domenica 22 aprile 2012

7. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA. Emblemi e imprese: le "immagini riservate" nel Rinascimento/Allegorie nel secolo d'oro dell'arte olandese





a. Imprese ed emblemi





L'impresa ha radici nel mondo cavalleresco medievale: è un motto, o breve proponimento che si unisce a un'insegna araldica (lo "stemma" del cavaliere), scritto su un filatterio annodato alla sommità.


Gli emblemi, di carattere affine, composti cioè di un'immagine congiunta a un motto che ne precisa il significato, nascono e si diffondono In Italia a partire dal Quattrocento. A Venezia, dove la loro moda conosce la maggiore diffusione, essi vengono anche ricamati sugli abiti e sulle calze a contraddistinguere i membri di compagnie e confraternite di giovani eleganti e letterati.


*1. Vittore Carpaccio, Incontro e partenza dei fidanzati, firm. e dat 1495, dal Ciclo di Sant'Orsola (complesso di otto teleri e una pala prov. della Scuola di Sant'Orsola, oggi canonica del Convento di San Giovanni e Paolo).

Venezia, Gallerie dell'Accademia


Il giovane con cartiglio in mano viene identificato con Antonio Loredan, figlio di Nicolò, l'anziano patrizio principale finanziatore del ciclo di Sant'Orsola. Sul cartiglio che egli regge nella destra, serie di iniziali interpretate come: Nicolaus Lauretanus donum dedit vivens gloriosae virgini inclytae. Sulla manica sinistra, l'emblema della Compagnia dei “Fratelli Zardinieri”, formata dalle lettere F e Z sopra la rappresentazione di un giardino e da nubi con folgore (per un'esegesi della complessa immagine, cfr. lo studio di L. Zorzi indicato in bibliografia).


Emblema ricamato sul mantello di un Compagno di Calza:


*2. Vittore Carpaccio, Miracolo della Reliquia della Santa Croce a Rialto,1494 ca. dal ciclo dei Miracoli della Croce già nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista.

Venezia, Gallerie dell'Accademia


La moda degli emblemi è quanto mai rappresentativa del carattere riservato e iniziatico del sapere umanistico italiano, in particolare di quello d'ispirazione neoplatonica; influenza profondamente anche la pittura.

Per comprendere la moda degli emblemi e delle allegorie, occorre ricordare che, proprio col momento umanistico e rinascimentale, la cultura sta passando di mano: sottraendosi al controllo ecclesiastico, accentuando il recupero della tradizione classica soprattutto, ma anche araba ed ebraica, si inoltra spesso in domini rischiosi, se non proibiti. E’ quasi naturale che i pensatori piu’ arditi cerchino forme di comunicazione riservata, nella quale il pieno senso di alcuni messaggi messaggi e’accessibile solo agli iniziati.

Gli editori di libri, che sono tra i protagonisti di questa rivoluzione, si dotano spesso di emblemi:


3. Marchi di stampatori: Johannes Fust e Peter Schöffer, Johannes Froben, Geoffroy Tory, Aldo Manuzio, Robert Granjon, William Caxton, Robert Estienne il Giovane, Gli Elzevir, Christophe Plantin (da: Steinberg, Cinque secoli di stampa, tav.1)




4. Alberti, Autoritratto, placchetta bronzea, 19,7 x 13,3 cm

Parigi, Bibl.Nat., inv 2508


5. Alberti, Occhio alato

Firenze, Bibl. Nat., cod II.IV.38 (già Magl. XXI119), fl.92 r

Inchiostro e penna, 29,6 x 22 cm

Illustrazione tracciata al termine del trattato De Familia, scritto nel 1437-38, in una

raccolta di opere in volgare dell’Alberti.


6. Matteo De’ Pasti, Medaglia di Leon Battista Alberti, bronzo, diam. 9,3 cm

Washington, National Gallery



7. “ Cominus et Eminus” : emblema di Luigi XII re di Francia



8. Illustrazione da : Scipione Bargagli, La prima parte dell’imprese, Siena 1578


9. “Per te surgo”: da Camillo Camilli, impresa della famiglia Crotta


10. “ Ut quiescat”: da Cousin, Liber Fortunae, 1568


11. “Livor ut ignis alta petit”: da Girolamo Ruscelli, Imprese illustri, Venezia 1566


12 . “Hinc Clarior” : impresa di Pampilio Collalto


Illustrazioni da: E.H. Gombrich, Icones symbolicae (vedere titolo completo in bibliografia).






b. Giorgione



*13. Giorgione, La Tempesta.

Venezia, Gallerie dell'Acccademia



*14. Giorgione, I tre filosofi

Vienna, Kunsthistorisches Museum



Secondo due proposte interpretative argomentate e sostenute dall’iconologo Salvatore Settis nel suo La tempesta interpretata (vedi bibliografia), le due celebri immagini rappresenterebbero rispettivamente Adamo ed Eva dopo la caduta, e i tre Re Magi in veste di sapienti orientali in atto di compiere i loro studi astronomici per determinare la data e il luogo della nascita del Messia.

Queste letture sono messe in discussione nelle schede e nei saggi critici inclusi nel catalogo della mostra Giorgione/Le maraviglie dell’arte, tenutasi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Secondo Augusto Gentili, i tre personaggi nel dipinto di Vienna rappresenterebbero invece Mose’, Maometto e l’Anticristo, con riferimento alle indicazioni astronomiche sfavorevoli riferibili all’anno 1504 e contenute nella tabella che il piu’ anziano sapiente, Mose’ appunto secondo questa interpretazione, regge in mano.

Ulteriori riletture iconografiche dell’opera giorgionesca, che provano in sostanza quanto ancora aperta e problematica sia l’interpretazione del lavoro dell’artista, nel catalogo della mostra in corso a Castelfranco (vedere Bibliografia), sulla quale sarà necessario ritornare.


*15. Giorgione o Tiziano, Il concerto campestre

Parigi, Louvre


Questa e altre celebri composizioni veneziane del Rinascimento, dalla Laura dello stesso Giorgione alla composizione detta Amor Sacro e Amor profano, suggeriscono per la singolarita’ dei dettagli la presenza di un possibile significato allegorico, la cui determinazione permane tuttavia incerta. Fra le letture piu’ convincenti, in rapporto alla diffusione dell’ermetismo platonico negli ambienti umanistici veneziani per opera di umanisti quali Pietro Bembo e Leone Ebreo, da segnalare quelle a suo tempo proposte da Augusto Gentili (Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1996).




