra presso la Slade School of Art, e per un certo periodo ha lavorato nel cimitero di Highgate, fissando i coperchi sulle tombe danneggiate dal tempo. Ha iniziato ad esporre nel 1987 e ha tenuto la sua prima mostra personale nel 1988.
La morte, come presenza di un’assenza, è al centro di molte delle opere di Whiteread, che
attualmente vive e lavora in una ex sinagoga nell’East London con il suo compagno e collega scultore Marcus Taylor. Hanno due figli.


Molte delle opere di Whiteread sono calchi di spazi e oggetti comuni britannici e, in molti casi, dello spazio che gli oggetti non abitano (spesso definito "calco negativo”).



*1. Ghost, 1990.
Nel 1990 l’artista crea Ghost, la prima opera che congloba un intero spazio abitativo e che attira su di lei l’attenzione del pubblico e della critica. Si tratta del calco interno di un'intera stanza, acquistato dal collezionista Charles Saatchi.






Bibliografia

Oltre ai siti citati nel testo, si veda:

http://en.wikipedia.org/wiki/Rachel_Whiteread

sabato 10 aprile 2010

BIENNIO 6. Do Ho Suh, immagini dell’io e della moltitudine/Patricia Piccinini e il sex-appeal dell’inorganico

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese









a) Do-Ho Suh

Do-Ho Suh nasce a Seoul, in Corea, nel 1962. Dopo aver studiato pittura alla Seoul National University ed aver prestato servizio nell'esercito sudcoreano, si trasferisce negli Stati Uniti dove continua gli studi alla Rhode Island School of Design e alla Yale University. 
Ha rappresentato la Corea alla Biennale di Venezia del 2001. 
Attualmente vive a New York.
Una retrospettiva del suo lavoro è stata presentata al Seattle Art Museum e al Seattle Asian art Museum nel 2002. Importanti rassegne sull’artista si sono tenute al Whitney Museum of American Art (2001), alla Sepentine Gallery di Londra (2002).

Particolamente importante per la carriere dell’artista il passaggio alla Biennale di Venezia, nel 2001, dove era presente sia come artista del padiglione coreano che nella rassegna internazionale al Padiglione Italia dei Giardini.
In quell’occasione l’artista ha presentato un gruppo di opere che hanno contribuito a definire le caratteristiche del suo stile, molto originale:

*1. Do Ho Suh, Some/One, 1998.
Piastrine militari in acciaio inossidabile, fogli di rame nichelato, vetroresina, struttura in acciaio inossidabile. Dimensioni variabili.


*2. Floor 1997-2000.
Figurine in PVC, lastre di vetro, resina in poliuretano, dimensioni variabili (moduli di 100 x 100 x 8 cm)


*3. Who am we? (Multi), 2000
Carta da parati: stampa offset a 4 colori, fogli ciascuno 61 x 91,4 cm. Dimensioni variabili.



Tutte queste opere, molto originali, s’imperniano sul senso del rapporto fra il singolo individuo e l’organizzazione sociale che lo ingloba facendo di lui una microscopica pedina, togliendogli individualità e singolarità fino a livellarlo e a renderlo indistinguibile dal gruppo.


Nell’importante intervista pubblicata su art: 21

http://www.pbs.org/art21/artists/suh/clip2.html

Do Ho Suh spiega la genesi di Some/One: nei suoi primi tempi a Rhode Island, ancora nuovo del luogo e con scarsa conoscenza dell’inglese, gli accade di fare conoscenza con uno dei pochi coreani residenti in città, che gestiva un negozio di surplus militare. E’ questo singolare personaggio a procurargli le piastrine militari e la macchina per stampare su di esse i nomi; da questo, accompagnato da ricordi della recente esperienza del servizio militare, l’idea di Some/One, scointillante e sontuoso abito imperiale costruito però dal sacrificio di un’infinità di anonimi, rappresentati dalle piastrine militari che lo costituiscono e dilagano al suolo suggerendo una continuità senza fine.


