domenica 28 aprile 2013

AVVISO



DOMANI LUNEDI 29 DALLE 10 alle 13 RECUPEREREMO ALCUNE LEZIONI DEL CORSO MONOGRAFICO. I SEMINARI (VIDEOGIOCHI E DECENNI) PROSEGUIRANNO NELL'ORARIO POMERIDIANO.


domenica 21 aprile 2013

AVVISO

IL PROSSIMO INCONTRO DEI SEMINARI (Decenni e Videogiochi) si terrà, come da nuovo orario, il 29/4 a San Servolo dalle 10 alle 16.

Le lezioni del 24 aprile (Triennio e Biennio), sono sostituite dalla fequenza alla terza e quarta sessione dei lavori di S.I.T.E.S. presso l'Aula Magna della sede Zattere.







domenica 14 aprile 2013

5. TRIENNIO Mariko Mori


Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA




L’artista giapponese Mariko Mori inizia a lavorare nella metà degli anni ‘90, realizzando fotografie che la ritraggono in abiti da lei stessa disegnati nello scenario urbano contemporaneo. Cyborg e geisha, le donne di queste immagini provocano i passanti con i loro abbigliamenti estremi associati ad atteggiamenti sottomessi e invitanti.
Come scriveva Costanza Baldini, “L’artista gioca con lo stereotipo femminile, creando provocatorie reazioni alla subalternità della donna in Giappone, tramite figure di donne artificiali, a metà tra l’umano e l’androide, cyborg venute dal futuro, ‘electric geisha’ con un’aura da creature mitologizzate e distanti  http://www.vitaminic.it/2008/01/cross-the-line-14-bjorkmariko-mori/ .

La tecnologia usata in questa prima fase è seduttiva, spettacolare, fatta di luci e flash, effimera, e crea un effetto di coinvolgimento straniante per chi guarda in modo leggero e piacevole.

*1. Mariko Mori, Birth of a star, 1995 . Lightbox con audio, 183 x 122 cm
http://www.deitch.com/projects/sub.php?projId=68
Quest’opera è connessa a un’importante mostra a New York e Tokio, MADE IN JAPAN (1996), con la quale la giovane artista ha richiamato l’attenzione della critica di tutto il mondo.
In questa e in altre opere, Mori appare in prima persona come una ragazzina giapponese appassionata dei manga o un’aliena, bambola consumistica da un pianeta di plastica.
Con queste immagini e questi materiali, l’artista enuncia quelli che saranno i suoi temi per il decennio successivo: riferimenti al mondo pop della moda e dei fumetti, il corpo usato come in quella forma di body art collettiva che è la moda, piegato a linee estremamente artificiali.


2. Mariko Mori, Tea Ceremony, 1995, serie fotografica.


*3. Miko No Inori, video, 1996.
http://www.youtube.com/watch?v=Bwl6G9L6bk8

L’inizio della transizione verso tematiche più complesse avviene verso la metà della sua carriera, intorno alla fine degli anni ’90.
Un’opera del 1997, intitolata Nirvana, è in questo caso significativa. Si tratta di un video tridimensionale presentato alla Biennale di Venezia del 1997, in cui la Mori assume le sembianze della dea buddista Kichijoten.
Gli spettatori, forniti di occhiali speciali che consentono la visualizzazione tridimensionale, sono immersi nello spazio illusorio del video. Presenti in prima persona nell’atmosfera fiabesca e senza tempo del paesaggio, sono chiamati a contemplare da vicino le magiche trasformazioni della dea, la cui eterea apparizione è accompagnata da segni miracolosi come profumi, musiche e l’improvviso materializzarsi di presenze fisiche.

*4. Mariko Mori, Nirvana, 3D video, 1997

Questa nuova linea espressiva, in cui l’artista prende sempre più sul serio il suo ruolo di mediatrice di contenuti spirituali, bilanciando la più antica tradizione con le tecnologie più innovative, si manifesta perfettamente nella mostra che la Mori tiene nel 1999 alla Fondazione Prada, intitolata Garden of Purification. La mostra culmina in una complessa e monumentale installazione: gli spazi visionari del Dream Temple.


5. Mariko Mori, Dream Temple, installazione multimediale, 1999.


La mostra culmina in una complessa e monumentale installazione: gli spazi visionari del Dream Temple, per il quale Mori si è ispirata allo Yumedono (”Padiglione dei sogni”) di Horyuuji, il tempio più antico del Giappone, fondato nel 607 dal principe Shoutoku (574-622).

http://www.fondazioneprada.org/
http://www.fondazioneprada.org/ita/comunicati/MM.ITA.pdf

Dream Temple segna il passaggio alla fase stilistica più recente in cui Mori si ritira fisicamente dalle sue grandi installazioni, lasciando spazio all’interattività tra il pubblico e l’opera. Quest’ultima è spesso un’installazione imponente, realizzata con grrandi mezzi e sofisticate tecnologie.
Ne è un esempio l’installazione interattiva ‘Wave UFO’, che l’artista presenta alla Biennale di Venezia nel 2005.


*6. Mariko Mori, Wave UFO, 2005, installazione interattiva.


