domenica 14 marzo 2010

Biennio 3. Semiotica e iconografia/Damián Ortega/Thomas Hirschhorn

3. Semiotica e iconografia/Damián Ortega e il monumento/Thomas Hirschhorn e il nastro adesivo marrone





Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Biennio







a) Semiotica e iconografia


Ponendosi come scienza generale dei segni, ovvero di tutti i sistemi di comunicazione, sia verbali che non verbali, la semiotica ha posto le basi per una possibile analisi iconografica del contemporaneo.
Negli anni ’60- ’70, cioè nella fase senza dubbio più militante della disciplina, Umberto Eco e Roland Barthes hanno contribuito con diversi scritti alla costruzione di un possibile metodo per la lettura delle immagini, con strumenti inizialmente mutuati dalla linguistica strutturale.

Nel trattato Il segno (Milano, ISEDI, 1973) Umberto Eco analizza e riassume la principale letteratura dell’epoca su linguaggio verbale e non verbale, mettendo in evidenza analogie e differenze.

Ecco alcuni concetti base:

Tutti i sistemi di comunicazione hanno bisogno di un codice prestabilito (un sistema di corrispondenze che mette in relazione il simbolo col suo significato).

Ci sono segni appositamente costruiti per significare (parole, bandiere, semafori), altri segni che funzionano in quanto vengono assunti come tali da qualcuno (esempio, i sintomi: certe macchie sulla pelle vengono lette dal medico come segno della presenza di una determinata malattia).

Altri concetti utili:

La denotazione è il significato primo, o immediato, di un segno, le connotazioni sono significati secondari, o accessori, molto importanti nella vita delle culture: “velivolo” significa “aereo”, ma ha una connotazione di “letterarietà”. Nel sistema dell’abbigliamento, come sottolinea Barthes nei suoi classici studi sul sistema della moda e sulla televisione, l’uso trasforma quasi ogni oggetto in segno (ad esempio “camice” denota “medico”, o comunque una persona istituzionalmente connessa alla medicina), e aggiunge connotazioni su cui, più o meno sottilmente, gioca la moda (reggicalze o calze a rete = “seduzione”, impermeabile = “detective”, ecc.). Altrettanto vale per l’arredo: certe finiture in legno e ottone che connotano “vecchia nave”, la sfera rotante a specchietti che connota “sala da ballo” , ecc.

Metalinguaggio, infine, è un linguaggio che parla di altri linguaggi: come vedremo, ne fa uso la Pop Art quando “cita” la comunicazione pubblicitaria.



In un’opera successiva (Trattato di semiotica generale, 1974), Eco tenta una classificazione generale riassuntiva dei segni.

Di grande rilievo, per l’uso possibile che se ne può fare in iconografia e iconologia , il concetto di ostensione: qualunque oggetto non inizialmente finalizzato alla comunicazione può diventare segno, e cioè elemento di comunicazione ed espressione del significato, quando io lo mostro come esempio o campione di qualcosa (mostro un pacchetto di caramelle, per indicare che voglio quelle caramelle; o un campione di stoffa, per indicare tutta la stoffa).


Molto importante anche la nozione di stilizzazione (con un sgnificato diverso da quello usualmente attribuito al termine dalla critica d’arte): sono stilizzazioni certe immagini che nell’uso hanno assunto un simbolismo convenzionale (esempio, l’omino e la donnina delle toilettes, la Torre Eiffel per significare “Parigi” ecc.)




b) “Ostensione” e produzione artistica contemporanea



Il ready made, cioè un oggetto preso dalla vita quotidiana e trasportato nella sfera artistica comincia, lo sappiamo, con Marcel Duchamp e i suoi ready-mades all’inizio del Novecento, e da allora è diventato un elemento ricorrente, e forse ormai un po’ abusato, nella produzione artistica contemporanea.

