sabato 10 aprile 2010

BIENNIO 6. Do Ho Suh, immagini dell’io e della moltitudine/Patricia Piccinini e il sex-appeal dell’inorganico

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese









a) Do-Ho Suh

Do-Ho Suh nasce a Seoul, in Corea, nel 1962. Dopo aver studiato pittura alla Seoul National University ed aver prestato servizio nell'esercito sudcoreano, si trasferisce negli Stati Uniti dove continua gli studi alla Rhode Island School of Design e alla Yale University. 
Ha rappresentato la Corea alla Biennale di Venezia del 2001. 
Attualmente vive a New York.
Una retrospettiva del suo lavoro è stata presentata al Seattle Art Museum e al Seattle Asian art Museum nel 2002. Importanti rassegne sull’artista si sono tenute al Whitney Museum of American Art (2001), alla Sepentine Gallery di Londra (2002).

Particolamente importante per la carriere dell’artista il passaggio alla Biennale di Venezia, nel 2001, dove era presente sia come artista del padiglione coreano che nella rassegna internazionale al Padiglione Italia dei Giardini.
In quell’occasione l’artista ha presentato un gruppo di opere che hanno contribuito a definire le caratteristiche del suo stile, molto originale:

*1. Do Ho Suh, Some/One, 1998.
Piastrine militari in acciaio inossidabile, fogli di rame nichelato, vetroresina, struttura in acciaio inossidabile. Dimensioni variabili.


*2. Floor 1997-2000.
Figurine in PVC, lastre di vetro, resina in poliuretano, dimensioni variabili (moduli di 100 x 100 x 8 cm)


*3. Who am we? (Multi), 2000
Carta da parati: stampa offset a 4 colori, fogli ciascuno 61 x 91,4 cm. Dimensioni variabili.



Tutte queste opere, molto originali, s’imperniano sul senso del rapporto fra il singolo individuo e l’organizzazione sociale che lo ingloba facendo di lui una microscopica pedina, togliendogli individualità e singolarità fino a livellarlo e a renderlo indistinguibile dal gruppo.


Nell’importante intervista pubblicata su art: 21

http://www.pbs.org/art21/artists/suh/clip2.html

Do Ho Suh spiega la genesi di Some/One: nei suoi primi tempi a Rhode Island, ancora nuovo del luogo e con scarsa conoscenza dell’inglese, gli accade di fare conoscenza con uno dei pochi coreani residenti in città, che gestiva un negozio di surplus militare. E’ questo singolare personaggio a procurargli le piastrine militari e la macchina per stampare su di esse i nomi; da questo, accompagnato da ricordi della recente esperienza del servizio militare, l’idea di Some/One, scointillante e sontuoso abito imperiale costruito però dal sacrificio di un’infinità di anonimi, rappresentati dalle piastrine militari che lo costituiscono e dilagano al suolo suggerendo una continuità senza fine.


Un’altra caratteristica meditazione dell’artista riguarda il tema della casa: mentre si trovava nel letto della sua camera da studente negli Stati Uniti, assordato dai rumori inconsueti della strada e dalle voci non familiari, l’artista si è ritrovato a pensare alla sua casa in Corea, e ha concepito queste strutture evanescenti, sospese al soffitto, soffici eppure complete di tutti i dettagli.
Ancora su art:21, un’altra intervista chiarisce questo secondo versante delle meditazioni dell’artista:

http://www.pbs.org/art21/artists/suh/clip1.html


*4. Seoul Home/L.A. Home/New York Home/Baltimore Home/London Home/Seattle Home,1999
Seta, 3,78 x 6,96 x 6,96 m
Los Angeles, Museum of Contemporary Art





b) Patricia Piccinini







Patricia Piccinini, www.patriciapiccinini.net, nata nel 1965 in Sierra Leone da famiglia di origine italiana, vive dal 1972 a Melbourne. Al padiglione australiano alla 50.a Biennale di Venezia, 2003, ha presentato la mostra We are family, immaginario ambiente domestico di un futuro prossimo dove cloni e mutanti coabitano con un’umanita’ che li accetta, con nostra sorpresa, senza le angosce che contraddistinguono l’attuale dibattito sull’ingegneria genetica e la bioetica. Nella messa in scena simbolica di We are family, questi mostri che spaventano e disgustano gli adulti sono invece accettati con curiosita’ e affetto dai bambini, con la loro caratteristica mancanza di preclusioni verso il nuovo.