Scalette bianche introducono il visitatore all’interno dell’installazione (5 x 11 x 5 m ca.): una navicella spaziale vera e propria, ma la cui forma organica rende possibili associazioni più complesse, legate alla storia religiosa, come l’esperienza di conversione di Giona nel ventre del pesce narrata dalla Bibbia.
All’interno c’è spazio per tre persone, che vengono fatte adagiare su un divano di Technogel. Ogni visitatore viene munito di elettrodi che assistenti vestiti di bianco attaccano con il gel sulla fronte e ai lati della testa. In questo modo è possibile raccogliere dati sulle onde cerebrali. Tali informazioni sono tradotte in immagini che corrispondono all’attività del cervello e che vengono proiettate sul soffitto emisferico della “navicella”. L’attività dei due lobi del cervello assume la forma di due bolle in movimento. Anche i loro colori cambiano continuamente: blu denota rilassamento e meditazione; rosso vuol dire tensione, agitazione.
Inizialmente, le prioezioni delle onde cerebrali dei tre visitatori appaiono in tre gruppi distinti: successivamente, un apposito software le elabora e le fonde insieme, dando loro la forma di una pioggia di bolle colorate che piovono dalla sommità del soffitto a cupola della navicella verso il basso, simulando l’effetto visivo di un viaggio verso le profondità dell’universo che i tre visitatori condividono.

Gli anni recenti hanno visto grandi retrospettive di Mariko Mori in tutto il mondo: segnaliamo quelle presso Deitch, New York, a Groninga, nei Paesi Bassi, al Guggenheim Museum di Bilbao. Vedere i link corrispondenti nel seguente elenco:

http://www.photography-now.com/artists/K07620.html

Nelle opere attuali, Mori sembra ritornare a forme per alcuni aspetti più tradizionali della scultura, riprendendo opere cultuali preistoriche o antichissime, come i cerchi di pietre, e facendoli rivivere in versione tecnologica, con materiali adatti a suggerire particolari esperienze tattili e capaci di emettere una particolare luminescenza.

http://it.wikipedia.org/wiki/Periodo_Jōmon

*7 Mariko Mori, Tida Dome, 2011, installazione.

http://www.archdaily.com/190397/mariko-moris-journey-to-seven-light-bay-exhibition/




Bibliografia


http://www.fondazioneprada.org/ita/comunicati/MM.ITA.pdf

http://www.wdirewolff.com/Mariko.htm

http://www.youtube.com/watch?v=bYwbNirN4Hk&feature=related

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.orbit.zkm.de/files/orbit/LinkoftheMoon_MarikoMori.jpg&imgrefurl=http://www.orbit.zkm.de/%3Fq%3Dnode/192&h=433&w=600&sz=31&tbnid=OsYSCMGMs4lbyM::&tbnh=97&tbnw=135&prev=/images%3Fq%3Dmariko%2Bmori&hl=it&usg=__tgedwgSq2U-KvLyW1xeFnkh2oiA=&ei=12THSfjAMtyKsAah5OHlCw&sa=X&oi=image_result&resnum=1&ct=image&cd=1

http://www.deitch.com/artists/selected_works.php?selectedWorksId=32&artistId=15
http://www.archdaily.com/190397/mariko-moris-journey-to-seven-light-bay-exhibition/

4. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA L' "Uomo Vitruviano" di Leonardo e le teorie delle proporzioni nel Rinascimento



a) L’uomo vitruviano di Leonardo.


*1. Leonardo, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio, 1490 ca.
Punta metallica, penna e inchiostro, tocchi di acquerello su carta bianca, 344 x245 mm
Venezia, Gallerie dell’Accademia

Nel terzo libro del De Architectura, l’architetto e teorico latino Vitruvio sostiene che le parti di un edificio devono essere ben proporzionate, a similitudine di quelle di un bel corpo umano (“homo bene figuratus”), e che un metodo indicativo per stabilire se un uomo è ben proporzionato è il seguente: in piedi, a braccia allargate e piedi uniti, la figura deve essere inscrivibile in un quadrato; disteso a terra, con braccia e gambe leggermente divaricate, dev’essere inscrivibile in un cerchio con il centro nell’ombelico. Se il modello prescelto soddisfa a entrambe queste proporzioni, può definirsi homo bene figuratus, e l’architetto può procedere a studiare le sue proporzioni, per applicarle quindi agli edifici.
Oltre a Leonardo, in questo celebre disegno ben rifinito e che ha i caratteri di un’illustrazione predisposta per essere tradotta in un’illustrazione a stampa (Pedretti), del tema si occuparono numerosi artisti e architetti del Rinascimento. Tra essi Fra’ Giocondo da Verona (c 1433 – 1515), che nella sua edizione di Vitruvio pubblicata a Venezia nel 1511, raffigura l’uomo nel cerchio e nel quadrato in due immagini separate. L’architetto, pittore e trattatista milanese Cesare Cesariano (1475-1573), nel suo De Lucio Vitruvio (Como 1521), riprduce con varianti il prototipo leonardesco.
Nel De harmonia mundi totius (Venezia 1525), Francesco Zorzi, monaco umanista d’ispirazione neoplatonica del convento di San Francesco della Vigna a Venezia, presenta con significato cosmico la figura dell’Homo ad circulum. Francesco di Giorgio (1439-1501), scultore e architetto senese, nel suo trattato di architettura (un libro posseduto e annotato da Leonardo), aveva proposto solo l’uomo nel cerchio.
(Wittkower figg.1,2,3,4,6,7,8,9,10,11,12,13,14, 15, 20-24, 25-27, 32).
Nelle elaborazioni diverse dell’uomo vitruviano, qui presentate, diviene peraltro chiaro che per gli umanisti rinascimentali il tema si fonde con altri, ugualmente ereditati dall’antichità e arricchiti di significato cristiano, come: macrocosmo e microcosmo (l’uomo visto come modello nel quale si rispecchia l’ordine del cosmo intero).
Sulla base di dottrine classiche, risalenti a Pitagora, riprese da Platone nel suo dialogo il Timeo, e riscoperte nel Rinascimento, la musica, più precisamente le proporzioni numeriche che esprimono gli intervalli musicali, sono alla base dell’armonia dell’universo intero: regolano i moti delle stelle come la bellezza e la salute del corpo umano. Di qui lo stretto rapporto che intercorre nel Rinascimento tra studi musicali, architettura e scienza medica.
http://www.disegnoepittura.it/uomo-vitruviano/


