lunedì 11 aprile 2011

Triennio 6. Ron Mueck /Tony Oursler/AES + F

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese







a) Ron Mueck




http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/gallery/2005/12/29/GA2005122900888_index_frames.htm?startat=1



Lo scultore australiano Ron Mueck è noto per le sue inquietanti figure umane iperrealistiche maggiori o minori del naturale, ma per il resto complete fino ai peli e ai capelli. Mueck, abituato a lavorare da fotografie, racconta in una celebre intervista del 2003 a Sarah Tanguy di Sculpture Magazine del suo primo traumatico incontro con un modello vivente:

http://www.sculpture.org/documents/scmag03/jul_aug03/mueck/mueck.shtml

“Avevo abbozzato in creta la figura di un uomo rannicchiato sotto le coperte”, racconta Mueck. “Poi ho cercato un modello che gli rassomigliasse abbastanza, ne ho trovato uno, e l’ho convocato in studio per una sessione di tre ore. Ma è risultato che non riusciva a prendere la stessa posa della mia figuretta sotto le coperte: non riusciva a flettere gli arti fino a quel punto, e la pancia gli era d’impaccio. Io da parte mia non ero abituato ad avere nello studio un’altra persona con cui dovermi relazionare mentre lavoravo, in più lui era nudo e completamente rasato, dettaglio che trovavo estremamente disturbante. Pensavo: ‘Cosa me ne faccio di questo tizio nudo?’ Gli ho chiesto di sedere in un angolo mentre riflettevo. Lui ha provato a suggerire alcune pose che poteva fare per me, e mi ha mostrato tutte quelle ridicole pose classiche che piacciono ai modelli viventi, erano così fasulle e innaturali che ho pensato che non c’era assolutamente modo per me di lavorare con lui. Stavo raccogliendo il coraggio per dirgli di andarsene prima della fine delle tre ore, e gli ho gettato uno sguardo mentre sedeva nel suo angolo aspettando che mi decidessi. Non era così scostante come appare nella scultura finita, ma la posa era quella. ‘Mi piace’, ho pensato”.



*3. Ron Mueck, Untitled (Big Man), 2000, , cm 205.7 x 117.4 x 208.8
Resina acrilica colorata su fibra di vetro.
Londra, Galleria Anthony d’Offay


http://www.jamescohan.com/
http://video.google.it/videosearch?q=ron+mueck+video&hl=it&emb=0&aq=-1&oq=#
http://video.google.it/videosearch?q=ron+mueck+video&hl=it&emb=0&aq=-1&oq=#



*4. Mask II, 2000.
Resina acrilica colorata, fibra di vetro.
New York, James Cohan Gallery



5. Untitled (Seated woman), 1999.
Resina acrilica colorata, fibra di vetro, silicone, poliuretano, stoffa.
New York, James Cohan Gallery



*6. Mother and Child, 2001.
New York, James Cohan Gallery



Mueck è nato nel 1958 a Melbourne, Australia. I suoi genitori fabbricavano giocattoli. Ha lavorato per quindici anni per show di pupazzi alla televisione, passando quindi agli effetti speciali cinematografici. Il suo lavoro nel cimena include Labyrinth, un film epico-fantastico del 1986 con David Bowie.
Muek si è quindi stabilito a Londra aprendovi un proprio studio di fotografia pubblicitaria. Possiede tuttora numerose figure realizzate per quell’attività, che tuttavia hanno la caratteristica di essere complete solo dal lato dal quale devono essere fotografate. Pur ammettendo che alcune possiedono “una loro presenza”, Mueck ne conclude che la fotografia distrugge l’impatto fisico dell’oggetto originale, e decide di darsi alla scultura.
Nel 1996, in collaborazione con la suocera, l’artista Paula Rego, produce piccole figure come parte di un tableau in mostra presso la Hayward Gallery. Quando la Rego vede l'opera intitolata Pinocchio rimane colpita e lo presenta al collezionista Charles Saatchi, che, impressionato da subito, inizia a raccogliere e commissionare suoi lavori. Nel 1997 Mueck partecipa a Sensation , la mostra che ha portato alla ribalta la più recente generazione di artisti britannici, con l'opera Dead Dad. Nei tre anni successiva alla sua partecipazione a Sensation:

http://en.wikipedia.org/wiki/Sensation_exhibition

Mueck ha preso parte a mostre nelle maggiori gallerie di New York e in Germania, è stato selezionato per il London Millennium Dome e ha tenuto una personale alla Anthony D’Offay Gallery.