Bibliografia:



Allegorie, emblemi, imprese:


http://it.wikipedia.org/wiki/Motto


E.H. GOMBRICH, Icones Symbolicae: Filosofie del simbolismo e loro portata per l’arte, in Immagini simboliche, studi sull’arte del Rinascimento, trad.it Torino, Einaudi 1978


AA.VV. , Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo (Cat. della mostra a Palazzo Grassi, 1994) Bompiani, 1994



Sugli emblemi in Carpaccio:


L.ZORZI, Carpaccio e la rappresentazione di sant’Orsola,, Torino, Einaudi, 1988, in part. pagg-76-80.



Iconografie di Giorgione:


S.SETTIS, La “Tempesta” interpretata/Giorgione, i committanti, il soggetto, Torino, Einaudi, 1978


G. NEPI SCIRE’, S.ROSSI, Giorgione/“Le maraviglie dell’arte” (cat della mostra a Venezia, Gallerie dell’Accademia, 2003-2004), Venezia, Marsilio, 2003


E.M. DAL POZZOLO, L.PUPPI, Giorgione (cat della Mostra a Castelfranco, 2009-10), Milano, Skira, 2010





c. Evoluzione di Jheronimus Bosch



Il gusto per l’allegoria e l’immagine iniziatica che caratterizza il primo Rinascimento italiano ha corrispondenza nell’arte dell’Europa del Nord: Jheronimus Bosch (ca. 1450-1516), il maggior esponente dell’arte olandese fra quattrocento e Cinquecento, crea a partire da alcuni schemi iconografici tradizionali, principalmente il Giudizio finale e le Tentazioni di Sant’Antonio, composizioni sempre piu’ complesse sul tema del mondo degenerato, caduto in preda al disordine e alla follia, la cui comprensione da un certo momento in poi presuppone nel pubblico la conoscenza delle elaborazioni precedenti.

Sul finire della carriera, tuttavia (almeno secondo le piu’ attendibili ricostruzioni, poiche’ nessuna opera e’ giunta datata e non e’ stato finora possibile stabilire alcun nesso cronologico sicuro), Bosch abbandona l’allegorismo irrealistico per tornare a forme espressive piu’ aderenti al vero, nelle quali il significato simbolico va reperito sotto le sembianze della realta’ quotidiana.




16. Bosch, Il viandante (”Il figliol prodigo”) , due particolari.

Rotterdam, Museum Boymans – Van Beuningen




d. Emblematica e pittura nel secolo d'oro dell'arte olandese



In conseguenza della Riforma protestante, che a partire dal 1517 influenzera’ largamente la civilta’ e i costumi dell’Europa del Nord, vengono abolite le immagini sacre nelle chiese. In Germania e nei Paesi Bassi, la produzione pittorica abbandona di conseguenza i temi sacri per praticare i generi della natura mostra, del ritratto, della scena urbana, degli interni, della natura morta, del paesaggio.

Questa fiorente produzione, a carattere in apparenza realistico, non spiega il suo intenso fascino e il suo senso di mistero se non si tengono in considerazione le premesse da cui nasce, ovvero che si tratta di una trasformazione della pittura sacra. “Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc facie ad faciem”, afferma San Paolo, uno degli autori sacri piu’ attentamente considerati dai teologi della Riforma: “Ora vediamo attraverso lo specchio in un enigma, allora (e cioe’ nella vita eterna) vedremo Dio in volto”.

Rapportato alle arti figurative, questo puo’ significare che il volto di Dio non va raffigurato direttamente poiche’ e’ ovunque intorno a noi, nascosto nell’apparenza delle cose, dalle piu’ grandi alle piu’umili, senza distinzione.

Gli scenari di campagna di Ruysdael, con le sue distese di biade e i modesti casolari, le casette dell’anonima stradina di Vermeer, la vita minuscola di una zolla d’erba diventano percio’ misteriose allegorie sacre, delle quali il credente deve saper ritrovare il senso.

Molte scene di genere olandesi del Seicento, in apparenza semplici e fedeli trascrizioni di vita quotidiana, contengono spesso nascoste allusioni all'emblematica morale in voga all'epoca e diffusa dalle stampe:


17. Gerard ter Borch, La caccia ai pidocchi (ca. 1623-53), ol./tav. 33,5 x 29 cm.

L'Aja, Mauritshuis


18. Purgat et ornat ("Pulisce ed orna"), emblema, dal libro Sinnepoppen di Romer Visscher (1614)


19. Pieter Pietersz, Ritratto di Cornelis Schellinger, 1584, ol./tav., 68 x 51 cm.

L'Aja, Mauritshuis


20. "Elck zjin tjid" ("Ciascuno a suo tempo"), emblema, dal libro Sinnepoppen di Romer Visscher (1614)


21. Pieter Saenredam, La chiesa di Sant’Odulfo ad Assenfeldt

Amsterdam, Rijksmuseum


*22. Jan Vermeer, “La stradina”.

Amsterdam, Rijksmuseum


*23. Vincent Van Gogh, Il riposo meridiano (da Millet), 1889-90.

Parigi, Musée d’Orsay



Bibliografia


R. ROMANO - A.TENENTI, Alle origini del mondo moderno (1350-1550) , Ed.it. Milano, Feltrinelli, 1967

B. BROOS, Mauritshuis - Guide to the Royal Cabinet of Paintings, L'Aja, SDU Uitgeverij, 1988

S. SCHAMA, La cultura olandese dell'epoca d'oro, trad.it. Milano, Il Saggiatore, 1988

D. W. DRUICK, P. K. ZEGERS, Van Gogh e Gauguin : lo studio del sud, trad. it . Milano, Electa, 2002 (pubbl. in occasione di una mostra tenuta a Chicago nel 2001-2002 e a Amsterdam nel 2002).