b) La lira da braccio, Leonardo e le dottrine pitagoriche.



Insieme al liuto, la lira da braccio è lo strumento a corde più popolare nel Rinascimento. Si usava per la dizione poetica accompagnata, nella quale le fonti asseriscono che Leonardo era assai versato.


*2. Vittore Carpaccio, Presentazione al tempio, part.: Angelo che suona la lira da braccio.
Venezia, Gallerie dell’Accademia

*3. Giovanni Bellini, Pala di San Zaccaria, part.: Angelo che suona la lira da braccio.
Venezia, San Zaccaria

*4. Benedetto Montagna, Orfeo incanta le fiere, incisione.

*5. La gara fra Apollo e Pan. Silografia dall’Ovidio Metamorphoseon Volgare, Venezia 1501, fol. 143 r

*6. Liuto e lira da braccio, tarsia lignea.
Urbino, Palazzo Ducale, Studiolo

*7. Liuto e lira da braccio, tarsia lignea.
Verona, Santa Maria in Organo

La pratica musicale di molti artisti del Rinascimento, fra cui Verrocchio, Raffaello e Leonardo, è da porre in collegamento con il revival delle dottrine pitagoriche. Pitagora e la sua scuola sostenevano che tutta una serie di fenomeni naturali sono traducibili in rapporti numerici, e sono quindi rappresentabili in modo matematico. In particolare sono traducibili in numero le armonie musicali; di conseguenza, i Pitagorici praticarono la musica come mezzo di conoscenza e purificazione.
Nella Milano di Ludovico il Moro, operò il famoso teorico Franchino Gaffurio (possibile soggetto di un famoso ritratto di Leonardo), che, nei suoi trattati Pratica musica e De Harmonia Musicorum Instrumentorum (1518), appare in una celebre silografia, mentre insegna a una folla di allievi le corrispondenze fra le armonie musicali e quelle geometriche. Queste corrispondenze tra armonie musicali e armonie visive erano oggetto di intenso interesse da parte di artisti e architetti.

*8. Leonardo, Ritratto di musico.
Milano, Pinacoteca Ambrosiana



*9. Raffaello, La Scuola di Atene, part.: il filosofo Platone con il suo trattato Il Timeo. Affresco, 1509-10
Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura


*10. , 11. Raffaello, La Scuola di Atene, part.: il filosofo Pitagora, circondato da allevi, e una lavagna con gli schemi numerici degli intervalli che generano l’armonia musicale.
Affresco, 1509-10
Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura



Bibliografia

Il revival platonico e l’applicazione dei principi armonici nell’architettura:

R. WITTKOWER, Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo (1962), trad. it. Torino, Einaudi
O. M. UNGERS, “Ordo, pondo et mensura”: criteri architettonici del Rinascimento, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi), Milano, Bompiani, 1994
G.REALE, La ‘Scuola di Atene’ di Raffaello, Milano, Bompiani, 20052
A.PERISSA TORRINI (a cura di), L’uomo vitruviano tra arte e scienza (cat. della mostra a Venezia, Gallerie dell’Accademia), Venezia, Marsilio, 2009
http://leonardo.uomovitruviano.it/
http://www.universalleonardo.org/work.php?id=448


Leonardo da Vinci musicista:

E.WINTERNITZ, Leonardo da Vinci as a Musician, New Haven e Londra, Yale University Press, 1982
G.VALLESE, Leonardo’s ‘Skull lyre’, in 'Tutte le opere non son per istancarmi’, Raccolta di scritti per i settant’anni di Carlo Pedretti, Roma, Edizioni associate, 1998, pagg. 405-424