Fin dai primi anni ’90, ancora nei giorni della sua attività di pubblicitario, Mueck inizia a chiedersi quali materiali possano avere un vero effetto realistico. Si usava il lattice fino a quel momento, ma Mueck desiderava qualcosa di più inalterabile, più preciso. La risposta è stata la vetroresina, che vide per caso impiegata nella decorazione sul muro di una boutique, e che da allora è diventato il suo materiale di elezione.
Le sue opere partono generalmente da modelli in creta e poi colati in vetroresina o silicone, con dettagli come unghie capeli e peli applicati in seguito.

.


Una caratteristica delle opere di Mueck è che

riproducono fedelmente ogni reale e minuto dettaglio del corpo umano, ma, al tempo stesso,
giocano con la riproduzione in scala, creando effetti insoliti e stranianti.



L’artista crea dapprima modellini in creta per decidere la posa della figura, poi la realizza in varie dimensioni per decidere la scala. Il passo successivo è eseguire il modello in creta, da cui poi si ricava lo stampo per gettare la figura in vetroresina o silicone. Infine si dipingono i dettagli.
Attualmente Mueck crea le sue figure in silicone, ma, dal momento che questo materiale attira la polvere e lo sporco, spolvera lui stesso le sue figure con borotalco (“polvere amica”, come lui la definisce), il che lascia meno spazio alla “polvere ostile”.

( Da: http://www.artmolds.com/ali/halloffame/ron_muek.htm , con bibl.)


Sulla scala nelle figure di Mueck:
http://www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-museum-ron-mueck

Sulla tecnica:

http://www.nationalgallery.org.uk/exhibitions/past/mueck.htm
http://www.mentalfloss.com/blogs/archives/24338



*7. Untitled (Boy), 1999, silicone, poliuretano, fibra acrilica

Questa scultura, alta cinque metri, è stata al centro di un importante passaggio dell’artista alla Biennale di Venezia nel 2001.


http://www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-museum-ron-mueck http: //www.guardian.co.uk/artanddesign/video/2008/nov/19/statuephilia-british-mus

L’artista è stato recentemente stato incliso nella mostra Statuephilia: Contemporary sculptors at the British Museum (Opere di Damien Hirst, Antony Gormley, Ron Mueck, Marc Quinn e Noble and Webster), 4 Ott. 2008 – 25 gen 2009 (vedere link in bibliografia).

Ron Mueck 2011:

http://christchurchartgallery.org.nz/exhibitions/ron-mueck/



b) Tony Oursler


L'artista americano Tony Oursler è nato nel 1957 a New York.

Il lavoro di Tony Oursler separa la proiezione dallo schermo, supporto tradizionale. Proiettati su oggetti, strutture o forme ovoidali, i video di Tony Oursler prendono un carattere ibrido, divertente e inquietante al tempo stesso.

Tony Oursler ha studiato presso il California Institute of the Arts 1976-1979. I suoi professori sono Michael Asher, John Baldessari e Kaare Rafoss.

Oursler, che proviene da un famiglia letteraria, manifesta un precoce interesse per le arti visive, la letteratura e la musica. È al California Institute of Arts che crea il suo primo video e fa la conoscenza di Mike Kelley, con il quale ha creato nel 1977 il gruppo The Poetics, gruppo punk-rock sperimentale sciolto nel 1983.

A partire dall'anno 1977, integra le sue installazioni in video figurativo e narrativo. E’ 'particolarmente noto per le sue installazioni che pongono lo spettatore di fronte a strani personaggi dal volto proiettato a mezzo video . Intrappolato in posizioni particolari, sotto un divano, sotto una sedia o sotto un materasso, il personaggio chiede aiuto o guardano lo spettatore.

http://en.wikipedia.org/wiki/Tony_Oursler



*8.Tony Oursler, MMPI (Self Portrait in Yellow), 1996, installazione audio-video. con videoproiettore, VCR, videotape, pupazzo in stoffa, sedia pieghevole in metallo
Milwaukee Art Museum

http://collection.mam.org/details.php?id=7903
http://www.youtube.com/watch?v=zzsg3mySJ5s&feature=related

La meditazione di Oursler prende avvio dal disagio psichico dell’adolescente, così come è espresso in The Loner, 1980, che rappresenta lo stile degli esordi dell’artista.