Un’altra caratteristica meditazione dell’artista riguarda il tema della casa: mentre si trovava nel letto della sua camera da studente negli Stati Uniti, assordato dai rumori inconsueti della strada e dalle voci non familiari, l’artista si è ritrovato a pensare alla sua casa in Corea, e ha concepito queste strutture evanescenti, sospese al soffitto, soffici eppure complete di tutti i dettagli.
Ancora su art:21, un’altra intervista chiarisce questo secondo versante delle meditazioni dell’artista:

http://www.pbs.org/art21/artists/suh/clip1.html


*4. Seoul Home/L.A. Home/New York Home/Baltimore Home/London Home/Seattle Home,1999
Seta, 3,78 x 6,96 x 6,96 m
Los Angeles, Museum of Contemporary Art





b) Patricia Piccinini







Patricia Piccinini, www.patriciapiccinini.net, nata nel 1965 in Sierra Leone da famiglia di origine italiana, vive dal 1972 a Melbourne. Al padiglione australiano alla 50.a Biennale di Venezia, 2003, ha presentato la mostra We are family, immaginario ambiente domestico di un futuro prossimo dove cloni e mutanti coabitano con un’umanita’ che li accetta, con nostra sorpresa, senza le angosce che contraddistinguono l’attuale dibattito sull’ingegneria genetica e la bioetica. Nella messa in scena simbolica di We are family, questi mostri che spaventano e disgustano gli adulti sono invece accettati con curiosita’ e affetto dai bambini, con la loro caratteristica mancanza di preclusioni verso il nuovo.

*1. Composizione con cellule staminali, 2002. Silicone, acrilico, capelli umani.

*2. The young family, 2002. Silicone, acrilico, capelli, cuoio, legno.



Gran parte del lavoro della Piccinini si impernia sul rapporto dell’umanita’ contemporanea col nuovo, un nuovo che spesso crea angoscia ed e’ invece visto dall’artista con simpatia e ironia affettuosa, senza satira moralistica e senza catastrofismo.
Alcuni lavori prendono in considerazione situazioni limite create dalla tecnologia e dalla scienza nella civilta’ presente, che non hanno alcun paragone possibile nel passato e con cui di conseguenza dobbiamo inventare di volta in volta il nostro modo di rapportarci.

Il sex-appeal dell’inorganico e lo strano rapporto affettivo che lega l’uomo alle macchine caratterizzano ad esempio i progetti Truck babies (“Cuccioli dei camion”), Car nuggets (‘Pepite di automobili”), e Sheen (“Lucentezza”).


*3. Patricia Piccinini, Truck Babies (“Cuccioli dei camion”), 1999.
Fibra di vetro, pittura da automobili, parti elettriche, 2 pezzi, ciascuno 120 x 184 x 88 cm.

4., 5. Patricia Piccinini, Big Sisters, Serie di video.

*6. , 7. Patricia Piccinini, Car nuggets, fibra di vetro e pittura da automobili, ca cm 100 x 100.

Siren Mole (“Talpa sirena”) e’ invece un animale inesistente, che grazie all’animazione digitale diventa una scultura tridimensionale, dotata di movimento. Vedendolo in un filmato girato in uno zoo, del tutto simile ai documentari di divulgazione scientifica della televisione, ci rendiamo conto di quanto siano labili i rapporti tra finzione realta’ nel nostro mondo mediatico.

*8. Siren Mole: Excellocephala Parthenopa, 2000, scultura animatronics, ca. cm 100 x 100.

Animatronics:
http://video.google.it/videosearch?hl=it&q=animatronics&um=1&ie=UTF-8&ei=AiGsScCiMY6c1QXl_MC1Ag&sa=X&oi=video_result_group&resnum=4&ct=title

Piu’ che nelle singole opere, il senso delle “sculture” della Piccinini si manifesta nei progetti di cui esse fanno parte, complessi comprendenti fotografie, sculture, installazioni, e video, dove diviene meglio evidente il suo rapporto col mondo dei videogiochi, del cinema d’animazione, dei centri commerciali e dei parchi tematici, e piu’ in generale con le iconografie create dal mondo della comunicazione di massa, dalla pubblicita’ ai cartoni animati al film alla divulgazione scientifica.
Quasi senza eccezione, i lavori della Piccinini sono opere non autografe nel senso tradizionale del termine, poiche’ alla loro esecuzione hanno contribuito tecnici dei sistemi digitali, degli animatronics e degli effetti speciali, o artigiani specializzati di ambiti extraartistici (ad esempio, verniciatori di carrozzerie di auto e moto).