5.BIENNIO Thomas Hirschhorn Haegue Yang Francesco Candeloro



a) Iconografie del contemporaneo: Thomas Hirschhorn e il nastro adesivo marrone



Alla Biennale di Venezia del 1999, l’artista svizzero Thomas Hirschhorn si rivelò al mondo con World Airport, opera dedicata agli aspetti instabili, nomadici, della vita contemporanea. Due interi, vasti ambienti erano invasi da un immane aggregato di oggetti che nel loro insieme evocavano il viaggio, e, ancor più, l’idea di una residenza precaria, provvisoria: aerei, valigie, ma anche pacchi di cartone legati con il nastro adesivo e con lo spago, accumulati come per una partenza o un trasloco. Ogni sorta di memorie, personali, collettive, si insinuavano in questo universo instabile: fotografie, taccuini, e anche quegli strazianti piccoli altari di candele, fotografie e fiori artificiali che la gente costruisce sui luoghi di incidenti stradali o per ricordare le vittime di qualche episodio di violenza (nel 1999, quando quest’opera fu presentata alla Biennale, era recente il ricordo della guerra nei Balcani, di un lungo periodo in cui e immagini di simili altarini costruiti ai margini delle strade, fra le macerie delle case distrutte dai bombardamenti, erano passate in televisione quasi quotidianamente). Una vasta installazione che pervadeva interamente lo spazio in cui era collocata ma con l’aria di non avere in realtà confini, di poter continuare all’indefinito. A rilegare questo vasto, e teoricamente infinito, ammasso di oggetti e di materiali, c’era un elemento ricorrente, il nastro adesivo marrone: chiudeva buste e pacchi e li teneva uniti, ne rafforzava gli spigoli, fungeva da precario materiale da costruzione. Era l’elemento unificante, ossessivamente ricorrente dell’intera composizione. Un potente elemento simbolico, che il pubblico immediatamente riconosceva. Presente in ogni casa, in ogni ambiente di lavoro, il nastro adesivo marrone è un materiale disadorno, che interviene sempre in situazioni utilitarie, caratterizzate da un fattore di transitorietà: dal chiudere un imballaggio al riparare provvisoriamente un vetro rotto; da dimesso, diventa squallido quando da transitorio si trasforma in permanente, magari per riparazioni visibili di oggetti che qualcuno ha rinunciato, per necessità o per indifferenza, a rimettere in efficienza in modo migliore.


*1. Thomas Hirschhorn, Flugplatz Welt/World Airport, installazione, materiali vari, 1999
Venezia, Arsenale, Artiglierie.


Diciottenne nel 1968, Hirschhorn si è impregnato a fondo di alcuni dei valori e delle atmosfere eversive-sovversive di quegli anni. Sviluppa da sempre un concetto antimonumentale dell’arte, e in particolare della scultura. Come nell’esempio ricordato, World Airport, Hirschhorn è stato e rimane ancor oggi un maestro dell’installazione invasiva: in contrasto voluto con l’opera scultorea tradizionale, che posa su un piedestallo e ha una superficie dura, continua, che la separa nettamente sal mondo esterno (in altre parole, che delinea nettamente i propri confini), l’installazione, in particolare quella di Hirschhorn, è un intervento tridimensionale senza contorno netto, che dilaga volutamente fuori dallo spazio che le è stato assegnato ed è costruita in modo da suggerire una sua possibile continuazione all’indefinito.
I materiali di Hirschhorn, in confronto a quelli classici, “nobili”, della scultura (marmo, bronzo, metalli preziosi), sono volutamente comuni, dimessi, antieroici, presi dalla vita quotidiana: il nastro adesivo da pacchi, la pellicola d’alluminio sono fra i più comuni. L’altarino di fiori di candele e di fotografie, in quanto “monumento antimonumentale” spontaneo, creato dalla gente, è diventato uno dei suoi prediletti, struggenti elementi di meditazione.

Flugplatza Welt è stata recentemente ripresentata  al MUDAM del Lussemburgo:
21/11/2012 - 26/05/2013,  http://www.mudam.lu/en/expositions/details/exposition/hirschhorn/ (con fotografie; quelle della versione originale sono rare).

2. Thomas Hirschhorn, Cavernman, installazione, materiali vari, 2002
New York, Gladstone Gallery

3. Thomas Hirschhorn, Stand-alone, installazione, materiali vari, 2007
Berlino, Arndt & Partner Gallery

4.Thomas Hirschhorn, Superficial Engagement, installazione, materiali vari, 2006
New York, Gladstone Gallery

5. Thomas Hirschhorn, Universal Gym, installazione, materiali vari, Febbraio - Aprile 2009
New York, Gladstone Gallery


In una recente conferenza in occasione della mostra collettiva C108, Life on Mars (Carnegie Museum of Art, 
Pittsburgh, Pennsylvania, 2008/09, http://blog.cmoa.org/CI08/home.php ), Hirschhorn chiarisce che due sono gli elementi fondanti della sua arte: il collage, la non arte/praticabile da chiunque, che mette le cose insieme, crea le connessioni, e la precarietà, la transitorietà, come elemento caratteristico del presente, della vita che scorre.
http://www.youtube.com/watch?v=KbRTXdze-IE
http://www.artfacts.net/it/artista/thomas-hirschhorn-4731/profilo.html





b) Haegue Yang

Artista nata nel 1971 a Seoul, ha sorpreso i visitatori della 53. Biennale Arte di Venezia (2009) in due diverse sedi.
Come parte della mostra internazionale "Fare Mondi", all'Arsenale, ha presentato sette sculture dalla sue serie Vulnerable Arrangements - Domestics, composte d portaasciugamani di metallo su ruote, su cui sono arrangiare cascate di lampadine e vari tipi di oggetti comuni.
Allo stesso tempo Haegue Yang ha, dopo lunga riflessione, accettato l'invito a rappresentare il suo paese alla Biennale nel Padiglione Coreano ai Giardini. Sotto il titolo Condensations, ha creato tre nuovi corpi di lavoro, nei quali ha eluso gli stereotipi nazionali attraverso un impegno cosciente, e invece affrontato le questioni relative all'arredamento di interni comuni da parte della gente, per mezzo di oggetti ubiquitari, talmente comuni da risultare invisibili, come luoghi potenziali di alleanze sociali e politiche tra le persone.
Il materiale di base per l'installazione principale, Voice and Wind, erano delle veneziane, elemento ubiquo, usato ormai in tutti il mondo, oggetto utilitario e ordinariamente "invisibile", leggero, "che c'è e non c'è", usato per creare divisori e separazioni tra l'interno e l'esterno.