*1. Composizione con cellule staminali, 2002. Silicone, acrilico, capelli umani.

*2. The young family, 2002. Silicone, acrilico, capelli, cuoio, legno.



Gran parte del lavoro della Piccinini si impernia sul rapporto dell’umanita’ contemporanea col nuovo, un nuovo che spesso crea angoscia ed e’ invece visto dall’artista con simpatia e ironia affettuosa, senza satira moralistica e senza catastrofismo.
Alcuni lavori prendono in considerazione situazioni limite create dalla tecnologia e dalla scienza nella civilta’ presente, che non hanno alcun paragone possibile nel passato e con cui di conseguenza dobbiamo inventare di volta in volta il nostro modo di rapportarci.

Il sex-appeal dell’inorganico e lo strano rapporto affettivo che lega l’uomo alle macchine caratterizzano ad esempio i progetti Truck babies (“Cuccioli dei camion”), Car nuggets (‘Pepite di automobili”), e Sheen (“Lucentezza”).


*3. Patricia Piccinini, Truck Babies (“Cuccioli dei camion”), 1999.
Fibra di vetro, pittura da automobili, parti elettriche, 2 pezzi, ciascuno 120 x 184 x 88 cm.

4., 5. Patricia Piccinini, Big Sisters, Serie di video.

*6. , 7. Patricia Piccinini, Car nuggets, fibra di vetro e pittura da automobili, ca cm 100 x 100.

Siren Mole (“Talpa sirena”) e’ invece un animale inesistente, che grazie all’animazione digitale diventa una scultura tridimensionale, dotata di movimento. Vedendolo in un filmato girato in uno zoo, del tutto simile ai documentari di divulgazione scientifica della televisione, ci rendiamo conto di quanto siano labili i rapporti tra finzione realta’ nel nostro mondo mediatico.

*8. Siren Mole: Excellocephala Parthenopa, 2000, scultura animatronics, ca. cm 100 x 100.

Animatronics:
http://video.google.it/videosearch?hl=it&q=animatronics&um=1&ie=UTF-8&ei=AiGsScCiMY6c1QXl_MC1Ag&sa=X&oi=video_result_group&resnum=4&ct=title

Piu’ che nelle singole opere, il senso delle “sculture” della Piccinini si manifesta nei progetti di cui esse fanno parte, complessi comprendenti fotografie, sculture, installazioni, e video, dove diviene meglio evidente il suo rapporto col mondo dei videogiochi, del cinema d’animazione, dei centri commerciali e dei parchi tematici, e piu’ in generale con le iconografie create dal mondo della comunicazione di massa, dalla pubblicita’ ai cartoni animati al film alla divulgazione scientifica.
Quasi senza eccezione, i lavori della Piccinini sono opere non autografe nel senso tradizionale del termine, poiche’ alla loro esecuzione hanno contribuito tecnici dei sistemi digitali, degli animatronics e degli effetti speciali, o artigiani specializzati di ambiti extraartistici (ad esempio, verniciatori di carrozzerie di auto e moto).

9. Nest (2006), edition 2/3.
Fibreglass, automotive paint, cycle parts. 90x150x170cm
Image 1 of 4

10. Thicker Than Water (2007), edition 2/6.
Fibreglass, automotive paint. 70x45x58cm

11. The Stags (2008), edition 1/3.
Fibreglass, automotive paint, cycle parts. 224x167x196cm
Image 2 of 3










Bibliografia

Oltre ai siti già citati nel testo, vedere

Su Do_Ho Suh:
www.lehmannmaupin.com
http://www.duetart.com/dentro/artists/artists%20ita/Suh%20ita.html


Su Patricia Piccinini:

Rachel Kent, Call of the Wild/Patricia Piccinini (cat. della mostra), Sydney, Museum of Contemporary Art, 2002
Linda Michael, Christine Wertheim, Margaret Wertheim, We are Family (cat della personale nel Padiglione Australiano alla 50.ma Biennale di Venezia, 2003).

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