9. Nest (2006), edition 2/3.
Fibreglass, automotive paint, cycle parts. 90x150x170cm
Image 1 of 4

10. Thicker Than Water (2007), edition 2/6.
Fibreglass, automotive paint. 70x45x58cm

11. The Stags (2008), edition 1/3.
Fibreglass, automotive paint, cycle parts. 224x167x196cm
Image 2 of 3










Bibliografia

Oltre ai siti già citati nel testo, vedere

Su Do_Ho Suh:
www.lehmannmaupin.com
http://www.duetart.com/dentro/artists/artists%20ita/Suh%20ita.html


Su Patricia Piccinini:

Rachel Kent, Call of the Wild/Patricia Piccinini (cat. della mostra), Sydney, Museum of Contemporary Art, 2002
Linda Michael, Christine Wertheim, Margaret Wertheim, We are Family (cat della personale nel Padiglione Australiano alla 50.ma Biennale di Venezia, 2003).

TRIENNIO 6. Tord Boontje e il taglio al laser

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Triennio
Docente: Gloria Vallese








Tord Boontje, artista/designer, nasce nel 1968 a Enschede, Paesi Bassi. In un primo tempo, studia design industriale presso la Design Academy di Eindhoven (1986-1991); ottiene poi una laurea al Royal College of Art di Londra (1992-1994).

Nel 1996, fonda il suo studio di design Tord Boontje
http://www.tordboontje.com/

I primi progetti di design, alquanto austeri, sono basati su un concetto di riciclaggio e riuso:



*1. Tord Boontje ed Emma Waffenden, TranSglass project, 1997



Serie di oggetti in vetro realizzati con bottiglie riciclate.



2. Tord Boontje, Rough-and-Ready, 1998

Progetti per mobili da realizzare con materiai riciclati



Nel 2000, il lavoro di Boontje ha una svolta verso un concetto “affabile” di decorazione e piacevolezza, in dichiarata connessione con la nascita della figlia Emma. Crea allora oggetti che segnano una svolta nel design contemporaneo, in netta contrapposizione rispetto al minimalismo che aveva imperato fino a quel momento.
“Per me”, dichiara Boontje ”la tecnologia è un mezzo per creare nuove espressioni. Mi piacciono molto gli oggetti del XVII, XVIII e XIX secolo per la loro sensuale ricchezzaa decorativa, che un tempo era però ottenuta a prezzo di un’alta quantità di lavoro artigianale umano. I nuovi processi industriali permettono di ricreare lo stesso effetto. Oggi io posso disegnare qualcosa col mio computer, mandare direttamente il file alle macchine e realizzare l’oggetto. L’idea modernista di ridurre al massimo l’oggetto per renderne possibili tirature più alte decade, a fronte delle nuove possibilità offerte dalla tecnologia”

(Intervista a Tord Boontje nel sito del Design Museum di Londra:
http://www.designmuseum.org/design/tord-boontje )


*3. Tord Boontje, Wednesday light, 2000
Acciaio inossidabile.



Simbolo del nuovo corso nell’attività di Boontje è il suo progetto forse più famoso, la Wednesday Light, in origine prodotta artigianalmente, poi divenuta, grazia all’ausilio delle nuove tecnologie, un oggetto a larga tiratira prodotto per i magazzini Habitat.
La versione Habitat della Wedneday light è in ottone placcato nickel, anziché in acciaio inossidabile come la versione originale; forme più grandi hanno permesso una maggiore varietà di forme floreali.


4. Tord Boontje, Garland Light , 2002 (progetto per Habitat).
Metallo inciso



5. Tord Boontje, Inflorescence, progetto di software, 2002.


Il progetto Inflorescence è un software che permette di realizzare motivi floreali e tradurli in stampa, incisione, ricamo, stereo-litografia, passando direttamente dal disegno al computer all’oggetto finito. Inflorescence disegna i motivi floreali in modo random, diversi ad ogni sessione. Inoltre dimentica ciò che ha fatto in precedenza. Usa inoltre un metodo basato su nodi per creare suoni: una macchina sonora che disegna fiori.
Al progetto Inflorescence hanno collaborato l’artista digitale Andrew Schoben di Grey World, e il programmatore Andrew Allenson.
Il progetto è stato finanziato da una borsa di studio per sperimentazione (Testing Ground) del London Crafts Board e del British Council.