http://www.designboom.com/weblog/cat/10/view/6637/korean-pavilion-haegue-yang-at-venice-art-biennale-09.html

*6 Haegue Yang, Voice and wind, installazione. Tende alla veneziana, ventilatori, emanatori di essenza. Padiglione Corea, Biennale di Venezia, 2009

http://www.youtube.com/watch?v=fZ51oIpQRFw

Dopo Venezia, l'artista ha partecipato a numerose mostre collettive importanti a Basilea, Colonia, Londra, Los Angeles e Mosca. e dal 2010 ha tenuto personali importanti al New Museum, New York (Voices and Wind: Haegue Yang ), al Centro Artsonje a Seoul (Haegue Yang: Voice Over Three), al Walker Art Centre di Minneapolis:

http://www.youtube.com/watch?v=CIRhrgzZ9_I

A Francoforte ha presentato la personale  Haegue Yang / Siblings and Twins, 05/17/08 - 06/29/08 (www.portikus.de), accompagnata da un catalogo dal design caratteristico.

Con la mostra Arrivals (2011), espressamente concepita per la Kunsthaus Bregenz (Austria), Haegue Yang ha fatto un altro importante passo in avanti.

http://www.kunsthaus-bregenz.at/ehtml/presse_yang.htm

Non solo ha presentato una restrospettiva completa del suo lavoro più importante in nuovi allestimenti appositamente concepiti, ma ha anche creato appositamente 33 nuove sculture luminose, le quali, enigmaticamente, popolano il terzo piano come forme di vita aliene.
Inoltre, ha sviluppato la sua più grande installazione fino ad oggi, composto da circa 200 veneziane, che occupano tutto il secondo piano della Kunsthaus Bregenz con impressionante leggerezza.

Il complesso di installazioni, sculture, oggetti, fotografie, video e proiezioni di diapositive, che nella loro rarefatta atmosferica presenza si rifanno alle poetiche minimali e concettuali degli anni '60 e '70.

L'artista ha diviso l'open space della Kunsthaus in piccoli scomparti con numerosi divisori in legno, di formato triangolare, e si avvale di essi per appendere le sue opere, che appaiono sul quelle fragili struttue anzichè sulle solide mura perimetrali di cemento dell'edificio. Le strutture in legno creano spazi intimi, aree gestibili e prospettive insolite, rafforzando il dialogo tra le opere in mostra.

Questa particolare disposizione, specialmente in combinazione con alcuni nuovi lavori, genera nuove intuizioni sul complesso di un'opera che fino ad oggi non era mai stata presentata così ampiamente.

c) Francesco Candeloro

Le installazioni site-sensitive di Candeloro (nato nel 1974, vive  e lavora a Mestre) trasformano luoghi storici, spesso molto connotati (Venezia, Museo Fortuny;  centro storico di Castelfranco Veneto; Villa Pisani Bonetti, Lonigo, Vicenza; Piazza Cordusio, Milano, attraverso l'interposizione di minimali diaframmi colorati che trasformano la visione dei luoghi e il feeling degli interni.

http://www.galica.it/
www.francescocandeloro.org







Bibliografia

Vedere link indicati nelle sezioni

4. BIENNIO. Gilad Ratman, Lara Almacegui, Jef Geys

a. Gilad Ratman
Sarà l'artista del padiglione d'Israele alla 55. Biennale di Venezia, 
Nato nel 1975, vive e lavora tra New York e Tel Aviv.   I suoi  video e installazioni  mettono in scena aspetti di disagio insostenibile nella vita umana. Guardando i lavori più vecchi, 588 Project  e Give her back or take me too, appare evidente l'evoluzione di Ratman da musicista rock, con accentuato interesse per gli effetti visivi e spettacolari,  a artista visivo a pieno titolo,  che riflette sulla musica e poi sull'umanità in generale. 
Give her back or take me too è una cruda riscrittura del mito d'Orfeo, che chiede agli dei di riportare la moglie al mondo in un viaggio attraverso gli inferi (il video mostra un uomo che  viaggia attraverso una  palute trasportando un corpo inerte coperto di fango e erbe palustri, lo stesso col quale si era visto all'inizio in una posa di accoppiamento)
Project 598 mette in scena in modo molto icastico il contrasto tra la musica, arte apollinea della bellezza e dell'armonia,  simboleggiata dai flauti, e i miseri tentativi dell'umanità di suonarli stando sepolta sotto il fango (il fango si mescola al fiato ed esce scorrendo sopra i flauti, che emettono un suono tenue e velato, disturbato). Gli strumenti appesi agli alberi, che non riescono a suonare, sono anche un'evocazione dell'esilio del popolo ebraico in Babilonia, durante il quale, come narra la Bibbia,  gli strumenti furono appesi agli alberi in segno di lutto.