G.VALLESE, Van Gogh, Milano, Giorgio Mondadori, 2002 (alleg. a: “Arte” n° 352, dicembre 2002)

6. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA L'Uomo Vitruviano / Collezioni Medicee



a) L’uomo vitruviano di Leonardo



1. Leonardo, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio, 1490 ca.
Punta metallica, penna e inchiostro, tocchi di acquerello su carta bianca, 344 x245 mm
Venezia, Gallerie dell’Accademia

Nel terzo libro del De Architectura, l’architetto e teorico latino Vitruvio sostiene che le parti di un edificio devono essere ben proporzionate, a similitudine di quelle di un bel corpo umano (“homo bene figuratus”), e che un metodo indicativo per stabilire se un uomo è ben proporzionato è il seguente: in piedi, a braccia allargate e piedi uniti, la figura deve essere inscrivibile in un quadrato; disteso a terra, con braccia e gambe leggermente divaricate, dev’essere inscrivibile in un cerchio con il centro nell’ombelico. Se il modello prescelto soddisfa a entrambe queste proporzioni, può definirsi homo bene figuratus, e l’architetto può procedere a studiare le sue proporzioni, per applicarle quindi agli edifici.
Oltre a Leonardo, in questo celebre disegno ben rifinito e che ha i caratteri di un’illustrazione predisposta per essere tradotta in un’illustrazione a stampa (Pedretti), del tema si occuparono numerosi artisti e architetti del Rinascimento. Tra essi Fra’ Giocondo da Verona (c 1433 – 1515), che nella sua edizione di Vitruvio pubblicata a Venezia nel 1511, raffigura l’uomo nel cerchio e nel quadrato in due immagini separate. L’architetto, pittore e trattatista milanese Cesare Cesariano (1475-1573), nel suo De Lucio Vitruvio (Como 1521), riprduce con varianti il prototipo leonardesco.
Nel De harmonia mundi totius (Venezia 1525), Francesco Zorzi, monaco umanista d’ispirazione neoplatonica del convento di San Francesco della Vigna a Venezia, presenta con significato cosmico la figura dell’Homo ad circulum. Francesco di Giorgio (1439-1501), scultore e architetto senese, nel suo trattato di architettura (un libro posseduto e annotato da Leonardo), aveva proposto solo l’uomo nel cerchio.
(Wittkower figg.1,2,3,4,6,7,8,9,10,11,12,13,14, 15, 20-24, 25-27, 32).
Nelle elaborazioni diverse dell’uomo vitruviano, qui presentate, diviene peraltro chiaro che per gli umanisti rinascimentali il tema si fonde con altri, ugualmente ereditati dall’antichità e arricchiti di significato cristiano, come: macrocosmo e microcosmo (l’uomo visto come modello nel quale si rispecchia l’ordine del cosmo intero).
Sulla base di dottrine classiche, risalenti a Pitagora, riprese da Platone nel suo dialogo Timeo, e riscoperte nel Rinascimento, la musica, più precisamente le proporzioni numeriche che esprimono gli intervalli musicali, sono alla base dell’armonia dell’universo intero: regolano i moti delle stelle come la bellezza e la salute del corpo umano. Di qui lo stretto rapporto che intercorre nel Rinascimento tra studi musicali, architettura e scienza medica.

b) La lira da braccio, Leonardo e le dottrine pitagoriche.

Insieme al liuto, la lira da braccio è lo strumento a corde più popolare nel Rinascimento. Si usava per la dizione poetica accompagnata, nella quale le fonti asseriscono che Leonardo era assai versato.

*2. Vittore Carpaccio, Presentazione al tempio, part.: Angelo che suona la lira da braccio.
Venezia, Gallerie dell’Accademia

*3. Giovanni Bellini, Pala di San Zaccaria, part.: Angelo che suona la lira da braccio.
Venezia, San Zaccaria

4. Benedetto Montagna, Orfeo incanta le fiere, incisione.

5. La gara fra Apollo e Pan. Silografia dall’Ovidio Metamorphoseon Volgare, Venezia 1501., fol 143 r

*6. Liuto e lira da braccio, tarsia lignea.
Urbino, Palazzo Ducale, Studiolo

7. Liuto e lira da braccio, tarsia lignea.
Verona, Santa Maria in Organo

La pratica musicale di molti artisti del Rinascimento, fra cui Verrocchio, Raffaello e Leonardo, è da porre in collegamento con il revival delle dottrine pitagoriche. Pitagora e la sua scuola sostenevano che tutta una serie di fenomeni naturali sono traducibili in rapporti numerici, e sono quindi rappresentabili in modo matematico. In particolare sono traducibili in numero le armonie musicali; di conseguenza, i Pitagorici praticarono la musica come mezzo di conoscenza e purificazione.
Nella Milano di Ludovico il Moro, operò il famoso teorico Franchino Gaffurio (possibile soggetto di un famoso ritratto di Leonardo), che, nei suoi trattati Pratica musica e De Harmonia Musicorum Instrumentorum (1518), appare in una celebre silografia, mentre insegna a una folla di allievi le corrispondenze fra le armonie musicali e quelle geometriche. Queste corrispondenze tra armonie musicali e armonie visive erano oggetto di intenso interesse da parte di artisti e architetti.

*8. Leonardo, Ritratto di musico.
Milano, Pinacoteca Ambrosiana



*9. Raffaello, La Scuola di Atene, part.: il filosofo Platone con il suo trattato Il Timeo. Affresco, 1509-10
Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura


10. , 11. Raffaello, La Scuola di Atene, part.: Il filosofo Pitagora, circondato da allievi, e una lavagna con gli schemi numerici degli intervalli che generano l’armonia musicale.
Affresco, 1509-10
Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura



c) Le collezioni medicee e il loro ruolo nella formazione degli artisti


*12. Botticelli, Nascita di Venere, ol./tav., 1482(?)
Firenze, Uffizi

*13. - 14. Cammeo di età ellenistica detto “Tazza Farnese”, recto e verso.
Napoli, Museo archeologico Nazionale
Gemma considerata dal Magnifico il pezzo più importante della sua collezione.
http://it.wikipedia.org/wiki/Tazza_Farnese
http://marcheo.napolibeniculturali.it/itinerari-tematici/galleria-di-immagini/RA147