Nei ready mades di Duchamp (ruota di bicicletta, scolabottiglie), è presente un’ironia che deriva dalla somiglianza di questi prodotti con gli esperimenti dell’avanguardia nello stesso periodo: ad esempio, la Ruota di bicicletta evoca le raggiere con cui futuristi e costruttivisti si sforzavano di introdurre nell’arte le macchine e la velocità proprie del mondo moderno; lo scolabottiglie, certi esperimenti del primo astrattismo.

*1. Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913
Scolabottiglie, 1914


*2. Giacomo Balla, Ragazza col cerchio, 1915.
Milano, Collezione privata

3. Forma, rumore di motocicletta, 1913
Milano, Collezione privata


*4. Vladimir Tatlin, Monumento alla III Internazionale, 1919-20
San Petroburgo, Musei nazionali russi

Dopo la rivoluzione del 1917, Tatlin, nato a Mosca nel 1885, lavorò per il nuovo Commissariato sovietico per l’educazione, sviluppando una forma autorizzata d’arte che utilizzava “materiali reali nello spazio reale”. Questo suo progetto del 1919, il suo primo esperimento in architettura, divenne un simbolo dell’avanguardia russa e del modernismo internazionale.
La torre di Tatlin, mai realizzata (sussiste solo il modello, alto 7 metri), è il tentativo di creare una nuova forma di monumento.
Avrebbe dovuto trattarsi di una costruzione in traliccio metallico alta 400 metri (quindi più alta della torre Eiffel: 324 m).
Due spirali in senso contrario circoscrivono un volume conico. L’inclinazione della grata corrisponde alla curvatura terrestre. All’interno doveva elevarsi una torre formata da diversi corpi geometrici. L’edificio avrebbe dovuto girare su se stesso, come primo esempio di monumento dinamico, a sottolineare la struttura della società in ascesa.



c) Iconografie del contemporaneo: Damián Ortega e il monumento


A sua volta, Damián Ortega (Città del Messico 1967), il giovane artista messicano noto per il “maggiolino” esposto alla Biennale di Venezia 2003 (Cosmic Thing, 2002), produce una citazione ironica della Torre di Tatlin impilando a spirale i carrelli di un supermercato in una struttura che ironicamente la evoca (Vision Simultánea).
Molta parte del lavoro di Ortega, che è stato allevo di Orozco e continua il suo interesse polemico per la struttura sociale contemporanea, è dedicato al monumento.


*5. Damián Ortega, Cosmic Thing, 2002

http://www.whitecube.com/artists/ortega/

http://www.icaboston.org/gofurther/mp3-tours/ortega/

http://topics.nytimes.com/topics/reference/timestopics/organizations/i/institute_of_contemporary_art/index.html?query=ORTEGA,%20DAMIAN&field=per&match=exact