Successivamente, Gilad si distanzia dal tema della musica, per mettere a fuoco la condizione di disagio acuto (l'uomo sepolto nel fango nel video Boggy Man).

L'opera annunciata per la Biennale avrà come tema il viaggio di un gruppo di persone verso Venezia.  

http://www.bravermangallery.com/page.php?id=12 
(per vedere i video, utilizzare la password indicata).

Commento.  Artisti dell'invisibile reso visibile:  Lara Almacegui, Jef Geys



b. Padiglione tedesco alla 55. Biennale


Prevede la partecipazione di quattro artisti di nazionalità diversa ( cinese, iraniana, africana, indiana), accomunati dal fatto che si sono occupati di Germania nella loro arte o che la Germania è stata molto importante nel presentare la loro arte e tutelare la loro possibilità di esprimersi.

http://www.deutscher-pavillon.org/de/


c.  Letture:

Martha Buskirk, Creative enterprise: contemporary art between Museum and Marketplace, New York, Continuum International Publishing Group, 2012

David Carrier, Museum Skepticism: a History of the Display of Art in Public Galleries, Durham and London, Duke University Press, 2006

Henry Jenkins, Sam Ford and Joshua Green, Creating Value and Meaning in a Networked Culture, New York University Press, 2013






AVVISO SEMINARI TRIENNIO

si svolgeranno a San Servolo a lunedì alterni a partire da domani, lunedì 15 aprile, con orario 10-16

domenica 7 aprile 2013

3. BIENNIO Ying Tianqi e Feng Feng: l'arte della memoria nella Cina contemporanea

a. Ying Tianqi è autore di ripetuti interventi sul tema delle rovine e della memoria architettonica nella Cina contemporanea. Feng Feng ha ideato una "scultura vivente", fatta di alberi che debbono continuamente essere potati per mantenere la forma voluta, in modo da costringere a ricordare:

Ying Tianqi Brochure_Eng Ita by Gloria Vallese

Lecture Feng Feng by Gloria Vallese

b. Letture: Shary Boyle alla 55.ma Biennale http://www.theglobeandmail.com/arts/art-and-architecture/14-hour-days-15-million-cost-a-six-month-run-how-canadian-shary-boyle-is-prepping-for-the-venice-biennale/article10557907/ Jerry Saltz discute sulla possibile morte delle mostre nelle gallerie d'arte: Saltz on the Death of the Gallery Show http://www.vulture.com/2013/03/saltz-on-the-death-of-art-gallery-shows.html c. Rudolf Stingel a Palazzo Grassi: vedere lezione del Triennio

AVVISO

Orario seminari lunedí
Lunedí 8 aprile: i seminari si svolgeranno come da orario ufficiale
a San Servolo, nuova aula teorie, ore 14-16.
Mercoledí discuteremo della possibilità di effettuarli a lunedí alterni rispetto a Estetica, con orario 10-16, a partire dalla prima settimana successiva utile.

giovedì 4 aprile 2013

3. TRIENNIO Rudolf Stingel


http://atpdiary.com/event/rudolf-stingel-a-palazzo-grassi/



Stingel, nato nel 1956 a Merano, è dai primi anni '80 newyorkese di adozione.

Un ricordo delle sue origini altoatesine sono i fogli di polistirolo sui quali lascia delle impronte camminandoci sopra con degli scarponi, con un effetto simile a tracce nella neve.

1. Untiled 2000, polistirolo 244 x 488 x 10 cm

Il suo lavoro fino al 2000 si caratterizza per un meditato uso di materiali industriali presenti negli edifici ma solitamente invisibili, come appunto il polistirolo e fogli di materiale isolante come il cellotex, esposti cosí come vengono dal negozio, oppure offerti al pubblico, come accadde alla Biennale di Venezia nel 2003, perché intervenga liberamente a modificarli.

Un'altra linea di operazioni consiste nel cambiare il colore e l'atmosfera di un'architettura data (interno di galleria o di museo, una stazione ferroviaria), pavimentandola con moquette. Per esempio, nella sua mostra d'esordio del 1991  alla galleria Daniel Newburg di New York, Stingel presentò una moquette di un arancio brillante nello spazio  altrimenti vuoto.


La scelta iniziale  di Stingel in favore di una rinuncia all'opera in favore di una sua descrizione concettuale " in assenza", si manifesta in interventi come "Instructions"(1989), in cui, adottando lo stile descrittivo dei libretti d'istruzioni, spiega al pubblico come realizzare un dipinto:


*2. Untitled (Instructions), 1989, serigrafia su plexiglas, 108 x 155 cm




Nel 2007,  il profilo del lavoro di Stingel é stato messo in luce da due restrospettive al  Museum of Contemporary Art in Chicago e al Whitney Museum of American Art di New York, con opere che abbracciavano gli ultimi 20 anni di carriera.