15. Dioskurides, Apollo, Marsia e Olympos, corniola detta “Il sigillo di Nerone”.
Napoli, Museo archeologico Nazionale

16. Frontespizio di un manoscritto di Omero, 1488, part.
Napoli, Biblioteca Nazionale

17. Sandro Botticelli (cerchia), Ritratto di giovane donna, part.
Francoforte, Staedelsches Kunstinstitut

18. Raffaello, La Scuola di Atene, part.: Apollo con la lira. Affresco, 1509-1e
Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura


Una parte consistente delle collezioni medicee del Quattrocento è costituita da gemme e monete antiche, da cui gli artisti della cerchia, come negli esempi appena visti, traggono ispirazione per soluzioni stilistiche e temi iconografici. L’offrire a valenti giovani artisti l’accesso alla collezione dei marmi antichi (custoditi nel Giardino di San Marco) e a quella delle gemme, oltre che alla conversazione con umanisti e intellettuali della cerchia familiare, costituisce il primo germe dell’idea di un’accademia d’arte. La prima Accademia di belle arti della storia, concepita con la formula tuttora in uso di luogo d’incontro fra i saperi artigianali connessi all’arte e discipline umanistiche, prenderà in effetti una forma istituzionale proprio a Firenze oltre mezzo secolo dopo: si tratta dell’Accademia del Disegno fondata nel 1562 da Giorgio Vasari, e cui furono messi a capo come “principi”, e significativamente posti sullo stesso piano, Michelangelo Buonarroti, allora all’apice della fama, e il granduca di Firenze Cosimo I de’ Medici.







Bibliografia

a) Il revival platonico e l’applicazione dei principi armonici nell’architettura:

R. WITTKOWER, Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo (1962), trad. it. Torino, Einaudi
O. M. UNGERS, “Ordo, pondo et mensura”: criteri architettonici del Rinascimento, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo (cat. della mostra a Venezia, Palazzo Grassi), Milano, Bompiani, 1994
G.REALE, La ‘Scuola di Atene’ di Raffaello, Milano, Bompiani, 2002

b) Leonardo da Vinci musicista:

E.WINTERNITZ, Leonardo da Vinci as a Musician, New Haven e Londra, Yale University Press, 1982
G.VALLESE, Leonardo’s ‘Skull lyre’, in 'Tutte le opere non son per istancarmi’, Raccolta di scritti per i settant’anni di Carlo Pedretti, Roma, Edizioni associate, 1998, pagg. 405-424




c) Botticelli:

E.H. GOMBRICH, Mitologie botticelliane/Uno studio sul simbolismo neoplatonico della cerchia del Botticelli (1945), in Immagini simboliche/Studi sull’arte del Rinascimento, trad.it. Torino, Einaudi, 1978
C. BO, G. MANDEL, L’opera completa del Botticelli, Milano, Rizzoli (“Classici dell’Arte”, N°5), 1967
C. DEMPSEY, The Portrayal of Love/Botticelli’s Primavera and the Humanist Culture at the time of Lorenzo The Magnificent, Princeton, N.J., Princeton University Press, 1992

Fare inoltre riferimento alle schede relative alle singole opere contenute nel catalogo informatico del Polo Museale Fiorentino:
http://www.polomuseale.firenze.it/

Sulle collezioni medicee, la loro influenza sugli artisti e le origini dell’Accademia del Disegno a Firenze:

N.DACOS, Arte italiana e arte antica, in Storia dell’Arte italiana, Parte prima, volume terzo, Torino, Einaudi, 1979
F.M.TUENA, G.MORI, Il tesoro dei Medici/collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento, Firenze, Giunti (“Art Dossier N° 18), 1987
N. PEVSNER, Le Accademie d’arte (1940) , Trad.it Torino, Einaudi, 1982



PUBBLICATO DA GLORIA.VALLESE A 10:01
ETICHETTE: BELLINI, CARPACCIO, FRA' GIOCONDO, FRANCESCO DI GIORGIO, FRANCESCO ZORZI, LEONARDO DA VINCI, RAFFAELLO, SCUOLA D'ATENE, WITTKOWERL'Uomo vitruviano/Com

5. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA Leonardo: i Nodi, la Sala delle Asse, l’Achademia Leonardi Vinci