Le nuove tecnologie permettono a Boontje di sperimentare nuove possibilità di vecchi materiali, ad esempio, la carta tyvek, materiale robusto e impermeabile usato per buste da spedizione e numerose altre applicazioni industriali

http://en.wikipedia.org/wiki/Tyvek :




*6. Midsummer Light, 2004
Carta tyvek tagliata al laser


http://www.gnr8.biz/product_info.php?products_id=141


Progetti per spazi pubblici:



Boontje estende ai recenti progetti di illuminazione urbana i caratteri di festosità e incanto romantico che caratterizzano il suo lavoro di designer dopo il 2000:






7. Progetto per la Moschea di Abu Dhabi, 2003


8. Keane Street, 2004


9. Bright Nights, Union Square Park, progetto multimediale, dicembre 2006.



Nel 2009, Tord Boontje è stato nominato professore e capo del dipartimento di Design Products al Royal College of Arts di Londra, uno dei più rispettati e autorevoli dipartimenti di design nel mondo . Boontje è il succesosre in questo ruolo di Ron Arad, uno dei nomi più noti del design contemporaneo.
Per alcuni suoi progetti recenti, Lace in Translation e Digital Memories, si veda la sezione news del sito dell’artista/designer.






Bibliografia:

http://www.tordboontje.com/


http://www.designboom.com/eng/interview/boontje.html


http://www.dorkmag.com/archives/2006/04/artist_design_m.html


http://www.dooyoo.co.uk/house-misc/tord-boontje-garland-light/1050895/#rev


Francesca Picchi (a cura di), Textile design/3 – Boontje, the embroiderer
A digital version of brocades and damasks by Tord Boontje.Photography by Casper Sejersen, “DOMUS” , 885, ottobre 2005

6.ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA

Accademia di Belle Arti in Venezia
CORSO DI DIPLOMA DI 2° LIVELLO IN : GRAFICA
A.A. 2009-10
Docente: Gloria Vallese





Klibansky, Panofsky, Saxl: la dottrina dei quattro umori, e l’interpretazione della Melencolia I di Dürer





*1. Dürer, Melencolia I, incisione, 1514.


Melencolia I (1514), forse l'opera più nota dell'artista, è una rappresentazione allegorica dai complessi richiami alchemici, ermetici e astrologici. La figura del genio alato con la testa che riposa sulla mano e l’epressione corrucciata allude alla condizione dell'artista, afflitto da "umor malinconico".
Considerata nel Medioevo una condizione senz’altro negativa, connessa al peccato capitale dell’Accidia, nel Rinascimento la melanconia era stata rivalutata e considerata caratteristica del genio, cui conferiva l’impulso a pensieri innovativi e ardimentosi, pur ostacolandone poi in qualche modo il concretamento. Si riteneva infatti che l’umore melanconico esaltasse da un lato le facoltà intellettuali, tendendo però dall’altro a inibire l’impulso all’azione pratica. La figura alata dureriana, frustrata nel suo impulso all’agire, è immersa in uno spazio colmo di oggetti e strumenti, ognuno dei quali si trasforma in un simbolo dai molteplici significati allusivi.

Un fondamentale chiarimento ai contenuti iconologici delle tre più note incisioni di Dürer, in particolare della Melencolia I, è venuto da Raymond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, con l’opera Saturno e la melanconia / Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it. Torino, Einaudi, 1983.