Negli ultimi anni nel suo lavoro é affiorata una formula figurativa.
 “Alpino (1976)” è un autoritratto intensamente iconico, desunto da una fototessera dell’artista ai tempi del servizio militare. L'opera era al centro del primo allestimento del "cubo", l'ambiente centrale di Punta della Dogana a Venezia, riallestita dall'architetto giapponese Tadao Ando per ospitare la collezione François Pinault.



*3. Alpino 1976 2006, olio su tela 335 x 326 cm
Collezione François Pinault




Dal 7 aprile al 31 dicembre 2013
Palazzo Grassi – François Pinault Foundation presenta una esposizione personale di Rudolf Stingel.

Curata dall’artista stesso, con il coordinamento di Elena Geuna, la mostra si svilupperà su tutta la superficie espositiva del palazzo, coinvolgendo atrio, primo e secondo piano. Sarà la prima volta che l’intero spazio del museo viene dedicato a un unico artista.
Il progetto si iscrive nel programma di monografie di grandi artisti contemporanei, inaugurato nell’aprile 2012 con Urs Fischer (“Madame Fisscher”), e presentato in alternanza e complementarietà alle esposizioni tematiche della collezione François Pinault Foundation.

La mostra “Rudolf Stingel” rimarrà aperta a Palazzo Grassi fino al 31 dicembre 2013, nel corso di tutta la 55a Biennale di arte contemporanea, in occasione della quale sarà inaugurata, a partire dal 30 maggio 2013, una nuova esposizione anche a Punta della Dogana.


IMMAGINE:
SelfPortrait
Rudolf Stingel
Untitled (After Sam), 2006
Oil on canvas
132 x 180 In / 335.3 x 457.2 cm
Photo: Tom Powel Imaging
Courtesy of the artist







Bibliografia

F. BONAMI (a cura di), Rudolf Stingel/at the Museum of Contemporary Art, Chicago, and the Whitney Museum of American Art, New York, Hatje Kantz , 2007

http://www.giornalesentire.it/2012/ottobre/2691/rudolf-stingel-palazzo-grassi-pinault-foundation.html

http://artintelligence.net/review/?p=273

martedì 2 aprile 2013

4.TRIENNIO Primož Bizjak / Do-Ho Suh


Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Triennio


a) Primož Bizjak


E’ la curiosità per il movimento, e per gli scenari nuovi, a spingere Primoz Bizjac (nato a Nato a Sempeter pri Nova Gorica, Slovenia, il 4 gennaio 1976) sulla strada del suo primo titolo di studio, una laurea in ingegneria dei trasporti nella nativa Lubljana; cui segue però un passaggio a Venezia, e il diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti.
A far emergere la sua vocazione è un compito che gli viene assegnato da studente; un compito semplice in apparenza, in realtà quasi impossibile: fotografare Venezia. E’ una sfida: ma le riprese che Primoz effettua di notte, a lunga esposizione, nelle vicinanze dei canali messi in secca per la pulitura, riescono a rivelare una città inedita, sorprendente. Facciate di palazzi che continuano in basso nelle fondamenta divenute visibili, erose dalle alghe, in cui si aprono varchi impressionanti. Nella sospesa immobilità notturna, cortine di plastica arancione, impalcature, mucchi di attrezzi e materiali rivelano uno dei volti segreti della città: quello di eterno cantiere. Case e palazzi che attraversano i secoli in apparenza sempre uguali, in realtà in continuo rifacimento contro gli elementi ostili dell’acqua e della salsedine. L’elemento più caratteristico della fotografia di Primoz è già presente: un approccio che riesce a essere documentario, oggettivo, e nello stesso tempo caldo, impregnato di emozionalità e di affetto.

*1. Rio di San Marcuola n. 2
2005 - stampa lightjet su d-bond cm. 91 x 72

2. Rio di San Marcuola n. 4, 2005
Stampa lightjet su d-bond cm. 91 x 72


Segue subito una serie ormai famosa: Serajevo fotografata di notte, coi segni della guerra. Le riprese notturne a lunga esposizione conferiscono un bagliore di apocalisse alla città illuminata, vista dal l’alto dell’ Hotel Bristol, oltre il tetto crollato in primo piano e l’insegna vista da tergo, crivellata da fori di proiettili.


*3. Sarajevo - Hotel Bristol, 2004
Stampa lightjet su d-bond - cm. 125 x 157
http://www.andrea-arte.com/springjuice/springjuice.pdf


Nel sobborgo di Igrise, un cimitero islamico con la sua foresta di piccoli cippi è nato poco a poco sugli spalti di quello che era un tempo un campo da football; cielo nero e una distesa di grattacieli punteggiati di minuscole luci, la città vivente nella sua fosforescenza notturna, fanno ancora una volta da sfondo.

Ancora del 2004 è la straordinaria serie delle Karavle, le “case di frontiera”: una serie di costruzioni tutte uguali che punteggiavano un tempo il confine Italo-sloveno, alloggio dei militari che pattugliavano il confine. Quelle case sono oggi in abbandono: trasformate in abitazioni private, in locali (fra cui una pizzeria), o in completa rovina.
Primoz ha realizzato una serie di 72 foto con le case di frontiera nel loro aspetto attuale, riprese tutte dalla stessa inquadratura rigidamente frontale. Un lavoro rigoroso ma nello stesso tempo emozionale, intensamente narrativo. Le 72 foto (che hanno richiesto oltre un anno di lavoro), andrebbero idealmente esposte tutte insieme, spiega Primoz, allineate lungo una parete, e accompagnate da una carta geografica distesa a terra, con evidenziati i punti rossi lungo quel confine un tempo così severamente controllato.