a) I Nodi e l’Achademia
I nodi, formati da complicati intrecci geometrici detti anche “cordelle alla damaschina”, compaiono in sei incisioni prodotte in ambiente milanese al principio del ‘500. Dürer li copiò in altrettante silografie, omettendo le iscrizioni.
Gli intagliatori delle sei incisioni non sono noti, ma il riferimento dell’invenzione a Leonardo stesso non è mai stato posto in discussione, dato che nel periodo milanese i nodi (o “vinci”, in italiano antico), divengono per l’artista una sorta di sigla, di emblema personale che egli usa dappertutto, nei disegni per gioielli, acconciature, accessori, e nella decorazione della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco. 
*1.- 6., I Nodi vinciani, incisioni a bulino.
Milano, Biblioteca Ambrosiana
7. Copia di Dürer da uno dei nodi vinciani, silografia.
*8. L’Androgino. Incisione a bulino di derivazione leonardesca.
Londra, British Museum
9. Tre else di spada, disegno
Milano, Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, fol 366.
10. Leonardo da Vinci, Studi per la testa di Leda.
Windsor Castle, Royal Library, Inv 12516 
11. Leonardo da Vinci, Studi per la testa di Leda.
Windsor Castle, Royal Library, Inv 12518
Se il Vasari considerava i “nodi” leonardeschi semplici divertimenti, eseguiti dall’artista per dar prova del proprio virtuosismo, per l’iconografo moderno le sei incisioni sono oggetti del tutto seri, e molto complessi da un punto di vista iconografico. Anzitutto, presentano l’iscrizione “Achademia Leonardi Vinci”, ponendo il problema di una possibile “scuola”, un’accademia di belle arti ante litteram, con marcato accento sugli aspetti intellettuali e matematici della formazione dell’artista, che Leonardo avrebbe fondato a Milano, sotto gli auspici di Ludovico il Moro. 
Benché manchino testimonianze documentarie circa questa accademia leonardesca a Milano, che certamente dovette avere i caratteri del cenacolo amichevole più che quelli di una vera e propria scuola d’arte a carattere istituzionale, studi recenti si pronunciano a favore della sua esistenza. 
Essa anticiperebbe di oltre mezzo secolo la prima Accademia d’arte della storia (istituita da Giorgio Vasari a Firenze nel 1562), e seguirebbe di poco le accademie umanistiche a carattere filosofico, d’impronta neoplatonica, di cui fiorirono alla metà del ‘400, sempre a Firenze, i primi esempi. 
Esiste inoltre una settima incisione, anch’essa di formato circolare e corredata dall’iscrizione Achademia Leonardi Vinci, che presenta non una composizione geometrica ma una figura di profilo, nella quale gli studiosi concordano nel riconoscere il “divino androgino”, descritto da Platone come il tipo umano della specie più elevata. Quest’opera proverebbe dunque il collegamento fra l’Accademia vinciana di Milano e il pensiero platonico, cui le accademie si umanistiche fiorentine si ispiravano.
Per quanto riguarda le sei “rose” geometriche disegnate da Leonardo, si tratta di un motivo di derivazione islamica che all’epoca di Leonardo veniva applicato alla decorazione degli strumenti musicali, e in particolare del liuto, lo strumento a corde più comune del Rinascimento (Headlam Wells, 1981, vedi bibliografia).
In questi motivi islamici sopravvive una geometria intrisa di misticismo, di origine pitagorico-platonica, che mira a tradurre in immagine non figurativa le qualità e gli attributi di Dio (Baltrusaitis 1955, vedi bibliografia).
Non a caso simili “stelle” geometriche appaiono con insistenza nelle chiese a pianta centrale che così intensamente affascinano gli architetti del Rinascimento (Wittkower).
Il collegamento con il mondo degli strumenti nusicali, più precisamente con uno strumento di marcata derivazione araba, come il liuto, non è privo di significato, poichè l’umanesimo a Milano aveva un’intensa impregnazione musicale, a differenza di quello fiorentino, più orientato alle arti figurative. 
Sappiamo fra l’altro che l’incontro tra Leonardo e Ludovico il Moro avvenne sotto il segno della musica, con Leonardo, valente suonatore di lira (e dicitore di rime “all’improvviso”, accompagnate dal suono dello strumento), che dona al Moro una lira o viola da lui fabbricata “d’argento in parte, in forma d’un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova”.
Secondo le riscoperte dottrine neoplatoniche, la musica riconcilia il microcosmo umano con il macrocosmo, e la segreta natura numerica dei rapporti armonici può essere studiata e impiegata terapeuticamente, oppure per rendere belle le proporzioni di una figura o di un edificio. 
*b) La Sala delle Asse nel Castello Sforzesco a Milano. 
La creazione più famosa di Leonardo al Castello è il grande affresco sulla volta della Sala "delle Asse" (detta così dalle assi o tavole di legno che rivestivano la parte inferiore delle pareti). Qui l’artista affrescò un finto pergolato, formato dai rami fioriti di sedici alberi i cui rami intrecciati formano l'emblema vinciano del nodo, che racchiude al centro le insegne araldiche del committente, Ludovico il Moro signore di Milano, e della sua sposa. Alle fronde s’intreccia un cordone dorato, in armoniose volute; l’opera fu infatti eseguita in occasione delle nozze di Ludovico il Moro con Beatrice d’Este, e si presume che sia stata iniziata nel 1498.
Bibliografia
Le sei incisioni dei “nodi” vinciani:
C.ALBERICI (a cura di), Leonardo e l’incisione, Cat. della mostra al Castello Sforzesco, Milano, Electa,  1984

Le “rose” degli strumenti musicali e il loro rapporto con le teorie pitagorico-platoniche del numero, dell’armonia, e della terapia mediante la musica:
R. HEADLAM WILLIS, Number Symbolism in the Renaissance Lute Rose, “Early  Music” I, 1981, pagg. 32-42 

I “nodi” di Leonardo e la loro radice nella cultura islamica:
J. BALTRUSAITIS, Il Medioevo fantastico (1955), trad. it. Milano, Adelphi, 1973, cap. 3.2

La questione dell’Accademia milanese di Leonardo:

A.PEVSNER, Le Accademie d’arte (1940), trad.it. Torino, Einaudi, 1982

4. ELEMENTI DI ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA L’Europa del Nord / Il mondo ai margini: iconografia dei manoscritti miniati nel tardo Medioevo







a) Iconografie rinascimentali, Europa del Nord







Sebastian Brant nacque a Strasburgo nel 1457 (morì nel 1521). Tradusse autori latini e scrisse poesie religiose in latino. La sua fama è legata al poema La nave dei folli (Das Narrenschiff, 1494) redatto originariamente in dialetto alsaziano e intercalato da proverbi: una mordente satira delle follie umane, che Brant propone di guarire con l’ironia. L’opera, tradotta in seguito in latino e in diverse lingue europee moderne, fu il primo best-seller della storia della stampa, prototipo di una copiosa letteratura sul tema della follia umana per tutto il XVI e XVII secolo. Fra i primi imitatori, il parigino Josse Bade, che scrisse nel 1502 una “Nave delle pazze”.

Capolavoro di questo fortunato filone letterario è L’elogio della follia (Encomium Moriae) di Erasmo da Rotterdam, una fra le maggiori personalità dell’umanesimo nordico, pubblicato per la prima volta nel 1508.

L’olandese Jheronimus Bosch (1450 ca.-1516) è il primo artista a tradurre in pittura il tema della follia, creando iconografie originali. Le sue fonti sono i fogli silografici e le illustrazioni dei libri da un lato, dall’altro le vignette e le illustrazioni marginali, dense di ironia, dei miniatori tardogotici nordici, in particolare della scuola di Utrecht.