Frammento di The Loner:

*9. http://www.youtube.com/watch?v=MzrU1CqBob0

Intervista a Tony Oursler (2002):
http://www.youtube.com/watch?v=p-s4xzB5D2Q


Bibliografia

Vedere nel sito dell’artista schede dei musei e gallerie che hanno Oursler nelle loro collezioni (in fondo alla home page)


http://www.tonyoursler.com/individual_work_slideshow.php?navItem=work&workId=8&startDateStr=Feb.%206,%202010&subSection=Installations&allTextFlg=false&title=Number%207,%20Plus%20or%20Minus%202



c) AES +F




Fondato nel 1987, il gruppo AES (dalle iniziali dei tre artisti di Mosca Tatiana Arzamasova, Lev Evzovich, Evgeny Svyatsky ) raggiunge un primo stadio di celebrità internazionale con

The Islamic project (1996-2003): una serie sardonica di fotomontaggi che mostrava le grandi capitali trasformate da un ipotetico dominio mussulmano del mondo (la Statua della libertà col volto coperto dal velo, l’interno della cattedrale di Colonia denudato e islamizzato, il Museo Gehry di Bilbao arricchito di cupole e minareti; vedere la serie completa nel sito http://www.aes-group.org/).
Quest’opera e l’installazione connessa (una finta agenzia di viaggi, con poster, dépliants e gadget creati dal gruppo, che offriva ai visitatori di trasportarli in questi rinnovati luoghi del mondo), proietta decisamente AES oltre i confini nazionali: in vari paesi europei, negli USA, in Corea del Sud, e viene largamente ripresa dai media, anche non specializzati.


Lo stile di AES si trasforma considerevolmente con l’ingresso nel gruppo del fotografo di moda Vladimir Fridkes, nel 1995. L’ironia visuale si fa allora più insinuante, più complessa, e fanno la loro comparsa i giovanissimi, inquietanti fotomodelli che ad oggi caratterizzano gran parte dell’opera di quello che è nel frattempo divenuto AES+F .
Lavorando in collaborazione, i quattro creano un progetto, lo articolano, decidono con quali mezzi metterlo in atto: fotografia, video, installazione, o una combinazione di tutti questi media.
Ne Le roi des Aulnes (“Il re della foresta”), primo capitolo di un progetto video e fotografico in quattro parti, la storia base è un racconto dell’antico folklore europeo, in cui un misterioso tiranno rapisce i bambini più belli e dotati per tenerli rinchiusi nel suo castello. Il “re” di oggi, nella metaforica interpretazione del gruppo, è il mondo delle comunicazoni di massa, che punta su esseri umani sempre più giovani e belli e li fagocita sottraendoli a una vita normale. Per Le roi des Aulnes (il titolo in francese è in omaggio a un romanzo di Michael Tournier che elabora lo stesso mito) , il set è stato posto nel palazzo di Caterina II a Tsarkoye Selo (San Pietroburgo). In questo salone ornato di specchi e stucchi che la Rivoluzione russa considerava emblema di lusso e depravazione, sono ripresi e fotografati più di un centinaio di bambini, allievi di scuole di balletto e di atletica, oppure inviati da agenzie di modelli, tutti di età compresa fra i 3,5 e gli 11 anni. Un’atmosfera di erotismo morboso emana da questa raccolta di giovani corpi, che possono ricordare gli scatti classici di Vanessa Beecroft tranne che per un dettaglio: a questi ragazzini non è stato chiesto di posare in nessun modo particolare, posti davanti all’obiettivo, assicurano gli AES+F, si sono comportati spontaneamente come esperte star dei media.

Action Half Life (2003-2005) tocca un altro dei temi favoriti dal gruppo, la guerra: la guerra come spettacolo, proposta incessantemente dai media sia come cronaca che come fiction, nonché soggetto dell’immenso, accattivante, sempre più coinvolgente mondo dei videogiochi per bambini e adulti.

