sabato 11 maggio 2013

TRIENNIO Äda'web, Net Art, artisti delle videocamere di sicurezza


a)  Net Art: Antonio Muntadas, Jenny Holzer, Shilpa Gupta




Nata nel 1994 dall'iniziativa di un imprenditore (John Borthwick) e di un giovane curatore (Benjamin Weil), Äda'web si è assunta il difficile compito di mediare tra i due mondi quello dell’arte e della tecnologia, e l'ha fatto attirando in rete artisti il cui lavoro si era già conquistato un ruolo nella storia dell'arte contemporanea, come Jenny Holzer e Antonio Muntadas. In questo modo, ha accelerato i tempi di un riconoscimento istituzionale della net art.
Il valore del lavoro svolto da Äda'web è stato sancito dal fatto che, al momento della sua chiusura, il progetto ha fatto il suo ingresso nelle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis. 


Nel 2003, per una serie di motivi molto diversi (l'indebolirsi del mito della rete nel mondo dell'arte, la crisi economica mondiale, forse una persistente sottovalutazione del settore new media), molti musei americani hanno ridotto al minimo il loro impegno in questo settore:

“fino al caso clamoroso del Walker Art Center, che ha interrotto le attività della Gallery 9, licenziando in tronco Steve Dietz, curatore della sezione new media e promotore di quella straordinaria fase che ha avuto nell'acquisizione di Äda'web il suo momento centrale. E questo senza che altre istituzioni intervenissero a raccoglierne il testimone”.

(Domenico Quaranta, NET ART 1994 - 1998. La vicenda di Äda'web, Vita & Pensiero, collana "Strumenti", Milano, marzo 2004).

http://www.domenicoquaranta.net/thebook.html

I motivi per cui la Net Art non ha mai veramente decollato e l’interesse dei musei e delle grandi rassegne sembra decrescere anziché aumentare, possono essere diversi. Le gallerie, da sempre più interessate ad opere fisicamente presenti, numerabili e commerciabili, non sembrano molto coinvolte da questo settore. Il pubblico, dal canto suo, frequenta la rete in modo sempre più entusiastico, sia per lavoro che per divertimento (basti pensare al’immenso fatturato dell’industria dei videogiochi online, o al fenomeno dei siti sociali).
A fronte del dilagare dei questi fenomeni, la "net art" in senso strettamente museale sembra obiettivamente in uno stato singolare di declino o di assenza.

Il New Museum di New York, istituito per essere il museo del contemporaneo presente, la documentazione dell'arte attuale mentre si fa, ha recentemente cercato di colmare questa lacuna istituendo un settore specializzato, che raccoglie fra l'altro, con l'intento di svilupparla, l'eredità di rhizome.org, net magazine artistico statunitense degli anni '80.

Vedere il link nel sito del New Museum:
http://rhizome.org/
http://www.newmuseum.org/



Tramite gli archivi di Äda'web, avviciniamo ora alcune opere di net art, per renderci conto meglio delle potenzialità (e degli eventuali limiti) del mezzo.


*1. Jenny Holzer, Please Change Beliefs, progetto di net art, 1995
http://adaweb.walkerart.org/project/holzer/cgi/pcb.cgi


Tra gli artisti di Net Art, Antonio Muntadas (Barcellona 1942) è l’unico che ha “bucato” il ghetto degli spazi riservati e delle manifestazioni specializzate per entrare nel circolo delle grandi manifestazioni d’arte come la Biennale di Venezia e Documenta. La sua notorietà si lega in particolare a due opere: The File Room, database online dedicato alla censura nel mondo, e On Translation, complesso progetto che esamina problemi e limiti della comunicazione umana, fra nuove tecnologie e limiti dei vecchi linguaggi.



2. Antonio Muntadas, The Board Room, 1987, installazione.


*3. Antonio Muntadas, Words: The Press Conference Room, installazione, 1991

*4. Antonio Muntadas, The File Room, progetto di net art, 1994-95
http://www.thefileroom.org/

*5. Antonio Muntadas, On translation, ciclo di installazioni e progetto di net art, 1996-2006
http://adaweb.walkerart.org/influx/muntadas/



Un esauriente resoconto in lingua italiana della sua carriera è offerto dallo stesso Muntadas in questa intervista:

http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/Pinto/muntadas.htm

Una monografica di Antonio Muntadas dal titolo Protocolli veneziani si terrà presso la Galleria Michela Rizzo dal 29 maggio al 31 agosto 2013. www.galleriamichelarizzo.net




*6. Shilpa Gupta, Blessed Bandwidth, 2001

http://www.blessed-bandwidth.net/
http://shilpagupta.com


Caratteristica opera di net art, propone provocatoriamente un progetto di “benedizione a banda larga” che l’utente/fedele può ricevere, dal clero di una confessione prescelta, attraverso internet. Gli aspetti ironici del progetto, fra cui l’idea di una intercambiabilità fra le diverse confessioni (suggerita fra l’altro da un menu a discesa e da una struttura generale simile a quella dei siti commerciali), si oppongono all’idea delle religioni armate, prive di ironia e pronte a uccidere, che sono un caratteristico fenomeno del mondo contemporaneo (evocate nell’opera della Gupta da figure in tuta mimetica simile a un saio monastico con cappuccio, che affiorano a tratti muovendo il mouse sulle immagini) .