1. Jheronimus Bosch, La Nave dei folli , ol./tav., 1490-1500 ca.

Parigi, Louvre



2. Nave dei pazzi con Eva come madre di tutti i pazzi, silografia da Stultiferae naviculae ("Le navicelle delle donne pazze"), Johannes Prüss, Lione 1502



3. Navicella delle follie del gusto, silografia da Stultiferae naviculae ("Le navicelle delle donne pazze"), Johannes Prüss, Lione 1502



4. Bosch, La Nave dei folli, ol./tav., 1490-1500 ca., part.: figure che mordono un oggetto sospeso.

Parigi, Louvre



5. Due teste mordono un oggetto sospeso, miniatura, Libro d’Ore di Gysbrecht de Brederode, Utrecht, 1460 ca., fol. 63

Liegi, Bibliothèque de l’Université, MS Wittert 13



6. Capolettera con testa grottesca, miniatura, Libro d’Ore di Gysbrecht de Brederode, Utrecht, 1460 ca.

Liegi, Bibliothèque de l’Université, MS Wittert 13, fol.131v



7. Jheronimus Bosch, Incoronazione di spine, tavola, 1510-16.

Londra, National Gallery



8. Jheronimus Bosch, ‘Il carro di fieno’, tavola, 1500-05 circa, part.: musicista grottesco

Madrid, Prado



8. Jheronimus Bosch, ‘Il carro di fieno’, tavola, 1500-05 circa, part.: musicista grottesco

Madrid, Prado



9. Liedet Loyset e Philippe de Mazerolles, Musicista grottesco. Ornato marginale dalle Chroniques d’Hainault di Jean Froissart.

Berlino, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz



10. Jheronimus Bosch, La Morte dell’Avaro, ol./tav., 1490-1500 ca.

Washington, National Gallery



11. La morte entra nella camera di un malato, miniatura.

Parigi, Bibl.Nat., MS Lat. 9471, fol 196



12. L'avaro che accumula, silografia dal Narrenschiff ("La nave dei Folli") di Sebastian Brant, edizione del 1494





b) Iconografia dei manoscritti





La pagina del manoscritto miniato medievale ha tre partizioni: il testo, in latino o in volgare, con numerose abbreviature, opera dello scriptor; la vignetta principale, a carattere narrativo e per solito strettamente correlata al contenuto del testo, opera di un pittore specializzato, l’historiator; e dei margini decorati più liberamente, spesso con immagini grottesche o con scene della vita quotidiana, il cui ruolo è di allietare il lettore, rendere gradevole la pagina, farla “ridere” (“più ridon le carte/che pennelleggia Franco bolognese”, recita un celebre verso di Dante). La decorazione marginale è opera di un terzo artista specializzato, l’illuminator, l’illuminatore. E’ proprio a partire dai margini dei libri a destinazione privata, che a partire dal tardomedioevo si svilupperà una vera e propria rivoluzione pittorica, in direzione sia di una satira paradossale e trasgressiva, sia di un accentuato realismo quotidiano, di cui come si è visto Jheronimus Bosch sarà tra i primi a cogliere il senso e a tradurlo in pittura.





13. Iniziale “C” con Chierici che cantano da un libro e margine con Caccia alla rovescia. Pagina dal Salterio di Guy de Dampierre, Fracia Sett., 2.a metà del sec. XIII.



14. Vignetta con San Sebastiano e ornato marginale con cavalieri grotteschi, dal Livre d’Heures di Gysbrecht de Brederode. Utrecht, 1460 ca., fol. 125 verso



15.-29. Pagine dal Libro d’Ore di Caterina di Cléves, Utrecht ca. 1440

New York, Pierpont Morgan Library, MSS. 917 e 945







Bibliografia







Iconografia della morte nel tardo Medioevo:



A.TENENTI, il senso della morte e l’amore della vita nel rinascimento (1957), Torino, Einaudi



Iconografia “marginale”:



V. I. J. FLINT, The Rise of Magic in Early Medieval Europe, Oxford, Clarendon, 1991

M. CAMILLE, Image on the Edge/The Margins of Medieval Art, Londra, Reaktion Books, 1992

J. PLUMMER (a cura di), The Hours of Catherine of Cleves, New York, Braziller, 1966


G.VALLESE, Il tema della follia nell’arte di Bosch: iconografia e stile, “Paragone/Arte” n° 405, novembre 1983, pagg. 3-49

G.VALLESE, Follia e mondo alla rovescia nel Giardino delle Delizie di Bosch, “Paragone/Arte” n° 447, maggio 1987,  pagg. 3-22






Biennio 7. Twitter / Grandi spazi: La Nef del Grand Palais di Parigi, progetto Monumenta

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA/Biennio
Docente: Gloria Vallese




 Grandi spazi:



Il Grand Palais e la Nef:
http://www.grandpalais.fr/fr/Accueil/p-93-Accueil.htm

*Mostra “Dans la nuit des images”:
http://espresso.repubblica.it/style_design/cerca/4184076/1?keyword=leso

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Larte-elettronica-illumina-la-notte/2054006/9
(Nota per gli studenti: fare ricerche in dettaglio sugli artisti e gli altri personaggi citati)

Bernard Tschumi (architetto), Alan Fleischer (direttore), Le Fresnoy, the National Studio for Contemporary Arts in Tourcoing, France:

https://www.alibris.com/search/books/subject/Fresnoy%20Art%20center%20Tourcoing%20France

http://www.hentschlager.info/portfolio/karmacell/karmacell.html

http://video.google.com/videosearch?client=safari&rls=en&q=Ryoji%20Ikeda%20data%20tron&oe=UTF-8&um=1&ie=UTF-8&sa=N&hl=en&tab=wv#

http://video.google.com/videosearch?client=safari&rls=en&q=kaiser%20eshkar%20pedestrian&oe=UTF-8&um=1&ie=UTF-8&sa=N&hl=en&tab=wv


*Anselm Kiefer e Monumenta:
http://www.monumenta.com/2007/index.php?option=com_content&task=view&id=212&Itemid=9

http://images.google.it/imgres?imgurl=http://graphics8.nytimes.com/images/2007/05/31/arts/31kief-600.jpg&imgrefurl=http://www.nytimes.com/2007/05/31/arts/design/31kief.html%3Ffta%3Dy%26pagewanted%3Dall&usg=__XtAN5MdtJ93fbPVQ0bhW7hiaSVk=&h=333&w=600&sz=104&hl=it&start=10&sig2=Ks4dUgTe4rLNoZ4tKKQ7Tw&tbnid=1q5TqDbCQ7XxcM:&tbnh=75&tbnw=135&prev=/images%3Fq%3Dkiefer%2Bgrand%2Bpalais%26gbv%3D2%26hl%3Dit%26sa%3DG&ei=cO7mSebUFoGPsAaFj5mABw

*Richard Serra e Monumenta:
http://www.monumenta.com/2008/content/view/3/27/lang,en/

http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2008/may/13/art.culture

*Christian Boltanski e Monumenta
http://www.guardian.co.uk/artanddesign/2010/jan/17/christian-boltanski-personnnes-paris-review