Il titolo stesso, Action Half Life, è il nome di un vero videogioco da computer. I bambini fotomodelli posano in inquietanti immagini, che evocano iconograficamente grandi poster di pubblicità di abbigliamento alla Benetton o Calvin Klein; brandiscono avveniristiche armi immaginarie (anch’esse copiate dai videogiochi) fra le sabbie del deserto del Sinai, sfondo di una guerra molto reale e apparentemente senza fine. L’ombra di tragedie vere, come quelle dei bambini soldato, si carica di ulteriore malessere in questa riedizione da poster di moda, impersonata da ragazzini levigati, pettinati e ben nutriti, che performano gli atti atroci dell’aggressione e dell’attacco mortale con volti inespressivi e indifferenti, oppure raggelati in esagerate espressioni di rabbia e angoscia come nella pittura classica.

Last Riot, presentato nel 2007 alla Biennale, ha contribuito al definitivo balzo del gruppo russo verso la celebrità mondiale. E' un video proiettato a loop su tre schermi giganti posti a semicerchio, un ideale trittico che ha come potente sottofondo sonoro La Walkiria di Wagner, forse la musica più intrisa di epica e mito che mai sia stata scritta. In primo piano il tema della guerra, raccontato da un’animazione in 3D che preleva, decontestualizzadoli e riassemblandoli in un surreale insieme astratto, paesaggi e figure dei videogiochi e di altri materiali visivi più inconsueti, per esempio quegli affascinanti filmati semiastratti, vagamente trionfalistici ma dal significato in definitiva oscuro, da cui le grandi case cinematografiche americane fanno precedere il loro film: pensate alle sigle della Columbia o della Metro Goldwin Meyer, per esempio. Montagne inaccessibili, voli di aquile, ma anche lanci di razzi, aerei in volo, lucertole preistoriche, un treno che lentamente si disarticola cadendo da un viadotto, nei vividi colori e nell’incerta spazialità dell’animazione 3D, danno vita a una guerra/sequenza di catastrofi ricca di eventi anche se volutamente priva di trama, ridotta a visualità pura. Le sequenze animate sono interrotte da inserti filmici (lunghi per la verità, e forse a tratti un po’ ripetitivi) in cui i giovani fotomodelli di Friedkes, questa volta tutti adolescenti e più Narcisi che mai, recitano le loro scene di guerra, morbose e sensuali nella descrizione ravvicinata di lame lungamente fatte scivolare vicino a gole palpitanti, in uno snervante rallentatore. Forse in questo film le due anime di AES+F, il terzetto di ideologi artisti e l’esasperato fotografo Friedkes, si mostrano meno fuse insieme del solito, almeno formalmente. Ma questo nulla toglie al profondo fascino inquietante di questo mondo audio-visuale, che conquista per la sua originalità e fa pensare.


AES+F al Macro Future/Padiglione di Roma
Dal 15 febbraio al 17 aprile 2008
Dopo il notevole successo ottenuto nel 2007 alla 52.a Biennale di Venezia con la presentazione di The Last Riot al padiglione russo, è questa la prima personale del gruppo in un museo italiano. Attraverso video, fotografie e sculture, la mostra ripercorre l’attività di AES+F nell’ultimo decennio (1997-2007), con particolare riferimento alla riflessione sui bambini e il loro rapporto col mondo mass media nella vita contemporanea. E’ firmata da una curatrice d’eccezione, la poliedrica Olga Sviblova, fondatrice nel 1996 di quello che è divenuto oggi il principale festival russo di fotografia e del connesso museo (la Moscow House of Photography), e direttrice del Multimedia Art Center (MAC) di Mosca.




*10. AES +F, The Islamic Project, 1996-2003

http://www.aes-group.org/ip3.asp


*11. AES +F , Last Riot, 2005-2007
http://www.aes-group.org/last_riot.asp

http://www.youtube.com/watch?v=g7TbvFyabrg



*12. AES +F, The Feast of Trimalchio, 2009
http://www.aes-group.org/tfot.asp
Screening of the video "The Feast of Trimalchio" by AES+F during the opening of 53rd Venice Biennale (10 min)
http://www.youtube.com/watch?v=8rDt3LKObuA&feature=related


AES +F 2011
http://www.vogue.it/en/people-are-talking-about/art-photo-design/2011/03/allegoria-sacra-aes-f



Bibliografia


Vedere le opere ei link citati nel testo

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