Questo libro è in effetti divenuto un classico obbligato, non solo per chi si occupa di Dürer e più in generale di iconografia rinascimentale, ma anche come esempio del metodo iconologico. Nata come interpretazione dell’incisione dureriana della Melencolia, l’opera si allargò fino a indagare tutta la tradizione medico-filosofica, letteraria e artistica che l’opera di Dürer presuppone.
Klibansky, Panofsky e Saxl individuano due tradizioni di studi sulla melanconia, una medico-scientifica ed un'altra teologico-metafisica; entrambe avrebbero la loro origine in un celebre passo del Fedro, in cui Platone distingue il «furore divino» dal «furore umano» e patologico. Nel corso del Medioevo, come si è già accennato, la melanconia era stata interpretata principalmente come accidia ed era entrata a far parte dei vizi capitali. A partire dalla metà del Cinquecento la melanconia diventa un soggetto importante, come dimostrano l'ampiezza e la trasversalità disciplinare dell'interesse che riscuote. Se proviamo, ad esempio, a scorrere alcuni dei nomi di coloro che scrissero sulla melanconia, vediamo come accanto a medici veri e propri con interessi clinici, abbiano larga parte anche umanisti, teologi e letterati.
I trattati che compaiono fino alla metà del Seicento hanno al centro la questione dell'origine della malattia (se si tratti cioè di un problema fisico o spirituale) e i problemi ad essa connessi, in primo luogo il rapporto tra malattia e peccato, tra umori del corpo e malefici diabolici, tra ragione e passioni. L’inglese Robert Burton nel 1621, nelle pagine di quella che sarebbe diventata la più celebre opera sulla melanconia, The Anatomy of Melancholy, pose fianco a fianco le due tradizioni, quella cioè che considerava la melanconia un disturbo clinico, con precise cause temperamentali e naturali, accanto all’altra, di tradizione più nettamente medievale, che vedeva nella melanconia una forma di possessione diabolica.
Secondo i tre autori, il titolo “Melencolia I” iscritto nel cartiglio sarebbe da riferire in particolare al trattato De Occulta Philosophia” dell’umanista tedesco Cornelio Agrippa di Nettesheim”, l’unico autore coevo a descrivere, sulla scorta delle indicazioni contenute nei trattati dell’italiano Marsilio Ficino, tre gradi della melanconia corrispondente ai tre livelli di una gerarchia ascendente delle facoltà della mente umana (Imaginatio, Ratio, Mens); la stampa di Durer “raffigurando la melancholia imaginativa, rappresenterebbe in realtà il primo grado di un’ascesi che, passando per una “melencolia II (melanchonia rationalis), arriverebbe a una Melencholia III (melancholia mentalis), pag. 328.

Illustrazioni relative ai quattro umori :

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 79, 88—9, 118, 124-27, 147-48

Accidia:

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 64, 95, 97, 98, 101

*2. Mestro tardogotico, Acedia.
Venezia, Palazzo Ducale

*3. Albrecht Dürer, Donna seduta, 1514. Disegno
Berlino, Kupferstichkabinett

4. Bosch, I Sette Peccati Capitali, ol./tav., 1490 ca., part.: L’accidia
Madrid, Prado

*5. Albrecht Dürer, Il sogno del dottore, incisione.

Collera:

6. Leonardo da Vinci, Foglio di studi per la battaglia di Anghiari, ca. 1503-4
Windsor, RL 12326 r

7. Autore ignoto, Bassorilievo di Scipione, ca. 1475
Parigi, Louvre

*8. Leonardo, Profilo di guerriero, ca 1475
Londra, British Museum


9.Leonardo, Testa d’uomo e testa di leone, ca. 1510 o successivo
Windsor, RL 12502

*10. Giuseppe Arcimboldi, Il Fuoco, 1566
Vienna, Kunsthistorisches Museum

*11. Albrecht Dürer, ‘L’uomo disperato’ (Incisione B 70), bulino



Terapia musicale della melanconia:

Klibansky, Panofsky, Saxl, figg. 63, 67, 71






Bibliografia

Generale:


Su Dürer e Venezia:

Bernard Ajkema e Beverly Louise Brown (a cura di), Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini , Dürer, Tiziano (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1999), Milano, Bompiani.

Erwin Panofsky, La vita e l’opera di Albrecht Dürer (1955), trad.it. Milano, Feltrinelli, 1983


Sull’iconografia delle incisioni di Dürer e e sul tema umanistico della melanconia:

Raymond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, Saturno e la melanconia/Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it Torino, Einaudi, 1983.


Sull’iconografia degli umori:

Raymond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, Saturno e la melanconia/Studi di storia della filosofia naturale, religione ed arte, ed. it Torino, Einaudi, 1983.

Gloria Vallese, Leonardo’s malinchonia, in Achademia Leonardi vinci, vol V, 1992, 44-51
Su Arcimboldi:

Su Giuseppe Arcimboldi:
AA. VV. Effetto Arcimboldo (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi, 1987), Milano, Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Etas Sonzogno, 1987

AA.VV, L’arcimboldese, FMR N°48, ,gennaio-febbraio 1987, 25-62