Esposizioni Universali e architettura in ferro e vetro:

http://it.wikipedia.org/wiki/Esposizione_universale

Tomas Saraceno e il progetto "Raise the Cloud" per Londra 2012:
http://www.raisethecloud.org/


Bibliografia
Vedere i link citati nel testo










Bibliografia

Vedere i link citati nel testo

7. TRIENNIO 2012. Mariko Mori

Docente: Gloria Vallese
Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA




Mariko Mori



L’artista giapponese Mariko Mori inizia a lavorare nella metà degli anni ‘90, realizzando fotografie che la ritraggono in abiti da lei stessa disegnati nello scenario urbano contemporaneo. Cyborg e geisha, le donne di queste immagini provocano i passanti con i loro abbigliamenti estremi associati ad atteggiamenti sottomessi e invitanti.
Come scrive Costanza Baldini, “L’artista gioca con lo stereotipo femminile, creando provocatorie reazioni alla subalternità della donna in Giappone, tramite figure di donne artificiali, a metà tra l’umano e l’androide, cyborg venute dal futuro, ‘electric geisha’ con un’aura da creature mitologizzate e distanti “ (http://www.vitaminic.it/2008/01/cross-the-line-14-bjorkmariko-mori/ ).

La tecnologia usata in questa prima fase è seduttiva, spettacolare, fatta di luci e flash, effimera, e crea un effetto di coinvolgimento straniante per chi guarda in modo leggero e piacevole.

*1. Mariko Mori, Birth of a star, 1995 . Lightbox con audio, 183 x 122 cm
http://www.deitch.com/projects/sub.php?projId=68
Quest’opera è connessa a un’importante mostra a New York e Tokio, MADE IN JAPAN (1996), con la quale la giovane artista ha richiamato l’attenzione della critica di tutto il mondo.
In questa e in altre opere, Mori appare in prima persona come una ragazzina giapponese appassionata dei manga o un’aliena, bambola consumistica da un pianeta di plastica.
Con queste immagini e questi materiali, l’artista enuncia quelli che saranno i suoi temi per il decennio successivo: riferimenti al mondo pop della moda e dei fumetti, il corpo usato come in quella forma di body art collettiva che è la moda, piegato a linee estremamente artificiali.


2. Mariko Mori, Tea Ceremony, 1995, serie fotografica.


*3. Miko No Inori, video, 1996.
http://www.youtube.com/watch?v=Bwl6G9L6bk8

L’inizio della transizione verso tematiche più complesse avviene verso la metà della sua carriera, intorno alla fine degli anni ’90.
Un’opera del 1997, intitolata Nirvana, è in questo caso significativa. Si tratta di un video tridimensionale presentato alla Biennale di Venezia del 1997, in cui la Mori assume le sembianze della dea buddista Kichijoten.
Gli spettatori, forniti di occhiali speciali che consentono la visualizzazione tridimensionale, sono immersi nello spazio illusorio del video. Presenti in prima persona nell’atmosfera fiabesca e senza tempo del paesaggio, sono chiamati a contemplare da vicino le magiche trasformazioni della dea, la cui eterea apparizione è accompagnata da segni miracolosi come profumi, musiche e l’improvviso materializzarsi di presenze fisiche.

*4. Mariko Mori, Nirvana, 3D video, 1997

Questa nuova linea espressiva, in cui l’artista prende sempre più sul serio il suo ruolo di mediatrice di contenuti spirituali, bilanciando la più antica tradizione con le tecnologie più innovative, si manifesta perfettamente nella mostra che la Mori tiene nel 1999 alla Fondazione Prada, intitolata Garden of Purification. La mostra culmina in una complessa e monumentale installazione: gli spazi visionari del Dream Temple.


5. Mariko Mori, Dream Temple, installazione multimediale, 1999.


La mostra culmina in una complessa e monumentale installazione: gli spazi visionari del Dream Temple, per il quale Mori si è ispirata allo Yumedono (”Padiglione dei sogni”) di Horyuuji, il tempio più antico del Giappone, fondato nel 607 dal principe Shoutoku (574-622).

http://www.fondazioneprada.org/
http://www.fondazioneprada.org/ita/comunicati/MM.ITA.pdf

Dream Temple segna il passaggio alla fase stilistica più recente in cui Mori si ritira fisicamente dalle sue grandi installazioni, lasciando spazio all’interattività tra il pubblico e l’opera. Quest’ultima è spesso un’installazione imponente, realizzata con grrandi mezzi e sofisticate tecnologie.
Ne è un esempio l’installazione interattiva ‘Wave UFO’, che l’artista presenta alla Biennale di Venezia nel 2005.


*6. Mariko Mori, Wave UFO, 2005, installazione interattiva.


Scalette bianche introducono il visitatore all’interno dell’installazione (5 x 11 x 5 m ca.): una navicella spaziale vera e propria, ma la cui forma organica rende possibili associazioni più complesse, legate alla storia religiosa, come l’esperienza di conversione di Giona nel ventre del pesce narrata dalla Bibbia.
All’interno c’è spazio per tre persone, che vengono fatte adagiare su un divano di Technogel. Ogni visitatore viene munito di elettrodi che assistenti vestiti di bianco attaccano con il gel sulla fronte e ai lati della testa. In questo modo è possibile raccogliere dati sulle onde cerebrali. Tali informazioni sono tradotte in immagini che corrispondono all’attività del cervello e che vengono proiettate sul soffitto emisferico della “navicella”. L’attività dei due lobi del cervello assume la forma di due bolle in movimento. Anche i loro colori cambiano continuamente: blu denota rilassamento e meditazione; rosso vuol dire tensione, agitazione.
Inizialmente, le prioezioni delle onde cerebrali dei tre visitatori appaiono in tre gruppi distinti: successivamente, un apposito software le elabora e le fonde insieme, dando loro la forma di una pioggia di bolle colorate che piovono dalla sommità del soffitto a cupola della navicella verso il basso, simulando l’effetto visivo di un viaggio verso le profondità dell’universo che i tre visitatori condividono.