d) Iconografie del contemporaneo: Thomas Hirschhorn e il nastro adesivo marrone



Alla Biennale di Venezia del 1999, l’artista svizzero Thomas Hirschhorn si rivelò al mondo con World Airport, opera dedicata agli aspetti instabili, nomadici, della vita contemporanea. Due interi, vasti ambienti erano invasi da un immane aggregato di oggetti che nel loro insieme evocavano il viaggio, e, ancor più, l’idea di una residenza precaria, provvisoria: aerei, valigie, ma anche pacchi di cartone legati con il nastro adesivo e con lo spago, accumulati come per una partenza o un trasloco. Ogni sorta di memorie, personali, collettive, si insinuavano in questo universo instabile: fotografie, taccuini, e anche quegli strazianti piccoli altari di candele, fotografie e fiori artificiali che la gente costruisce sui luoghi di incidenti stradali o per ricordare le vittime di qualche episodio di violenza (nel 1999, quando quest’opera fu presentata alla Biennale, era recente il ricordo della guerra nei Balcani, di un lungo periodo in cui e immagini di simili altarini costruiti ai margini delle strade, fra le macerie delle case distrutte dai bombardamenti, erano passate in televisione quasi quotidianamente). Una vasta installazione che pervadeva interamente lo spazio in cui era collocata ma con l’aria di non avere in realtà confini, di poter continuare all’indefinito. A rilegare questo vasto, e teoricamente infinito, ammasso di oggetti e di materiali, c’era un elemento ricorrente, il nastro adesivo marrone: chiudeva buste e pacchi e li teneva uniti, ne rafforzava gli spigoli, fungeva da precario materiale da costruzione. Era l’elemento unificante, ossessivamente ricorrente dell’intera composizione. Un potente elemento simbolico, che il pubblico immediatamente riconosceva. Presente in ogni casa, in ogni ambiente di lavoro, il nastro adesivo marrone è un materiale disadorno, che interviene sempre in situazioni utilitarie, caratterizzate da un fattore di transitorietà: dal chiudere un imballaggio al riparare provvisoriamente un vetro rotto; da dimesso, diventa squallido quando da transitorio si trasforma in permanente, magari per riparazioni visibili di oggetti che qualcuno ha rinunciato, per necessità o per indifferenza, a rimettere in efficienza in modo migliore.


*6. Thomas Hirschhorn, Flugplatz Welt/World Airport, installazione, materiali vari, 1999
Venezia, Arsenale, Artiglierie.


Diciottenne nel 1968, Hirschhorn si è impregnato a fondo di alcuni dei valori e delle atmosfere eversive-sovversive di quegli anni. Sviluppa da sempre un concetto antimonumentale dell’arte, e in particolare della scultura. Come nell’esempio ricordato, World Airport, Hirschhorn è stato e rimane ancor oggi un maestro dell’installazione invasiva: in contrasto voluto con l’opera scultorea tradizionale, che posa su un piedestallo e ha una superficie dura, continua, che la separa nettamente sal mondo esterno (in altre parole, che delinea nettamente i propri confini), l’installazione, in particolare quella di Hirschhorn, è un intervento tridimensionale senza contorno netto, che dilaga volutamente fuori dallo spazio che le è stato assegnato ed è costruita in modo da suggerire una sua possibile continuazione all’indefinito.
I materiali di Hirschhorn, in confronto a quelli classici, “nobili”, della scultura (marmo, bronzo, metalli preziosi), sono volutamente comuni, dimessi, antieroici, presi dalla vita quotidiana: il nastro adesivo da pacchi, la pellicola d’alluminio sono fra i più comuni. L’altarino di fiori di candele e di fotografie, in quanto “monumento antimonumentale” spontaneo, creato dalla gente, è diventato uno dei suoi prediletti, struggenti elementi di meditazione.



7. Thomas Hirschhorn, Cavernman, installazione, materiali vari, 2002
New York, Gladstone Gallery

8. Thomas Hirschhorn, Stand-alone, installazione, materiali vari, 2007
Berlino, Arndt & Partner Gallery

9.Thomas Hirschhorn, Superficial Engagement, installazione, materiali vari, 2006
New York, Gladstone Gallery

10. Thomas Hirschhorn, Universal Gym, installazione, materiali vari, Febbraio - Aprile 2009
New York, Gladstone Gallery


In una recente conferenza in occasione della mostra collettiva C108, Life on Mars (Carnegie Museum of Art,
Pittsburgh, Pennsylvania, 2008/09, http://blog.cmoa.org/CI08/home.php ), Hirschhorn chiarisce che due sono gli elementi fondanti della sua arte: il collage, la non arte/praticabile da chiunque, che mette le cose insieme, crea le connessioni, e la precarietà, la transitorietà, come elemento caratteristico del presente, della che scorre.
http://www.youtube.com/watch?v=KbRTXdze-IE
http://www.artfacts.net/it/artista/thomas-hirschhorn-4731/profilo.html



Bibliografia

Vedere link indicati nelle sezioni b) e c)

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