All’ultimo anno di Accademia, grazie a una borsa Erasmus, trascorre un periodo presso l’Università Complutense di Madrid. La Spagna lo affascina con la sua effervescenza, Madrid diviene da allora la sua città di elezione. Lì trova amore e amici, le sue grandi storie di vita che durano tuttora; e a Madrid, dove attualmente trascorre lunghi periodi, sono dedicate le sue serie fotografiche più recenti.

*4. Carcel de Carabanchel n° 4
Madrid
2008
Lambda prints
Edition of 5 + A.P.
2x (cm 102 x 80,5)


In seguito, Primoz ha realizzato serie fotografiche sull'archeologia industriale di Marghera, e sulle antiche fortificazioni nelle piccole isole oggi in gran parte abbandonate della laguna di Venezia.


Bibliografia:
http://www.andrea-arte.com/springjuice/springjuice.pdf
http://www.lipanjepuntin.com/desc.php?id_autore=86


b) Do-Ho Suh


Do-Ho Suh nasce a Seoul, in Corea, nel 1962. Dopo aver studiato pittura alla Seoul National University ed aver prestato servizio nell'esercito sudcoreano, si trasferisce negli Stati Uniti dove continua gli studi alla Rhode Island School of Design e alla Yale University. 
Ha rappresentato la Corea alla Biennale di Venezia del 2001. 
Attualmente vive a New York.
Una retrospettiva del suo lavoro è stata presentata al Seattle Art Museum e al Seattle Asian art Museum nel 2002. Importanti rassegne sull’artista si sono tenute al Whitney Museum of American Art (2001), alla Serpentine Gallery di Londra (2002).

Particolarmente importante per la carriere dell’artista il passaggio alla Biennale di Venezia, nel 2001, dove era presente sia come artista del padiglione coreano che nella rassegna internazionale al Padiglione Italia dei Giardini.
In quell’occasione l’artista ha presentato un gruppo di opere che hanno contribuito a definire le caratteristiche del suo stile, molto originale:


*1. Do Ho Suh, Some/One, 1998.
Piastrine militari in acciaio inossidabile, fogli di rame nichelato, vetroresina, struttura in acciaio inossidabile. Dimensioni variabili.


*2. Floor, 1997-2000.
Figurine in PVC, lastre di vetro, resina in poliuretano, dimensioni variabili (moduli di 100 x 100 x 8 cm)


*3. Who am we? (Multi), 2000
Carta da parati: stampa offset a 4 colori, fogli ciascuno 61 x 91,4 cm. Dimensioni variabili.



Tutte queste opere, molto originali, s’imperniano sul senso del rapporto fra il singolo individuo e l’organizzazione sociale che lo ingloba facendo di lui una microscopica pedina, togliendogli individualità e singolarità fino a livellarlo e a renderlo indistinguibile dal gruppo.


Nell’importante intervista pubblicata su art: 21

http://www.pbs.org/art21/artists/suh/clip2.html

Do Ho Suh spiega la genesi di Some/One: nei suoi primi tempi a Rhode Island, ancora nuovo del luogo e con scarsa conoscenza dell’inglese, gli accade di fare conoscenza con uno dei pochi coreani residenti in città, che gestiva un negozio di surplus militare. E’ questo singolare personaggio a procurargli le piastrine militari e la macchina per stampare su di esse i nomi; da questo, accompagnato da ricordi della recente esperienza del servizio militare, l’idea di Some/One, scintillante e sontuoso abito imperiale costruito però dal sacrificio di un’infinità di anonimi, rappresentati dalle piastrine militari che lo costituiscono e dilagano al suolo suggerendo una continuità senza fine.


Un’altra caratteristica meditazione dell’artista riguarda il tema della casa: mentre si trovava nel letto della sua camera da studente negli Stati Uniti, assordato dai rumori inconsueti della strada e dalle voci non familiari, l’artista si è ritrovato a pensare alla sua casa in Corea, e ha concepito queste strutture evanescenti, sospese al soffitto, soffici eppure complete di tutti i dettagli.
Ancora su art:21, un’altra intervista chiarisce questo secondo versante delle meditazioni dell’artista:

http://www.pbs.org/art21/artists/suh/clip1.html


*4. Seoul Home/L.A. Home/New York Home/Baltimore Home/London Home/Seattle Home,1999
Seta, 3,78 x 6,96 x 6,96 m
Los Angeles, Museum of Contemporary Art

Nel 2010, l'artista ha partecipato alla Biennale Architettura di Venezia, con l'installazione Blueprint:


*5. Do-Ho Suh + Suh Architects, Blueprint , installazione, 2010


http://www.justanotherflog.com/2010/10/blueprint-venice-architecture-biennale-2010/




Bibliografia




Oltre ai siti già citati nel testo, vedere
www.lehmannmaupin.com
http://www.duetart.com/dentro/artists/artists%20ita/Suh%20ita.html

http://www.designboom.com/weblog/cat/9/view/11217/venice-architecture-biennale-2010-preview-suh-architects-do-ho-suh.html