Gli anni recenti hanno visto grandi retrospettive di Mariko Mori in tutto il mondo: segnaliamo quelle presso Deitch, New York, a Groninga, nei Paesi Bassi, al Guggenheim Museum di Bilbao. Vedere i link corrispondenti nel seguente elenco:

http://www.photography-now.com/artists/K07620.html

Nelle opere attuali, Mori sembra ritornare a forme per alcuni aspetti più tradizionali della scultura, riprendendo opere cultuali preistoriche o antichissime, come i cerchi di pietre, e facendoli rivivere in versione tecnologica, con materiali adatti a suggerire particolari esperienze tattili e capaci di emettere una particolare luminescenza.

http://it.wikipedia.org/wiki/Periodo_Jōmon

*7 Mariko Mori, Tida Dome, 2011, installazione.

http://www.archdaily.com/190397/mariko-moris-journey-to-seven-light-bay-exhibition/




Bibliografia


http://www.fondazioneprada.org/ita/comunicati/MM.ITA.pdf

http://www.wdirewolff.com/Mariko.htm

http://www.youtube.com/watch?v=bYwbNirN4Hk&feature=related

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.orbit.zkm.de/files/orbit/LinkoftheMoon_MarikoMori.jpg&imgrefurl=http://www.orbit.zkm.de/%3Fq%3Dnode/192&h=433&w=600&sz=31&tbnid=OsYSCMGMs4lbyM::&tbnh=97&tbnw=135&prev=/images%3Fq%3Dmariko%2Bmori&hl=it&usg=__tgedwgSq2U-KvLyW1xeFnkh2oiA=&ei=12THSfjAMtyKsAah5OHlCw&sa=X&oi=image_result&resnum=1&ct=image&cd=1

http://www.deitch.com/artists/selected_works.php?selectedWorksId=32&artistId=15
http://www.archdaily.com/190397/mariko-moris-journey-to-seven-light-bay-exhibition/

6. TRIENNIO 2012. Artisti e videocamere di sicurezza: Julia Scher, Jonas Dahlberg, Ann-Sofi Sidén

Accademia di Belle Arti in Venezia
STORIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Docente: Gloria Vallese







a) Julia Scher



1. Julia Scher, Security Land, 1995




Con le sue opere basate sulla videocamere di sicurezza, Julia Scher ha contribuito a lanciare un filone in seguito abbracciato da diversi artisti, fra cui Jonas Dahlberg e Ann-Sofi Siden.
Dopo aver realizzato le sue prime opere interagendo con le videocamere di sorveglianza situate nel college universitario nel quale studiava, la Scher è diventata animatrice dei Surveillance Camera Players, un collettivo che dal 1996 interagisce con le videocamere di sorveglianza collocate negli spazi pubblici.

Sul suo coinvolgimento nell’ambito della net art, vedere l’intervista:
http://rhizome.org/discuss/view/29746/#2772




b) Jonas Dahlberg




Lo svedese Jonas Dahlberg è soprattutto noto per due opere video create realizzando modellini architettonici entro i queli una videocamenra viene succesivamente fatta scorrere su binari.
Il risultato è estremamente suggestivo: l’occhio della telecamera scorre con una regolarità innaturale attraverso una sequenza di stanze vuote, simili in apparenza ai corridoi deserti di un albergo, con un effetto che è estremamente ricco di suspense, vagamente associabile, attraverso il bianco e nero, a scene e atmosfere di vecchi film.



*2. Jonas Dahlberg, Horizontal Sliding, 2000, videoinstallazione


3. Jonas Dahlberg, Vertical Sliding, 

2001.
Opera presentata fra l’altro alla Biennale di Venezia nel 2003.


Nell’opera:


*4. Safe Zones N°9, 2004

l’intervento consisteva nell’apparente collocazione di videocamere di sorveglianza nei bagni, che realtà sono soltanto riprodotti in modellini e poi filmati; l’operazione mira a far riflettere sulle nostre attese riguardo alle videocamere di sorveglianza e sulle nostre sensazioni riguardo all’essere osservati/spiati.



http://www.jonasdahlberg.com/




c) Ann-Sofi Sidén

Nel seguente link si trova un profilo di Ann-Sofi Siden, una delle maggiori artiste svedesi contemporanee, il cui lavoro si focalizza sulla donna, spesso con l’uso di videocamere di sicurezza:

http://www.undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/cgi-bin/undo/magazines/magazines.pl%3Fid%3D951344786%26riv%3Dflashita%26home%3D


5. Who Told the Chambermaid? , videoinstallazione, 1998

Monitor di sorveglianza sono allineati su mensole, accanto a lenzuola e asciugami.
Nei video scorrono immagini degli 
interni di un albergo: clienti che attraversano la hall, una donna a letto, due uomini che si incontrano in sala riunioni

6. 
QM, I Think I Call Her QM , film a 35 mm, 1997

Basato su una vicenda reale, parla di una psichiatra paranoica che scopre sotto il proprio letto, nella sua casa new yorkese, il corpo di una donna coperta di fango.
Il film ci mostra le indagini della psichiatra che cerca di scoprire l'origine e la natura della misteriosa creatura battezzata Queen of Mud, regina del fango, in un intreccio che spazia dal genere poliziesco al thriller.

Codex (1993), si basa su informazioni d'archivio sulle donne svedesi punite e condannate tra il medioevo e il XIX secolo. Le fotografia rimettono in scena le punizioni, con un eloquio che cita lo stile nitido e oggettivo di Vermeer

7. http://www.christinekoeniggalerie.com/artist_details/items/siden.40.html

8. Wart Mal!, videoinstallazione.

Ambientata nella piccola città di Dubi sul confine tra Germania e Repubblica Ceca: combinando proiezioni e interviste, assemblate in un collage di materiali grezzi 
come gli schizzi per un story board o una sceneggiatura, Ann-Sofi Sidén scrive il diario di un viaggio in un microcosmo popolato da prostitute, protettori e clienti che affollano le strade, gli alberghi e i bar.

Wart Mal! ("Aspetta un 
attimo"), ripete le voci ai bordi delle strade e nei locali ambigui, creando nel contempo un richiamo alla catena di ipermercati economici americani WallMart. Un richiamo di seduzione, ma anche un invito rivolto agli spettatori, come a pretendere più attenzione nei confronti di un mondo ignorato.










Bibliografia


Vedere i link indicati nelle singole sezioni