L’idea di una benedizione “a banda larga”, di cui l’artista offre di provare la validità documentando i suoi contatti col clero delle diverse confessioni nell’ambito della realizzazione del progetto, pone in conflitto due aspetti del mondo contemporaneo: la comunicazione a distanza (con relative posssibili mistificazioni) offerte dalla tecnologia, e il persistere di tradizioni ataviche presenti in molti rituali religiosi.




b) Videocamere di sicurezza: Julia Scher, Jonas Dahlberg, Ann-Sofi Sidén



7. Julia Scher, Security Land, 1995




Con le sue opere basate sulla videocamere di sicurezza, Julia Scher ha contribuito a lanciare un filone in seguito abbracciato da diversi artisti, fra cui Jonas Dahlberg e Ann-Sofi Siden.
Dopo aver realizzato le sue prime opere interagendo con le videocamere di sorveglianza situate nel college universitario nel quale studiava, la Scher è diventata animatrice dei Surveillance Camera Players, un collettivo che dal 1996 interagisce con le videocamere di sorveglianza collocate negli spazi pubblici.

Sul suo coinvolgimento nell’ambito della net art, vedere l’intervista:
http://rhizome.org/discuss/view/29746/#2772



Lo svedese Jonas Dahlberg è soprattutto noto per due opere video create realizzando modellini architettonici entro i queli una videocamenra viene succesivamente fatta scorrere su binari.
Il risultato è estremamente suggestivo: l’occhio della telecamera scorre con una regolarità innaturale attraverso una sequenza di stanze vuote, simili in apparenza ai corridoi deserti di un albergo, con un effetto che è estremamente ricco di suspense, vagamente associabile, attraverso il bianco e nero, a scene e atmosfere di vecchi film.



*8. Jonas Dahlberg, Horizontal Sliding, 2000, videoinstallazione


9. Jonas Dahlberg, Vertical Sliding, 

2001.
Opera presentata fra l’altro alla Biennale di Venezia nel 2003.


Nell’opera:


*10. Safe Zones N°9, 2004

l’intervento consisteva nell’apparente collocazione di videocamere di sorveglianza nei bagni, che realtà sono soltanto riprodotti in modellini e poi filmati; l’operazione mira a far riflettere sulle nostre attese riguardo alle videocamere di sorveglianza e sulle nostre sensazioni riguardo all’essere osservati/spiati.


http://www.jonasdahlberg.com/


Nel seguente link si trova un profilo di Ann-Sofi Sidén, una delle maggiori artiste svedesi contemporanee, il cui lavoro si focalizza sulla donna, spesso con l’uso di videocamere di sicurezza:

http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/cgi-bin/undo/magazines/magazines.pl%3Fid%3D951344786%26riv%3Dflashita%26home%3D


11. Ann-Sofi Sidén, Who Told the Chambermaid?, videoinstallazione, 1998

Monitor di sorveglianza sono allineati su mensole, accanto a lenzuola e asciugami.
Nei video scorrono immagini degli 
interni di un albergo: clienti che attraversano la hall, una donna a letto, due uomini che si incontrano in sala riunioni

12. Ann-Sofi Sidén, 
QM, I Think I Call Her QM, film a 35 mm, 1997

Basato su una vicenda reale, parla di una psichiatra schizofrenica che scopre sotto il proprio letto, nella sua casa new yorkese, il corpo di una donna coperta di fango. In realtà, la misteriosa figura sotto il letto è un alter ego della psichiatra stessa.
Il film ci mostra le indagini della dottoressa che cerca di scoprire l'origine e la natura della misteriosa creatura, da lei battezzata Queen of Mud, regina del fango, in un intreccio che spazia dal genere poliziesco al thriller.

Codex (1993), si basa su informazioni d'archivio sulle donne svedesi punite e condannate tra il medioevo e il XIX secolo. Le fotografia rimettono in scena le punizioni, con un eloquio che cita lo stile nitido e oggettivo di Vermeer

13. Ann-Sofi Sidén, Codex, installazione,  1993
 http://www.christinekoeniggalerie.com/artist_details/items/siden.40.html

14. Wart Mal!, videoinstallazione.

Ambientata nella piccola città di Dubi sul confine tra Germania e Repubblica Ceca: combinando proiezioni e interviste, assemblate in un collage di materiali grezzi 
come gli schizzi per un story board o una sceneggiatura, Ann-Sofi Sidén scrive il diario di un viaggio in un microcosmo popolato da prostitute, protettori e clienti che affollano le strade, gli alberghi e i bar.

Wart Mal! ("Aspetta un 
attimo"), ripete le voci ai bordi delle strade e nei locali ambigui, creando nel contempo un richiamo alla catena di ipermercati economici americani WallMart. Un richiamo di seduzione, ma anche un invito rivolto agli spettatori, come a pretendere più attenzione nei confronti di un mondo ignorato.


Bibliografia

Si vedano i link indicati nelle singole sezioni

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